[Redditolavoro] disarmiamoli. La guerra della discordia - la posizione di prol com

CobasSindacatodiClasse cobasta at libero.it
Wed Jul 29 08:45:14 CEST 2009


      La guerra della discordia e dei politici buoni per tutte le stagioni.

      Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli
      www.disarmiamoli.org info at disarmiamoli.org 3381028120  3384014989

      Tempi bui per la NATO in Afghanistan. Gli alleati più “granitici” vacillano sotto i colpi della resistenza. 
      L’esecutivo Berlusconi - numericamente tra i più stabili d’Europa - si divide sul mantenimento delle truppe professionali nelle aree del conflitto. 
      Così il sempreverde Bossi, preoccupato di portare quante più risorse possibili nelle casse delle morenti piccole e medie imprese del Nord, lancia la parola d’ordine del “tutti a casa”, costringendo per mezza giornata politici di centro – destra – sinistra a distrarsi da congiure di palazzo o di corrente, vacanze, veline ed “escort” per levar compatti gli scudi in difesa della sacra missione di Finmeccanica, IVECO ed ENI, al lavoro per rifornire truppe e popolazioni di mezzi militari più potenti e gas caucasico.

      Fa specie - in questo vociare sconcio di una classe politica unita nella guerra e per la guerra - la “vibrante” dichiarazione di Paolo Cento ed Elettra Deiana per il “….ritorno del problema Afghanistan in Parlamento” (pag. 4 de “La Stampa” del 27.7.09). 
      Vorremmo ricordare ai due esponenti neovendoliani che per due anni il “problema Afghanistan” è stato oggetto di discussione in un Parlamento dominato da un governo che li vedeva attivamente partecipi. Anni nei quali Cento e Deiana passavano il tempo a coprire e legittimare politiche a causa delle quali l’Italia è caduta nelle mani di una destra tra le più reazionarie e forcaiole del mondo. 

      A ognuno le sue responsabilità, a nessun popolo l’augurio di avere a che fare con un ceto politico potenzialmente utile per tutte le stagioni, ieri al fianco dei massacratori, oggi in recupero al fianco dei massacrati, domani con tutta probabilità di nuovo con i primi. È solo una questione di status e di collocazione congiunturale.

      Gli afgani intanto continuano a morire ma non demordono, costringendo - con le loro secolari tattiche di guerriglia - la più potente coalizione militare della storia a scendere a patti, a cambiare strategie, a progettare exit strategy lastricate di sangue e terrore, ordinate oggi dal democratico Obama, fatua speranza di tante anime belle in giro per il mondo.

      In queste ore le agenzie di stampa parlano di tregua in alcune zone del conflitto. Probabilmente non conosceremo mai i termini ed i costi di questa tregua per gli aggressori, ma con tutta evidenza essa è il prodotto di un rapporto di forza imposto dalla guerriglia. 
      Ne siamo felici, perché ciò significa – anche per un solo giorno - un numero minore di civili uccisi dai bombardamenti “democratici” della NATO.

      Il movimento contro la guerra chiede che questi brandelli di tregua si trasformino in un immediato ritiro di tutte le truppe straniere da quello sfortunato paese. 
      L’alternativa è la lenta agonia di una strategia rivelatasi perdente ma, soprattutto, la morte di altre migliaia di afgani. 

      In Afghanistan oggi, così come in Iraq ieri e recentemente in Libano l’imperialismo occidentale verifica concretamente i limiti di una politica militare neo colonialista, antistorica perchè incapace di risolvere – in queste forme - i problemi di egemonia per i quali è stata determinata e fomentata.   

      Le guerre si vincono quando si è in grado di “conquistare intero e intatto il nemico”. Così diceva un saggio cinese molti secoli fa. Non sempre però ciò si da nell’evoluzione dei conflitti.  Allora la contraddizione passa nel terreno dell’avversario e lo corrompe.
      Questo è lo stato dell’arte oggi in Afghanistan e gli umili del mondo, costretti spesso a dover assorbire immense dosi di sofferenza, non possono che esserne felici.

      La Rete nazionale Disarmiamoli
      www.disarmiamoli.org info at disarmiamoli.org 3381028120  3384014989 

      afganistan obama italia  da 
      proletari comunisti
      luglio 2009
      richiedere il nuovo numero
      ro.red at fastwebnet.it 
      Abbiamo giudicato sin dal primo momento l'elezione di Obama come il tentativo dell'imperialismo USA, a fronte della crisi, di trovare un'altra faccia per perseguire i propri interessi. Abbiamo detto sin dal primo momento che quella di Obama non era una linea e una politica alternativa a quella di Bush sul problema della guerra, ma era volta solo a perseguire gli stessi obiettivi con altri mezzi e soprattutto con un'immagine differente. 

      Il ritiro dall'Iraq è una vera e propria farsa, un'operazione di marketing; 130mila soldati americani restano in Iraq pronti e sono del tutto attive le procedure per interventi più massicci, per nuovi massicci bombardamenti ove il regime iracheno fantoccio fosse minimamente a rischio e ove la corsa per la rapina del petrolio da parte delle multinazionali fosse messa in pericolo. 

      L'operazione avviata in Afghanistan con quasi il raddoppio delle truppe è la più imponente dai tempi del Vietnam ed è un'operazione genocida e massacratrice nei confronti delle masse afghane e delle loro rappresentanze. Vuol essere un'occupazione a tenaglia di metà del territorio afghano che sfugge al controllo da entrambi i lati con la collaborazione dell'esercito pachistano il cui governo è divenuto ancora più filo imperialista ed efficiente nel servire gli interessi Usa, del regime corrotto di Musharaf.

      Le truppe imperialiste USA e delle altre potenze occidentali sotto l'ombrello Nato si erano già rese responsabili di massacri durante questa sporca guerra di aggressione, ma quello a cui ora puntano è la “madre di tutti i massacri”. 




      La presidenza Obama ha attivato subito questa nuova fase ancora più cruenta della guerra in Afghanistan per sfruttare la luna di miele post elettorale all'interno e l'apertura di credito nell'intera area del Medio Oriente e nello scacchiere caldo dell'Afghanistan. 

      La strada del Vietnam è una strada lastricata d'inferno. Le direzioni attuali della resistenza del popolo afghano non sono certo i comunisti vietnamiti, e questo è un fattore di debolezza del popolo afghano; ed è solo questo fattore di debolezza che può permettere attualmente un esito diverso dal Vietnam dell'offensiva americana. 

      Ma il problema principale attuale non è ancora questo, è quello di smascherare il nuovo presidente che guida la politica imperiale americana. 

      Negli Usa, come sempre, saranno le perdite americane e i colpi inflitti alle truppe di occupazione - i combinati con gli effetti della devastante crisi economica - a minare in tempi non lunghi il consenso di cui la nuova presidenza Obama gode e a far cadere quelle illusioni superficiali che caratterizzano parti rilevanti di quello che era il movimento di opposizione a Bush. Anche nel movimento antimperialista e progressista mondiale che bisogna far chiarezza. Dall'America latina all'Asia, al Medio Oriente, troppe forze, troppe componenti del movimento antimperialista e di liberazione nazionale seminano e condividono l'illusione “Obama” e prendono “lucciole per lanterne”.

      L'offensiva in Afghanistan giunge “tempestiva” per togliere questa maschera.




      Il governo di Berlusconi ha risposto all'appello dell'imperialismo Usa di aumentare truppe e impegno nella guerra in Afghanistan. Il naturale servilismo fascista e straccione dei governanti dell'imperialismo italiano trova oggi nella coppia Berlusconi/La Russa degli interpreti tragici e farseschi che per accreditarsi verso il 'nuovo imperatore' si mettono ulteriormente al servizio di questa guerra di aggressione. 

      Nuove truppe, nuove armi, nuove consegne ai soldati portano gli sciagurati soldati italiani a farsi truppa di complemento della nuova fase della guerra.

      Questo avviene con il silenzio-assenso dell'opposizione parlamentare, nel totale silenzio su quello che è un salto di qualità della missione italiana - illegale e illegittima rispetto all'Art. 11 della Costituzione sin dal suo nascere - che ora diventa partecipazione legalizzata mai decisa in queste forme neanche da quel simulacro di democrazia che è il parlamento. 

      Ma l'imperialismo italiano, i suoi generali e anche i suoi soldati, ormai in netta prevalenza mercenari, hanno una lunga tradizione di specialisti in sconfitte a fronte dei popoli oppressi in armi. “Chi semina vento raccoglie tempesta”, Nassyria insegna. 

      Serve riattivare anche in questo campo un reale movimento di opposizione. 

      La sua parte più estesa, compreso il grande movimento 'No Dal Molin', appare confusa e appiattita in movimento antimilitarista o anti Basi, e parte di esso non esita a pensare e ad operare affinchè Obama cambi qualcosa nella politica delle Basi e nella Base Dal Molin. Pensiamo si tratti di speranze vane, e riteniamo che oggi il movimento contro la guerra, debba guardare più in là di Vicenza. 




      Via le truppe imperialiste italiane, serve e alleate Usa, dall'Afghanistan!

      Via il governo della guerra, neocoloniale e moderno fascista! 

            La guerra della discordia e dei politici buoni per tutte le stagioni.

            Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli
            www.disarmiamoli.org info at disarmiamoli.org 3381028120  3384014989

            Tempi bui per la NATO in Afghanistan. Gli alleati più “granitici” vacillano sotto i colpi della resistenza. 
            L’esecutivo Berlusconi - numericamente tra i più stabili d’Europa - si divide sul mantenimento delle truppe professionali nelle aree del conflitto. 
            Così il sempreverde Bossi, preoccupato di portare quante più risorse possibili nelle casse delle morenti piccole e medie imprese del Nord, lancia la parola d’ordine del “tutti a casa”, costringendo per mezza giornata politici di centro – destra – sinistra a distrarsi da congiure di palazzo o di corrente, vacanze, veline ed “escort” per levar compatti gli scudi in difesa della sacra missione di Finmeccanica, IVECO ed ENI, al lavoro per rifornire truppe e popolazioni di mezzi militari più potenti e gas caucasico.

            Fa specie - in questo vociare sconcio di una classe politica unita nella guerra e per la guerra - la “vibrante” dichiarazione di Paolo Cento ed Elettra Deiana per il “….ritorno del problema Afghanistan in Parlamento” (pag. 4 de “La Stampa” del 27.7.09). 
            Vorremmo ricordare ai due esponenti neovendoliani che per due anni il “problema Afghanistan” è stato oggetto di discussione in un Parlamento dominato da un governo che li vedeva attivamente partecipi. Anni nei quali Cento e Deiana passavano il tempo a coprire e legittimare politiche a causa delle quali l’Italia è caduta nelle mani di una destra tra le più reazionarie e forcaiole del mondo. 

            A ognuno le sue responsabilità, a nessun popolo l’augurio di avere a che fare con un ceto politico potenzialmente utile per tutte le stagioni, ieri al fianco dei massacratori, oggi in recupero al fianco dei massacrati, domani con tutta probabilità di nuovo con i primi. È solo una questione di status e di collocazione congiunturale.

            Gli afgani intanto continuano a morire ma non demordono, costringendo - con le loro secolari tattiche di guerriglia - la più potente coalizione militare della storia a scendere a patti, a cambiare strategie, a progettare exit strategy lastricate di sangue e terrore, ordinate oggi dal democratico Obama, fatua speranza di tante anime belle in giro per il mondo.

            In queste ore le agenzie di stampa parlano di tregua in alcune zone del conflitto. Probabilmente non conosceremo mai i termini ed i costi di questa tregua per gli aggressori, ma con tutta evidenza essa è il prodotto di un rapporto di forza imposto dalla guerriglia. 
            Ne siamo felici, perché ciò significa – anche per un solo giorno - un numero minore di civili uccisi dai bombardamenti “democratici” della NATO.

            Il movimento contro la guerra chiede che questi brandelli di tregua si trasformino in un immediato ritiro di tutte le truppe straniere da quello sfortunato paese. 
            L’alternativa è la lenta agonia di una strategia rivelatasi perdente ma, soprattutto, la morte di altre migliaia di afgani. 

            In Afghanistan oggi, così come in Iraq ieri e recentemente in Libano l’imperialismo occidentale verifica concretamente i limiti di una politica militare neo colonialista, antistorica perchè incapace di risolvere – in queste forme - i problemi di egemonia per i quali è stata determinata e fomentata.   

            Le guerre si vincono quando si è in grado di “conquistare intero e intatto il nemico”. Così diceva un saggio cinese molti secoli fa. Non sempre però ciò si da nell’evoluzione dei conflitti.  Allora la contraddizione passa nel terreno dell’avversario e lo corrompe.
            Questo è lo stato dell’arte oggi in Afghanistan e gli umili del mondo, costretti spesso a dover assorbire immense dosi di sofferenza, non possono che esserne felici.

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