[Redditolavoro] Sicurezza e pugno duro : uso della paura a scopi politici

clochard spartacok at alice.it
Tue Jan 27 12:45:25 CET 2009


Sicurezza e pugno duro : uso della paura a scopi politici






di Alessandro Balducci

Nel suo libro “La cultura del controllo” (1), David Garland scrive: "A partire dagli anni settanta, la paura della criminalità è un tema che ha acquistato sempre maggiore importanza. Quella che una volta era considerata un'angoscia circoscritta, localizzata, che affliggeva soltanto le persone e i quartieri più poveri, ha iniziato a essere intesa come uno dei problemi sociali più gravi, e come una caratteristica della cultura contemporanea. Non solo: la paura della criminalità ha iniziato a essere concepita come un problema in sé, indipendentemente dai tassi effettivi di criminalità, a tal punto che si sono sviluppate politiche dirette a ridurre specificamente i livelli di paura, anziché il numero dei reati".

"Ricerche finanziate con fondi pubblici - prosegue Garland - eseguono oggi un costante monitoraggio di questa paura, elaborando indici e strumenti per misurare le reazioni suscitate dalla criminalità - paure fondate, paure allo stato nascente, insicurezze generalizzate, rabbia, risentimento - e mettendole in relazione con i rischi effettivi. L'emergere della paura della criminalità quale tema di grande interesse socio culturale è confermata dai sondaggi di opinione, che rilevano la condivisione - da parte di una larga maggioranza della popolazione statunitense e britannica - dell'idea che, a prescindere dai dati reali, vi sia un incremento dei tassi di criminalità, e una scarsa fiducia nella capacità del sistema della giustizia penale di contrastare questo fenomeno." 

Più avanti Garland afferma quanto segue: "...Un' altra rottura significativa con quanto accadeva in passato sta nel fatto che la politica penale ha cessato di essere delegata, di comune accordo, dagli schieramenti politici a professionisti, ed è diventata un tema significativo intorno al quale si gioca la competizione elettorale. Dibattiti politici dai toni molto accesi si concentrano intorno alla questione del controllo della criminalità, così che ogni decisione è presa tra gli sguardi incrociati dell'opinione pubblica, e ogni errore si traduce in uno scandalo. I processi decisionali sono profondamente politicizzati e intrisi di populismo. I provvedimenti hanno il fine di ottenere un vantaggio politico e i consensi dell'opinione pubblica, indipendentemente dalle opinioni degli esperti e dai risultati della ricerca empirica".

"I gruppi professionali che un tempo detenevano il monopolio dei processi decisionali sono stati progressivamente esautorati dal loro compito, man mano che la politica è stata delegata a commissioni e a consulenti politici" aggiunge Garland, spiegando che "Nuove iniziative sono annunciate negli ambienti politici -le convention dei partiti statunitensi, i congressi dei partiti britannici, le interviste televisive - e sono tradotte in slogan: Prison works (il carcere funziona), Three strikes and you're out (tre volte e hai chiuso), Truth in sentencing (leggi che prevedono una reale corrispondenza tra reato e sanzione effettivamente scontata), No frill prison (il carcere deve essere duro), 'tolleranza zero', Tough on crime, tough with the causes of crime (duri col crimine, duri con le cause del crimine)." 

Sembra di leggere, soprattutto nell’ultima parte dello scritto di Garland, le parole d’ordine che hanno caratterizzato la campagna elettorale in Italia del 2008, soprattutto in riferimento alle grandi città dove gli schieramenti politici hanno giocato tutto sul “bisogno di sicurezza della gente” e sulla necessità di politiche di “tolleranza zero”. Garland, in realtà, si riferisce a quanto era successo negli Usa e in Inghilterra a partire dagli anni ’70, e poi continuando nei decenni ‘80 e ‘90: più o meno il periodo in cui in Inghilterra si imposero i Tories della signora Thatcher ed in America i conservatori di Ronald Reagan. Sembra quasi di sentire quell’adagio secondo il quale l’Italia segue gli Stati Uniti con un ritardo di circa 30 anni. E per quanto riguarda la questione criminale e le politiche di sicurezza in effetti pare proprio che sia andata così.

Come ampiamente riportato nel testo di Garland, le campagne di politicizzazione della sicurezza e del controllo della criminalità - ben congegnate e orchestrate con un’ampia disponibilità di mezzi e di denaro - hanno spinto governi ed amministrazioni locali, in concreto, a promulgare tutta una serie di leggi e provvedimenti fortemente orientati nel senso della giustizia retributiva: tanto male fai alla società, tanto male ricevi dallo Stato sotto forma di sanzioni e carcere. Come esempio di queste strategie viene citata spesso la politica di controllo del crimine di strada condotta dal sindaco di New York R. Giuliani e dal sovrintendente della Polizia di N.Y. Bill Bratton all’inizio degli anni 90, in Italia nota come strategia della “tolleranza zero”.

In realtà la guerra di Giuliani contro il crimine era ispirata alla teoria delle “finestre rotte” elaborata da J. Wilson e da G. Kelling (2,3,4). Dopo l’esperienza newyorkese di Giuliani e Bratton, in America qualcuno ha cominciato ad interrogarsi sull’opportunità e sull’effettiva efficacia di quelle politiche e nuovi modelli di politiche di controllo del crimine sono stati avviati, come per esempio a Boston(5). A New York, il “pugno duro” di Giuliani è ormai un lontano ricordo, anche perché i costi per il contribuente delle “crociate” anticrimine sono tali da essere difficilmente compatibili con le attuali ristrettezze imposte dalla crisi economica. 

A maggior ragione, è lecito pensare che tali politiche siano incompatibili anche con i bilanci della stragrande maggioranza dei comuni italiani: non lo erano già anni fa quando non imperversava la crisi economica, figuriamoci adesso che, fra il taglio dell’Ici – che alimentava essenzialmente le entrate dei Comuni - e la drammatica situazione economico-finanziaria, tutto si può immaginare meno che l’imposizione da parte degli enti locali di nuove tasse, anche se giustificate dal “nobile” scopo della lotta alla criminalità. 

C’è allora il legittimo sospetto che, dopo i nuovi episodi di cronaca nera – le violenze sessuali a Roma e dintorni – le dichiarazioni dei politici e degli amministratori pubblici sulla necessità del pugno duro siano solo parole uscite di bocca per riempire i telegiornali e tranquillizzare qualche cittadino esasperato, ben sapendo che tanto alle parole non seguiranno mai i fatti. Non parliamo poi della proposta di riempire di soldati le città e le strade: le violenze e le aggressioni di norma avvengono verso persone che sono in zone della città poco trafficate o addirittura isolate. Anche con 30.000 soldati a Roma, difficile pensare che a Guidonia, quella sera, ci sarebbe potuto stare un soldato ad evitare quanto accaduto. 

Sarebbe allora il caso che i politici che hanno la responsabilità della gestione pubblica smettessero una buona volta di riempirsi la bocca con proposte che non solo non possono mettere in pratica ma di cui neanche si è certi della loro capacità a risolvere il problema. A nessuno dei nostri amministratori viene in mente, per esempio, che forse possa essere sbagliato l’approccio alla questione “Sicurezza”? Ritornando a Garland, la sua analisi dimostra che le modalità con cui sono stati interpretati ed affrontati tali problemi, e che hanno caratterizzato le strategie dei governi anglosassoni negli ultimi tre decenni, siano state ispirate più da motivazioni politiche e di ricerca del consenso elettorale, piuttosto che da una loro effettiva e dimostrata efficacia. 

L’Osservatorio ha tentato qualche volta di riesaminare i temi della sicurezza e del controllo della criminalità sviluppando delle riflessioni (soprattutto sulla violenza di genere) che consentono di immaginare modi e percorsi alternativi(6) a quelli proposti finora. Ma in Italia, adesso, sono ancora la demagogia e la cultura penale retributiva a dettare le risposte alle esigenze dei cittadini, anche e soprattutto in ambiti come questo. 

Speriamo solo che non occorra aspettare altri 30 anni per arrivare alla fine a cestinare nell’archivio della storia la cosiddetta “tolleranza zero”, come già successo in nord America.





1) D. Garland, “La cultura del controllo”, Il saggiatore, 2001;
2) J. Wilson, G. Kelling, Atlantic Monthly, 1982;
3) L. Vastano, Narcomafie, nr. 2, pag. 66, 2003;
4) C. Giusti, Osservatorio sulla legalita' 15.09.2007
5) A. Stille, La Repubblica, 16.09.2007;
6) T. Pitch, Osservatorio sulla legalita', 25.11.2008 







http://www.osservatoriosullalegalita.org/09/acom/01gen3/2711alexsicur.htm
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