[Redditolavoro] Inquinamento da emissioni industriali: Regione contro Governo. E i tarantini? A braccia conserte, o quasi.

anna a.grav at libero.it
Mon Sep 29 17:52:44 CEST 2008


E’ conoscenza diffusa e accettata, quindi scienza, che il rapporto tra
l’uomo e l’ambiente è uno dei determinanti fondamentali dello stato di
salute della popolazione. Da qui la gravità del rischio sanitario correlato
alle matrici ambientali. Ne deriva la necessità di valutare i problemi sia
dal punto di vista dello stato di salute che della qualità dell'ambiente.

 

In generale, la prevenzione - o la lotta nei casi già gravemente

compromessi- delle malattie che si originano dalla qualità dei fattori
ambientali richiede un vasto sforzo combinato che va dalle azioni sui
comportamenti e gli stili di vita alle tecniche produttive industriali e
alle misure istituzionali che consentono di garantire la sicurezza delle
popolazioni esposte ai rischi ambientali.

 

Tale esigenza assume un particolare rilievo per Taranto, Statte, Crispiano,
Massafra e Montemesola ghettizzati in “area ad elevato rischio di crisi
ambientale”: gli studi epidemiologici evidenziano una espansione dello stato
di morbilità ed una crescita degli indici di mortalità correlati al grado di
inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo con registrazione di tutti i
tipi di tumore e, in particolare, di tumori al polmone e della pleura, della
vescica, del sistema emolinfopoietico e della pelle, nonché di patologie non
neoplastiche dell'apparato respiratorio e cardiovascolare. Tutto questo
nonostante i numerosi piani di disinquinamento, la creazione del registro
tumori dell'area jonico-salentina, eccetera. E gli effetti sono “vissuti”(si
fa per dire) e sofferti sulla propria pelle, i propri organi, la propria
salute e la propria vita. A Taranto, si sa, si vive una realtà in cui
l’intera comunità condivide una condizione di fragilità e di vulnerabilità
che giunge a modificare il profilo identitario e, in modo anche importante,
la qualità della vita.

 

Le contromosse. Prendiamo l’accordo di programma con Ilva per la bonifica
dell'area industriale di Taranto in discussione tra Governo, Regione, enti
locali e industriali. Valore dell'investimento: 200 milioni di euro di cui
un terzo a carico della Regione e il resto a carico del governo che può
rivalersi sugli imprenditori inadempienti. Cosa prevede: la
caratterizzazione e l’eliminazione dei fattori inquinanti al fine di
realizzare la riqualificazione ambientale dell'area interessata
dall'industria siderurgica.

 

Bene, la Regione con i suoi organismi tecnici (Arpa) e i suoi organi
politici (presidente e assessore all'ecologia) richiede un abbattimento
della concentrazione di diossina al di sotto di un nanogrammo rispetto ai
3,5 ritenuti compatibili dall'azienda siderurgica. Sappiamo che l'apparato
tecnico del Ministero dell'Ambiente ha contestato i dati dell'agenzia
regionale e che in difesa della posizione pro-aziendale è sceso in campo lo
stesso Ministro Stefania Prestigiacomo (niente considerazioni sulla
sensibilità umana e politica).

 

Ora, se nel Friuli hanno imposto un limite di 0,4 nanogrammi alla diossina
vuol dire che è tecnologicamente possibile. E' solo questione di soldi, o
meglio di aver voglia di investire una fetta superiore degli utili che Ilva
si ritaglia su Taranto, per far vivere meglio i tarantini. In questa città,
però, le barricate non le fa nessuno. E bisogna accontentarsi dell'azione,
incisiva ma purtroppo non vincolante, delle associazioni ambientaliste. La
settimana scorsa sono andate a protestare anche sotto i cancelli dello
stabilimento siderurgico durante l’ispezione effettuata dai rappresentanti
degli enti locali.

 

Il Comitato per Taranto (un pungolo continuo la sua azione incessante) ha,
se non altro, alzato il livello di sensibilità al problema e fornito
informazioni spesso sconosciute a chi va poi a sedersi ai tavoli in cui sono
prese le decisioni. Una nuova coscienza sta formando l’associazione “Bambini
contro l’inquinamento” creata dal pediatra Giuseppe Merico che porta sotto
le sue insegne centinaia di ragazzini e sfila nelle strade del quartiere
Tamburi, il più esposto alle polveri dell'Ilva. I tarantini, però,
pretendono azioni e atteggiamenti più netti anche dai propri amministratori.
Comune e Provincia sembrano più accomodanti anche se esibiscono chiusure
drastiche di fronte ai tentennamenti aziendali, ai suoi ritardi, ai suoi
silenzi. Ma c’è da capire gli enti locali: il legame tra sviluppo,
occupazione e ambiente li strangola. La Regione, che sta a Bari, mostra la
faccia feroce e ha detto chiaro e tondo che non rilascerà l’autorizzazione
integrata ambientale se la diossina non si abbasserà al livello di un
nanogrammo. Che resta un valore simbolico, ma sarebbe meglio se arrivasse a
0.5. E Taranto? Mancano alla classe politico-dirigenziale, generalmente
intesa

- anche nei tempi operativi, visto che la questione Ilva e simili non nasce
certo con patron Riva - volontà e forza identitarie. Tutto ciò ha un nome:
il sociologo polacco-britannico Zygmunt Barman, quando esamina e definisce,
la condizione attuale delle comunità, usa l’immagine di “società liquida”,
non in grado cioè di indignarsi, di ridefinirsi, di consolidarsi.

 

Antonuccio Silvestri

 

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