[Redditolavoro] La “loro crisi” la pagheremo tutti, se non ci organizziamo per lottare uniti

Fulvio fuldigior at gmail.com
Sat Nov 8 17:55:52 CET 2008


*La "loro crisi" la pagheremo tutti, se non ci organizziamo per lottare
uniti*



La crisi finanziaria attuale è riuscita a creare strani consensi tra la
destra e la cosiddetta "sinistra" in tutto il mondo, consensi che rivelano
più di ogni altra cosa  l'identità di vedute dei diversi rappresentanti
delle frazione del capitale: tutto pur di salvare il capitalismo.

E' stato davvero istruttivo vedere un giorno i cosiddetti rappresentanti dei
lavoratori chiedere a gran voce la nazionalizzazione delle banche e il
giorno dopo Bush, Sarkozy e Merckel farlo, almeno in parte.

I ministri dell'Eurogruppo hanno chiesto che il "pubblico" – lo Stato -
acquisisse partecipazioni nel capitale delle grandi banche e, a bassa voce,
che ricominciasse a fare investimenti in infrastrutture di interesse
pubblico. Si trattava, con la massima urgenza, di evitare il peggio e per
questo si spera che il sacrificio di grandi quantità di denaro pubblico nei
buchi neri della finanza permetta di ristabilire la fiducia e il credito. Il
capitalismo e l'economia sono diventati una questione di "fede", non più un
fatto materiale, un insieme di ferree leggi naturali a cui non si può far
altro che obbedire.



In questa voragine sta spuntando di nuovo una vecchia idea, comune a destra
e "sinistra": l'idea di una "*economia capitalista reale*" opposta ad
una "*sfera
finanziaria virtuale*". A questa distinzione si aggiunge un giudizio di
valore: l'economia reale sarebbe virtuosa, perché basata sul lavoro e
rispondente a necessità reali, mentre l'economia finanziaria sarebbe un
insieme di vizio e corruzione. Questo moralismo è riflesso dalla stampa, che
si scandalizza  per i 440.000 dollari spesi in festeggiamenti dai dirigenti
di AIG, società di assicurazioni appena salvata dal governo USA (un esempio
fra altri). A questo va aggiunto lo scandalo prodotto dagli elevatissimi
stipendi dei dirigenti delle società finanziarie o i "paracadute" che si
sono assegnati da soli in caso di fallimento.

Certo, questi esempi rappresentano casi di abuso, almeno da un punto di
vista morale, ma attenzione a fare la morale al capitalismo; lo ricordava
Mackie Messer, il gangster e re dei mendicanti dell'Opera da Tre Soldi di
Brecht, più di 70 anni fa: "Che sarà mai svaligiare una banca rispetto a
fondarne una?!".



*Il problema del capitalismo non è la trasgressione delle sue stesse norme
giuridiche o morali – trasgressione assolutamente possibile e decisamente
frequente – ma il funzionamento normale di un sistema basato
sull'espropriazione e sullo sfruttamento del lavoratore, individuale e
collettivo*.



La normale rapina del capitale, rispettosa delle leggi, dello stato di
diritto e persino dei diritti umani è un fenomeno molto meno vistoso degli
eccessi degli zar della finanza, ma infinitamente più grave. Valgano come
dimostrazione la precarietà, la miseria, la mancanza di un futuro degno di
intere generazioni e – per parlare solo dell'Italia - i 1.500 morti sul
lavoro e le decine di migliaia di morti e ammalati di lavoro, che sono i
figli legittimi del capitalismo reale, il capitalismo "buono".

Per questo cercano oggi di distoglierci da questa realtà per seguire la
predica morale di coloro che, artefici e complici, hanno contribuito a
fissare questi presunti limiti.

La situazione normale è il capitalismo, obbligatorio e imposto non dal
mercato ma dalla violenza di pochi esercitata dallo Stato democratico, che
impedisce ai cosiddetti "cittadini" dei nostri stati "democratici" di
decidere democraticamente cosa, quanto e quando produrre. Il "cittadino" non
può decidere neppure cosa consumare, in questo mercato tanto democratico
(definizione di Milton Friedman e dei suoi Chigago Boys, che infatti
democraticamente lo  sperimentarono nella sua nuova versione di neoliberismo
nel Cile di Pinochet), perché nel I° mondo può scegliere solo di acquistare
debiti nella gigantesca e ripetitiva offerta dei mercati finanziari o
qualche cosa di inutile nel mercato "reale" per sopravvivere alla solitudine
e alla noia, con buona pace delle risorse dell'intero pianeta che, ci dicono
in questi giorni, sono ormai finite.

Il resto del mondo, che possiede ancora materie prime e fonti di energia,
può aspettarsi un'accresciuta rapina delle sue risorse e continuare a morire
di fame: tanto l'esercito industriale di riserva è ormai immenso.



Lo sfruttamento, la sottomissione della forza lavoro, della capacità fisica
e intellettuale degli esseri umani a un comando estraneo che si appropria
della ricchezza da essi prodotta è qualcosa di normale. Dopo secoli di
manipolazioni e propaganda, quello che agli albori del capitalismo appariva
alla maggioranza degli sfruttati come un sistema dispotico oggi ci viene
presentato come il paradigma della libertà.

Lo sfruttamento è l'essenza del capitalismo: in esso non c'è produzione di
valore ma estrazione di plusvalore. La produzione capitalista presenta se
stessa come il processo in cui il "coraggioso" rischio di alcuni personaggi
che possiedono ricchezza viene combinato con il "nobile" sudore di chi non
ce l'ha, dando come frutto merci destinate a soddisfare  le esigenze di
tutti. Per entrare nel paradiso del "capitale produttivo" basta chiudere gli
occhi all'espropriazione  e allo sfruttamento.

Così oggi Emma Marcegaglia può chiedere, con somma faccia di bronzo e senza
che nessuno dei cosiddetti "rappresentanti dei lavoratori" la smentisca, che
si ritorni al capitalismo "reale": più produttività e salveranno il mondo.



Il capitale finanziario gode invece – oggi più che mai – di una cattiva
fama. Eppure non ha fatto altro che liberare il capitale produttivo dalle
sue limitazioni di tempo e di spazio. In altre parole lo ha "globalizzato"
(la globalizzazione, altro concetto con cui per anni ci hanno bombardato
togliendogli ogni significato di classe).

Il capitale finanziario ha dato le ali allo sfruttamento. Se ora gliele
taglieranno, non per questo sparirà lo sfruttamento capitalista.



*Sbaglia chi pensa che questa crisi sia la fine del capitalismo e – ancor
più – sbaglia chi pensa che "la loro crisi non la pagheremo noi". In realtà
la stiamo già pagando da tempo, perché la crisi non è scoppiata il giorno X
del mese di settembre 2008.  Tant'è vero che i capitalisti si sono già
attrezzati da tempo: delocalizzazioni, licenziamenti, aumenti dei tempi e
dei carichi di lavoro, precarietà estrema, fame, guerra. *

Il parlamento europeo ha già votato la "direttiva delle 65 ore" e si prepara
a restringere ulteriormente i flussi migratori perchè saranno i  lavoratori
europei buttati sulla strada in sempre maggior numero a sostituire gli
immigrati (la Spagna del "progressista" Zapatero ha redatto nel mese di
ottobre la lista degli immigranti a cui sarà permesso l'accesso:
ricercatori, scienziati e lavoratori super-specializzati; gli altri possono
continuare a morire nel Mediterraneo).

La risposta del capitale sarà la stessa di altre crisi: socializzare le
perdite (negli USA ci sono già stati, in pochi mesi, 80.000 licenziamenti
nel settore finanziario, nell'edilizia e nel settore dell'auto; il denaro
investito per salvare le banche nei paesi industrializzati avrebbe
consentito – secondo i calcoli della FAO – di raggiungere uno degli
"obiettivi del millennio", lo sradicamento della fame nel mondo) e garantire
ad una cerchia più ristretta i benefici. La guerra resta l'altra grande
opzione.



*Il capitalismo cadrà – come sono caduti altri sistemi economici e sociali
che l'hanno preceduto – solo per l'azione cosciente e organizzata del suo
nemico: il proletariato e le classi sfruttate e oppresse. E le crisi sono
sempre grandi maestre nella storia, perché rendono chiara l'essenza di ogni
sistema.*

Oggi più che mai, oggi che si è strappato il velo di "civiltà e progresso
per tutti" con cui si mascherava lo sfruttamento, è necessario agire per
unire e organizzare l'unico soggetto politico in grado di proporre
un'alternativa economica, sociale, politica e ecologica alla natura
intrinsecamente sfruttatrice e predatoria del capitalismo.



*Daniela Trollio*

Centro di Iniziativa Proletaria "G.Tagarelli"

Sesto S.Giovanni   e-mail: cip.mi at inwind.it


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