[Redditolavoro] PADRONI RICICLATI: DALLA FOGNA DELLA STORIA A
OGGI...(SWISSINFO)
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8 maggio 2008 - 10.58
Il volto controverso dei rifugiati della guerra
Didascalia: La figlia di Benito Mussolini, Edda Ciano, con il marito Galeazzo Ciano, ministro degli esteri. (Keystone Archive)
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Alla
fine della seconda guerra mondiale, alcuni nazisti tedeschi, fascisti
italiani e sostenitori del regime francese di Vichy trovarono
protezione in Svizzera. Un esperto ritorna sulla storia. Intervista.
Luc
van Dongen, professore di storia all'Università di Losanna, apre il
vaso di Pandora del periodo che si estende dal 1943 al 1954. Il suo
intento è quello di puntare i riflettori sulla politica d'asilo
svizzera ripercorrendo le tracce di numerosi rifugiati politici ed
economici altamente controversi.Nel suo recente libro "Un
purgatoire très discret" (Un purgatorio molto discreto), lo storico
propone l'esito di dieci anni di ricerca attraverso gli archivi di
Berna, Berlino, Londra, Parigi e Washington.Tra i rifugiati
molto noti che compaiono nel libro, spiccano diversi nomi, come quelli
di: Edda Ciano, la figlia di Benito Mussolini; Dino Alfieri,
soprannominato il "Goebbels italiano"; il capo della Gestapo Rudolf
Deiss; l'ufficiale delle SS Franz Sommer. Ad essi si aggiungono anche
numerosi esponenti del regime di Vichy, ministri, industriali,
intellettuali, scienziati e collaborazionisti.Finora molto è
stato scritto sul controverso comportamento della Svizzera per aver
negato l'entrata ad alcune migliaia di rifugiati, ma si conosce ancora
poco dei casi sensibili di quei rifugiati che furono ufficialmente – ma
segretamente – ammessi nel paese.
swissinfo: Chi erano questi rifugiati molto controversi a cui è stata accordata protezione in Svizzera?
Luc
van Dongen: I tedeschi (100) erano prevalentemente rifugiati economici
( specialisti), ma si contano anche personalità appartenenti alla
Gestapo e alle SS che non ebbero un ruolo di primo piano. Molti
fuggirono la Germania tra il 1944 e il 1946, quando le forze Alleate
procedettero ad arresti automatici.Per quanto riguarda gli
italiani (100), il gruppo più grande era composto di industriali in
provenienza del nord Italia come Volpi, Cini, Benni, Marinotti;
personalità ricche ed influenti che vantavano legami molto stretti con
l'industria svizzera. Tra i rifugiati anche esponenti fascisti, che nel
1943 assunsero posizioni contrarie a Mussolini, e un buon numero di
neofascisti membri delle organizzazioni repressive di paramilitari.Tra
i francesi (300) spiccano i sostenitori del maresciallo Pétain,
ufficiali del regime di Vichy, collaborazionisti e miliziani. Figurano
anche i nomi di donne che ebbero delle relazioni con i tedeschi,
intellettuali e giornalisti. I tre quarti dei rifugiati francesi furono
interessati dalla purga politica nella Francia del 1945, guardata
malissimo dalle autorità elvetiche. Per queste persone venire in
Svizzera non rappresentò nessun problema.
swissinfo: Questi rifugiati erano conosciuti dall'opinione pubblica svizzera?
L.v.D.:
No. La stragrande maggioranza di essi (il 95%) non era solo sconosciuta
al popolo svizzero, ma anche al Parlamento. Alcuni casi vennero alla
luce destando l'interesse degli organi di informazione. La rivelazione
della loro presenza, tuttavia, era strettamente legata ai diretti
interessanti. Per Edda Ciano, la figlia di Mussolini, ha giocato un
ruolo la notorietà. In altri casi ad attirare l'attenzione fu il tenore
di vita e una vita sociale molto attiva, come per i fascisti
aristocratici italiani e i potenti industriali, così come per gli
ufficiali di Vichy.I media non erano disinteressati. Ma nessuno
aveva voglia di parlare di loro, a causa della palese e pubblica
ostilità nei loro confronti.
Lo storico Luc van Dongen (swissinfo)
swissinfo: Qual era la posizione ufficiale del governo svizzero nei loro confronti?
L.v.D.:
Fino al 1948 le richieste d'asilo politicamente sensibili erano seguite
dalla procura sia attraverso la via consolare, direttamente alla
frontiera o dopo che erano giunti segretamente in Svizzera. La polizia
degli stranieri, la procura pubblica e i cantoni affrontavano caso per
caso su basi amministrative.La maggior parte delle richieste era
centralizzata nell'ufficio del procuratore, ma la lista dei nominativi
non è stata conservata. I cantoni e i responsabili della polizia
vennero a sapere unicamente dei casi sotto la loro responsabilità, di
quelli in altre regioni nessun parola. Ecco perché le conoscenze
attorno ai rifugiati erano molto frammentarie. Globalmente al massimo
una ventina di funzionari federali e cantonali erano a conoscenza di
cinquecento casi.Cercarono di evitare ogni pubblicità e di
parlare pubblicamente il meno possibile di rifugiati, anche allo scopo
di proteggere le loro famiglie. Infatti la categoria dei rifugiati in
questione rappresentava una questione estremamente delicata. Parlarne
avrebbe comportato molto rischi e avrebbe sollevato molte controversie
tanto in Svizzera quanto all'estero.Se un caso veniva alla luce,
ci si affrettava a parlare di incidente, se qualcuno veniva
riconosciuto da un giornalista e da un cittadino, generalmente veniva
subito espulso.
swissinfo: In che misura la Svizzera attrasse attivamente certi "desiderabili" rifugiati fascisti?
L.v.D.:
Questo atteggiamento era legato alla cosiddetta fuga di cervelli; un
aspetto finora davvero poco conosciuto. Le autorità svizzere
cominciarono ad interessarsi a questo problema e quando si resero conto
che gli Alleati, in particolare gli americani, non avevano scrupoli, a
partire dal 1947-1948 la politica svizzera cambiò. Ma cambiò
discretamente attraverso misure che gli Alleati non percepirono.Il
rapporto Bergier fece luce unicamente su alcuni casi. Sono riuscito a
dimostrare che non si trattò di una vicenda da poco. Attraverso le mie
ricerche ho identificato circa cento specialisti (tecnici, ingegneri,
scienziati), giunti in Svizzera e impiegati dalla Brown Boveri, Bührle,
Dubied e l'istituto federale di tecnologia. Alcuni di questi
specialisti sono personalità importanti.
swissinfo: Quale fu, allora, la reazione degli Alleati? Fecero pressione sulla Svizzera?
L.v.D.:
Dal 1943 gli Alleati lanciarono un appello alle nazioni neutrali
affinché non accogliessero sul loro territorio criminali di guerra e
affinché esercitassero un severo controllo sui treni. Ma c'è un altro
aspetto politico rilevante che va evidenziato, specialmente nei
confronti degli americani.Questi ultimi volevano ricavare un
beneficio dai casi economicamente e politicamente interessanti che
giunsero in Svizzera. Così esercitarono delle pressioni affinché alcune
di queste persone venissero espulse.
swissinfo: Che cosa successe a questa categoria di rifugiati dopo la guerra?
L.v.D.:
Generalmente questi rifugiati fecero ritorno nei loro rispettivi paesi
d'origine, e non sempre su base volontaria. Ce ne furono però alcuni –
quelli più radicali - che non vollero fare ritorno in patria e si
diressero verso l'America Latina.Una stretta minoranza, circa
una cinquantina di persone, rimase in Svizzera ancora per pochi anni.
Per la maggioranza dei francesi la permanenza sul territorio svizzero
si situò fino agli anni Cinquanta.Intervista swissinfo, Simon Bradley
(traduzione e adattamento dall'inglese Françoise Gehring)
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