[Redditolavoro] Joseph Halevi sulla crisi dell'Europa istituzionale e sull'attacco di Angela Merkel al sistema finanziario anglosassone

clochard spartacok at alice.it
Thu Jun 19 01:10:51 CEST 2008


Joseph Halevi sul manifesto di martedì 17 giugno 2008 



Quell'integrazione fallita in un'economia globalizzata






Joseph Halevi

Fin dai referendum sul trattato di Maastricht, approvato per un soffio dall'elettorato francese e bocciato da quello danese, la prova delle urne ha messo sistematicamente in crisi l'Europa istituzionale. Le bocciature dei trattati europei sono viste come un attaccamento anacronistico agli stati nazionali mentre, si dice, la globalizzazione li svuota di significato.
La realtà è ben diversa. Sul piano dell'integrazione economica l'Europa è pienamente inserita nel processo mondiale sia sul piano reale che su quello finanziario. La stessa Irlanda ne costituisce un esempio. Nella fase cumulativa gli aiuti da Bruxelles e la detassazione dei capitali hanno trasformato il paese in una base per multinazionali farmaceutiche ed elettroniche proiettate verso il mercato europeo ed oltre.

Oggi, dopo aver raggiunto i più alti livelli dell'Unione europea, Dublino è in fase decrescente, con perdite di aziende verso i paesi dell'est, tra i quali l'altrettanto piccola Estonia emerge come una base offshore dell'elettronica scandinava in diretta contrapposizione all'Irlanda. Nel frattempo poli di avanzata tecnologia globale come Grenoble in Francia si stanno svuotando per le rilocalizzazioni in Cina. È l'integrazione politica che è da tempo fallita in Europa impedendo quindi di affrontare la globalizzazione.

A differenza dell'integrazione economica che, dal Piano Marshall in poi, ha coinvolto l'intera Europa occidentale dalla Norvegia alla Grecia, il cuore dell'integrazione politica si basa su un nocciolo di paesi continentali. In particolare sulla Germania, sulla Francia e sull'Italia.
Questo nucleo, come vedremo non omogeneo, ha dovuto poi mediare con le esigenze di liberismo finanziario (quello aspramente criticato dalla Merkel per intenderci) provenienti dalla Gran Bretagna per la quale l'Europa è unicamente uno spazio per il libero traffico di capitali e servizi finanziari. La caratteristica principale del nucleo europeo è il neomercantilismo: cioè la dinamica economica e sociale di ciascun paese viene fatta dipendere dall'ottenimento di eccedenze nei conti esteri che, concretamente, non possono che realizzarsi in Europa stessa e, solo in parte, negli Usa. Con l'Asia è impossibile. Ne consegue che il neomercantilismo del nocciolo europeo è un gioco a somma zero. I due estremi neomercantilistici dell'Europa sono quello forte tedesco e quello debole italiano. La Scandinavia, l'Olanda e l'Austria gravitano su quello tedesco anche per le connessioni intersettoriali che esibiscono nei confronti dell'economia della Germania.

Questi paesi accumulano sistematicamente un surplus con il resto dell'Europa drenando domanda effettiva europea. Invece l'export italiano andava bene per l'insieme dell'economia nazionale solo grazie a sgambetti ed a lire ballerine. Finita la disponibilità di questi espedienti l'export dell'Italia può andar bene per le regioni della Lega e dell'ex Pci, nonché per il tessile della Napoli di Saviano, ma non fa sistema; non traina niente. Il colbertismo straccione di Tremonti e l'antieuropeismo della Lega nascono da questa debolezza.

In mezzo ai due neomercantilismi c'è la Francia, la quale vorrebbe essere industrialmente come la Germania ma non ce la fa, perché non ha la produzione dei macchinari tedeschi. Invece ha una componente di beni di consumo di tipo italiano solo che in questo campo è surclassata dalle regioni lego-rosse, nonché dalla Napoli di Saviano.

Le stesse regioni, ma non Napoli, fanno mangiare la polvere alla Francia, in termini di export, anche nel campo della meccanica e dei macchinari intermedi senza minimamente intaccare la supremazia tedesca sull'insieme del mercato dei macchinari. Un feroce critico thatcheriano del trattato di Maastricht, Bernard Connolly (The Rotten Heart of Europe. London: Faber and Faber, 1996) ebbe così a sintetizzare la mediazione che portò al trattato: le grandi industrie tedesche vogliono il potere di mercato in Europa mentre la Francia, non avendo il suo capitalismo la stessa capacità, vuole usare il suo superiore apparato statale per controllare le istituzioni europee e specificamente togliere alla Germania la supremazia del marco.


Condivido queste osservazioni. Ho studiato le centinaia di pagine della bocciata costituzione europea, da cui è scaturita la versione rimaneggiata di Lisbona. Essa è imperniata a difendere le esigenze dei due obiettivi egemonici in conflitto fra loro cercando poi, con infiniti ed anodini contorcimenti, di creare dei tasselli per le altre componenti. A mio avviso l'unico modo per affrontare la problematica europea è attraverso un'ottica federalistica. Ma a ciò si oppongono sia gli stati che una buona fetta delle imprese che concentrano potere economico e politico: possiamo pensare a Mediaset o alla Fiat senza l'appoggio dello Stato italiano?



Il 12 giugno Halevi si era soffermato sul cannoneggiamento del sistema finanziario anglosassone da parte di Angela Merkel

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La svolta di Angela Merkel





Joseph Halevi

In sintonia con l'ultima visita di George Bush in Europa si è aperto ieri un nuovo fronte economico, di non breve durata, tra la Germania e gli Stati uniti su una questione di fondamentale importanza: l'assetto del sistema finanziario dopo lo sconquasso causato dalla crisi del mercato dei mutui subprime. Ad aprire il fronte è stata la cancelliera tedesca Angela Merkel in una lunga intervista al Financial Times di ieri 11 giugno.

«Il modello di regolamentazione è fallito dice Merkel», apriva il quotidiano londinese. Il riferimento esplicito è al sistema finanziario anglosassone ed ai suoi criteri di regolamentazione e controllo che sono rimasti sostanzialmente inalterati. Anche nelle riforme suggerite dalla commissione internazionale dei G7 presieduta da Mario Draghi, il Financial Stability Forum.

La cancelliera sviluppa la sua critica contrapponendo economia produttiva ad economia finanziaria e scegliendo la prima come asse portante dell'economia e della società della Germania Federale. In questo contesto l'intervista di Angela Merkel riafferma l'egemonia tedesca in Europa e formula, in un'accezione tutta adenaueriana, un nuovo ruolo per l'Unione europea in contrapposizione al sistema finanziario anglo-americano. La dimensione eminentemente tedesca della posizione di Merkel scaturisce dal fatto che da due anni e mezzo la crescita della Germania è trainata dalle esportazioni. Oggi il saldo netto nei conti correnti con l'estero si situa sul 6,1% del Pil, uno dei livelli più alti dal 1945 in poi. Tale eccedenza proviene principalmente dagli scambi di merci con il resto dell'Unione europea, con gli Usa e con i paesi petroliferi del medioriente. Nei confronti della Cina e del Giappone invece la Germania è deficitaria. Malgrado ciò il saldo con la Cina dei maggiori settori di macchinario è in attivo. Questo significa che l'eccedenza con il resto dell'Europa è fondamentale per l'accumulazione di profitti per l'insieme del capitalismo tedesco che può sostenere anche l'espansioni dei suoi settori tenologici nel mercato cinese con cui la Germania è deficitaria. Il potenziamento della dinamica industriale è, di conseguenza, un' esigenza ineluttabile per la Germania. La politica neoliberale della Spd alterava le priorità strategiche del capitalismo tedesco.

Capovolgendo invece l'ottica favorevole al sistema finanziario anglosassone di tre anni fa, la cancelliera Merkel afferma che «chi compra un laser in Germania sa cosa compra mentre i mercati finanziari sono molto più opachi. Quando i finanzieri si comportano in maniera irresponsabile, l'industria agisce da parafulmine scaricando le tensioni nel terreno. Questo stato di cose deve cambiare in modo che, sottolinea la Merkel, un paese come la Germania che ancora produce una grande quantità di prodotti industriali non debba sopportarne i rischi economici».

Per Angela Merkel garantire la continuazione della strategia basata sulle esportazioni è essenziale ai fini della stabilità interna, per aumentare il contenimento della Spd e per limitare la crescita del Linke (la nuova sinistra tedesca). Infatti, sostiene la cancelliera, la dinamica dell'export ha permesso di ridurre la disoccupazione (da 4,9 milioni nel 2005 ai 3,4 milioni oggi, ndr) aumentando gli introiti fiscali. Fatto questo che ha permesso di eliminare il problema del finanziamento delle spese pensionistiche e sociali.
Tuttavia essa riconosce che i cittadini non hanno ancora beneficiato della ripresa per via della stagnazione dei salari, dando quindi adito ad una crescente ostilità nei confronti della globalizzazione. La crescita dell'export tedesco deve essere pertanto messa al riparo della fragilità finanziaria emanante dal sistema anglosassone sia per sostenere il welfare state della Gemania che per uscire dalla deflazione salariale che riduce la fiducia nella globalizzazione.

L'influenza del sistema finanziario anglosassone va quindi ridotta facendo leva sulla dimensione della zona dell'euro ed il forte valore della sua moneta, afferma la Merkel. Il suo punto di vista è opposto tanto a quello campato in aria di Sarkozy, che vuole un rilancio neomercantilista basato su un indebolimento del tasso di cambio dell'eurozona nel suo complesso, quanto al colbertismo d'accatto di Tremonti che non va oltre l'Italia della Lega e delle ex regioni rosse. In Europa, afferma Angela Merkel, si dovrebbero definire regole e sistemi di valutazione (tipo agenzie di rating) in maniera indipendente dai criteri anglosassoni: «il robusto sistema monetario dell'euro non ha ancora assicurato una sufficiente influenza sulle regole che governano i mercati finanziari». La cancelliera si dice favorevole alla creazione  di una società europea di rating volta a sfidare il dominio della Moody e della Standard & Poor. Ognuna di queste frasi è una coltellata per i politici e per le società finanziarie Usa e britanniche.




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