[Redditolavoro] Torino: cronaca del corteo del 19 gennaio
Federazione Anarchica Torinese - FAI
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Tue Jan 22 02:07:12 CET 2008
Torino: cronaca del corteo del 19 gennaio
Rompere il silenzio!
Sabato pomeriggio, una bella giornata di metà inverno, di quelle che le
montagne le tocchi con lo sguardo ovunque ti giri.
Piazza Castello, davanti al teatro Regio piano piano si riempie.
Allappello Rompere il silenzio! hanno risposto in tanti: torinesi e
anche un buon numero di compagni venuti da ogni dove. Un corteo che è
cresciuto lungo la strada, ingrossandosi gradualmente prima di arrivare
nel cuore di Barriera di Milano.
Ma facciamo un passo indietro.
Una difficile scommessa
Una scommessa nata poco a poco quella del corteo di Torino del 19 gennaio.
Una scommessa scaturita da un lungo confronto su quanto stava avvenendo in
città: dal processo e condanna degli antifascisti del 18 giugno 2005
allincendio doloso del campo rom di via Vistrorio, dallopposizione alle
mille nocività che ci affliggono alla questione del lavoro che uccide. Un
corteo per raccontare le tante storie di chi non ha voce, le tante storie
dimenticate o distorte da uninformazione che non è che rauco raglio di
consenso per i potenti della città.
Non era facile costruire un percorso politico sullaria che tira, unaria
di merda, unaria che sa di chiusure identitarie, di voglia di forca
sempre più forte nelle periferie strangolate dallindifferenza e dalla
paura. Sul ciglio della strada maestra della politica, quella che gioca
leterno gioco del potere, delle alleanze che variano e mutano, delle
leggi elettorali fatte per questo e non per quello, nelle brevi note a
margine della cronaca, emerge una spaventosa quotidianità, fatta di
attacchi e aggressioni fasciste, di ordinanze e leggi contro gli
immigrati, di ronde padane, di cortei per la sicurezza, di sudiciume
culturale elevato al rango di opinione.
Chi ci governa, chiunque sia, alimenta la guerra tra poveri, facendo del
razzismo una dottrina di Stato.
È capitato che in una sola notte, nella nuova Torino tutta luci dartista
e grandi opere, sette operai siano morti tutti insieme, in ununica
fiammata dentro una fabbrica dove si lavora e si crepa come nell800.
Dolore, rabbia, le lacrime calde di chi vede la propria vita specchiata in
quella dei sette operai caduti nella guerra del lavoro, una guerra che
miete più vittime di quelle guerreggiate, ma resta nascosta tra i non
detti del nostro vivere sociale. Se si desse il suo nome a questa guerra,
nessuno potrebbe continuare a chiamare incidenti gli omicidi dei
lavoratori, se si desse il suo nome a questa guerra si saprebbe che non ci
sono norme o tutele che tengano di fronte alla frenesia di chi vuol
produrre e guadagnare, di chi considera loperaio una macchina facilmente
sostituibile, di ben poco valore.
E poi ci sono le lacrime ipocrite di chi, dai banchi del parlamento, dalle
poltrone del governo, dalle stanze delle burocrazie sindacali per anni ha
lavorato perché i padroni potessero riprendere il controllo dei posti
lavoro, quei posti dove, per una breve stagione, le cose erano andate un
po meglio per chi per vivere è costretto a vendere la vita. A volte anche
a perderla.
Non era facile raccontare le tante vicende sommerse di questa città e,
insieme, trovare il filo conduttore di una storia che non si può spezzare
senza rompere lordine sociale e politico che la rende possibile, senza
riprendere ad intrecciare i rapporti solidali tra chi ha poco e chi ancor
meno.
Non era facile perché si trattava di attraversare uno spazio simbolico e
reale devastato dal successo dalla città-luna park voluta dalla giunta
Chiamparino, di investire sulla possibilità che vi fosse una città capace
di rispondere ad un appello che escludeva una sinistra di governo, quella
che si fregia dellaltisonante appellativo di sinistra radicale, ma ogni
giorno avvalla a naso turato le peggiori porcherie: dalla guerra ai cpt,
dal pacchetto sicurezza alle grandi opere, per arrivare sino allinvio
dellesercito per fronteggiare la rivolta dei cittadini napoletani.
Il corteo di sabato 19 ha dimostrato che oltre il lunapark, al di là della
politica di palazzo, delle lacrime di coccodrillo dei sindacalisti di
stato, fuori dalla Torino delle grandi opere, cè una città capace di
rispondere allappello a rompere il silenzio, disposta a scendere in
piazza senza tutele e senza padri e padrini istituzionali. Una città che
non si è lasciata intimorire dalla canea mediatica scatenata dai
quotidiani torinesi.
La guerra dei media
Lennesimo episodio di prevaricazione poliziesca è stato utilizzato da La
Stampa, da Repubblica e Torinocronaca per creare un clima pesante intorno
al corteo. Sono le sei del pomeriggio di martedì 15 in una Torino uggiosa
e bagnata. Le strade a Vanchiglietta, quartiere popolare a ridosso del
centro, sono piene di gente. Un poliziotto, dicono a caccia di rapinatori,
chiede i documenti ad un ragazzo che rifiuta e fugge inseguito dal tutore
del disordine statale. Pistola alla mano, la canna puntata ad altezza
uomo, il poliziotto corre tra la gente. Alcuni cittadini, tra cui tre
anarchici, assistono alla scena e si intromettono chiedendo il perché di
quella pistola spianata a rischio dellincolumità di tutti. Con gli uomini
in divisa non si discute: arrivano le volanti che fermano i tre compagni
portandoli in questura. Più tardi due verranno rilasciati, mentre alla
ragazza è confermato larresto.
Nel giro di un paio dore un gruppo di persone si riversa in strada,
bloccando corso Regina e chiedendo a gran voce il rilascio dei compagni
fermati.
Un tentativo di partire in corteo viene impedito dalla polizia che carica,
disperdendo i manifestanti, due dei quali verranno fermati e
successivamente arrestati con laccusa di resistenza aggravata. La sera si
conclude con un presidio davanti alla questura, in una nottata bagnata e
silente.
I compagni usciranno nei due giorni successivi: le udienze di fronte al
gip non confermano gli arresti.
Subito parte la campagna di criminalizzazione. I media si scatenano:
vecchie foto di scontri vengono piazzate a centro pagina, si parla di
guerriglia urbana, violenze, addirittura di assedio alla questura. Un
orgia di balle ben calibrate che si concludono puntualmente con lallarme
per il corteo del 19. Lapoteosi si raggiunge il giorno precedente, quando
i tre quotidiani torinesi annunciano scontri e distruzioni, mentre
leghisti e fascisti si buttano sullosso, fanno interrogazioni
parlamentari, scrivono ad Amato per chiedere che vieti la manifestazione,
organizzano un presidio in centro, cui risponde puntuale un contropresidio
dei compagni.
Il giorno dopo il corteo i media concludono il loro sporco lavoro: fanno
folclore, si soffermano su abiti e acconciature, sostengono che il corteo
è stato disertato, che la città non ha risposto, che gli anarchici sono
isolati: un mare di menzogne. Niente o quasi sui contenuti, niente o quasi
sulle ragioni della manifestazione, che non ci sono o sono solo pretesti
per scatenare violenze. La solita paccottiglia sulle scritte sui muri,
sugli squatter eternamente giovani, sui faisti sempre vecchi, sugli
insurrezionalisti venuti da lontano coronano gli articoli dei maggiori
quotidiani.
Cronaca dallinterno di una bella giornata
Quella di sabato 19 è stata una giornata importante, un corteo con tante
anime che ha saputo creare comunicazione, rompendo il silenzio e spezzando
laccerchiamento dei media.
Ci si raduna di fronte al Teatro Regio sin dalluna, dopo aver partecipato
al presidio di fronte alla RAI in solidarietà alla popolazioni campane in
lotta contro discariche ed inceneritori. La piazza si riempie: arrivano i
compagni da fuori e soprattutto tanti torinesi. Subito partono gli
interventi, che segneranno tutto il corteo, con soste continue. Alessio
Lega e il suo compare Rocco abbracciano chitarra e basso e cantano le loro
canzoni di rivolta e lotta. Intorno alle tre e mezza il corteo parte. In
mezzo alla piazza brucia una tavola di legno con il simbolo di
Confindustria. Lo schieramento di polizia è imponente e tende a dilagare
intorno al corteo che sosta lungamente finché gli uomini in divisa non si
allontanano. Il corteo si muove lentamente: in apertura lo striscione
rompere il silenzio! poi i vari spezzoni, quello della Federazione
Anarchica, poi quelli di Torino Squatter, poi i compagni che si raccolgono
intorno allo slogan senza tregua per il conflitto sociale. Tra i
partecipanti ricordiamo lAssemblea antifascista permanente di Bologna, la
CUB, i No Tav, qualche esponente del PCL, il gruppo di Chambery della
Federation Anarchiste, Libera, il Circolo Berneri di Bologna,
lAssociazione per la decrescita, Saldatura, rete contro le nocività,
Ojak, lUSI Liguria, il circolo Zabriskie Point di Novara e tanti tanti
compagni e compagne da ogni dove. La partecipazione anarchica è di gran
lunga la più significativa.
Durante il corteo si fanno numerose soste; in via Po per ricordare le
cariche del 18 giugno 2005 e le condanne degli antifascisti, e poi davanti
al Fenix sgomberato che viene bersagliato con la vernice, poi ancora in
corso Giulio Cesare dove i tanti immigrati presenti sono invitati a unirsi
al corteo, che si ingrossa sempre più grazie alla loro partecipazione. Le
numerose telecamere lungo il percorso vengono oscurate. Allangolo con
corso Novara, di fronte alla lapide che ricorda il partigiano anarchico
Ilio Baroni, un compagno riannoda i fili della lunga resistenza torinese,
una resistenza che continua.
In piazza Crispi per un giorno diventata piazza Francisco Ferrer si
susseguono gli interventi a microfono aperto. Ricordiamo, tra i tanti,
quello di un giovane marocchino che parla della vita degli immigrati, con
un intervento preciso e determinato.
La folta partecipazione, oltre le duemila persone, la capacità
comunicativa sono stati i segni distintivi di una giornata che ha portato
in piazza la Torino che resiste, la Torino che non si piega e di fronte
alla barbarie che avanza, la Torino che sa che occorre rompere il
silenzio, resistere alla ferocia. E serve farlo subito, in tanti, senza
deleghe ad alcuno, perché stiamo scivolando in un baratro. Hanno
cominciato dagli ultimi, dai poveri, dagli immigrati, dai lavoratori,
dagli oppositori politici, ma se non li fermiamo andranno avanti.
Fermarli è dannatamente urgente.
Federazione Anarchica Torinese FAI
Corso Palermo 46 Torino
La sede è aperta ogni giovedì dopo le 21.
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