R: [Redditolavoro] A gamba tesa: Sergio Bologna
francesco_macheda at libero.it
francesco_macheda at libero.it
Wed Dec 17 02:22:42 CET 2008
ma non si vergona di scrivere ste cose? addirittura siamo arrivati ai "patti di
formazione negoziata"? che tristezza
>----Messaggio originale----
>Da:
spartacok at alice.it
>Data: 17/12/2008 0.30
>A: "redditolavoro"<redditolavoro at ecn.
org>
>Ogg: [Redditolavoro] A gamba tesa: Sergio Bologna
>
>
>Se non avete avuto
la pazienza di andarci da voi...
>Io l'copiato per poterlo archiviare.
>Ciao!
>
>e
>
>
>A gamba tesa: Sergio Bologna
>Toxic asset – toxic learning
>
>
>
>di
>Sergio Bologna
>
>Nello spirito del ’68 – senza nostalgie nè tormentoni
>(dopo
un incontro all’Università di Siena, organizzato dal Centro ‘Franco
>Fortini’
nella Facoltà di Lettere occupata, il 6 novembre 2008)
>State vivendo un’
esperienza eccezionale, l’esperienza di una crisi economica
>che nemmeno i
vostri genitori e forse nemmeno i vostri nonni hanno mai
>conosciuto. Un’
esperienza dura, drammatica, dovete cercare di approfittarne,
>di cavarne
insegnamenti che vi consentano di non restarvi schiacciati,
>travolti. Non
avete chi ve ne può parlare con cognizione diretta, i vostri
>docenti stessi
la crisi precedente, quella del 1929, l’hanno studiata sui
>libri, come si
studia la storia della Rivoluzione Francese o della Prima
>Guerra Mondiale.
>Ho letto che l’Ufficio di statistica del lavoro degli Stati Uniti prevede
>che nel 2009 un quarto dei lavoratori americani perderà il posto.
>Qui da noi
tira ancora un’aria da “tutto va ben, madama la marchesa”, si
>parla di
recessione, sì, ma con un orizzonte temporale limitato, nel 2010
>dovrebbe già
andar meglio e la ripresa del prossimo ciclo iniziare. Spero
>che sia così, ma
mi fido poco delle loro prognosi.
>Torno da un congresso che si è svolto a
Berlino dove c’erano i manager di
>punta di alcune delle maggior imprese
multinazionali, con sedi in tutto il
>pianeta, gente che vive dentro la
globalizzazione, che dovrebbe avere il
>polso dei mercati, gente che tratta
con le grandi banche d’affari e con i
>governi. Mi aspettavo un po’ di
chiarezza, qualche prognosi meditata.
>Balbettii, reticenze, sforzi per
minimizzare, qualcuno che fa saltare la
>conferenza all’ultimo minuto perché
richiamato d’urgenza. Pochissimi quelli
>che hanno parlato chiaro dicendo che
la cosa è molto seria, che nessuno sa
>come andrà a finire e che le
conseguenze potrebbero essere catastrofiche.
>
>Ma voi vi occupate –
giustamente – dei tagli alla spesa universitaria e
>tutti vi applaudono,
docenti in testa e politici d’opposizione e magari
>anche qualcuno della
maggioranza, siete scesi in piazza autonomamente e
>tutto sommato tira un’aria
di consenso attorno a voi. Non era così nel ’68,
>forse perché allora un po’
di violenza c’era, in parte provocata dal
>comportamento dello stato o delle
forze dell’ordine. Ma quel che di buono c’era
>allora, di eccezionale, era la
grande voglia di capire il mondo che avevano
>gli studenti. In Francia erano
partiti dalle tasse universitarie, dal
>discorso della riforma degli studi ma
tutto sommato quel che volevano era
>molto di più, volevano darsi gli
strumenti per cambiare le cose, volevano
>capire cosa succedeva nei paesi
comunisti, o nell’America Latina dove sei
>mesi prima Che Guevara ci aveva
lasciato la pelle, volevano capire a cosa
>portava la politica di Piano del
governo gollista, che cos’era un sindacato
>operaio, volevano vedere come
funzionava una fabbrica e come parlavano gli
>operai dentro, come funzionava
un ospedale e come venivano trattati i
>malati. E’ questa grande voglia di
sapere, questa sconfinata ambizione di
>sapere, questa utopica sfida alle
capacità della propria conoscenza, che io
>non vedo tra di voi. O, meglio, che
all’esterno non si vede, non si
>percepisce.
>Volete salvare l’Università,
così com’è? Spero di no. Com’è oggi non vale
>una messa, come si dice. Oggi si
taglia malamente, d’accordo, ma ieri si è
>speso peggio e tutti i governi ci
hanno messo del suo. L’Università si è
>allargata come un virus, qualunque
cittadina con un sindaco un po’ dinamico
>riusciva ad avere il suo pezzetto d’
Università. L’Università come retail.
>Alla qualità della spesa nessuno ha
pensato e ben presto è nato il sospetto
>che questo meccanismo dilatatorio non
fosse – come ci raccontavano – animato
>dalla nobile intenzione di fare della
conoscenza una merce a portata di mano
>ma dal meschino proposito di creare
cattedre con il loro corollario di posti
>precari e malpagati. Se non temessi
d’essere frainteso vi direi: “La
>difendano loro questa Università, i
professori”. Voi che c’entrate? Avete
>mai avuto modo di partecipare sia pure
alla lontana alle decisioni che sono
>state alla base della configurazione
dell’Università com’è oggi? Finora, con
>le vostre tasse avete pagato un
servizio sulla cui qualità ed efficienza non
>esistono parametri di
valutazione di cui possiate disporre per chiederne il
>miglioramento. “Mangia
questa minestra o salta da quella finestra”. E quasi
>uno studente su due
salta, il tasso di abbandono nell’Università italiana –
>leggo sul sito www.
lavoce.info – è vicino al 50%. E chi inizia gli studi e
>li abbandona sapete
bene che è un soggetto ad alto rischio di
>disadattamento. Una volta, quando
la lingua italiana aveva ancora un tono
>popolare, si diceva “E’ uno
spostato”.
>“Gli studenti italiani potrebbero fare causa a metà degli atenei
italiani
>per i servizi che offrono”, scrive Roberto Perotti, nel libro L’
Università
>truccata (Einaudi, Torino 2008) – un libro che spero tutti voi
abbiate
>almeno scorso. A leggerne le prime 90 pagine vien da pensare che
qualche
>abbandono può essere stato provocato dallo schifo di fronte a certe
>situazioni di nepotismo e di corruzione. Un libro che sfata alcuni miti, che
>combatte alcuni luoghi comuni, come quello delle scarse risorse dedicate in
>Italia all’Università. Sono scarse se si calcola l’ammontare della spèsa
>diviso per il numero di studenti iscritti ma se invece si assume come
>parametro non il numero degli iscritti ma di quelli che frequentano
>veramente a tempo pieno, l’Italia sarebbe ai primi posti nel mondo.
>Ma molti
di voi potrebbero dirmi che la lotta contro i tagli al budget
>universitario è
solo un veicolo per esprimere a livello di massa e con
>facile consenso
opposizione al governo Berlusconi. Dunque non di bassa
>cucina si tratterebbe,
non di volgari valori economici, ma di alta politica.
>E come nel ’68 gli
studenti francesi avevano lottato in definitiva contro il
>Generale De Gaulle,
così quarant’anni dopo gli studenti italiani
>lotterebbero contro il Cavaliere
Berlusconi. (Per inciso debbo dire che mai
>due si sono assomigliati di meno,
il Cavaliere anche coi tacchi rinforzati
>non sarebbe arrivato alla cintola
del Generale, l’uno alto alto, rigido e
>solenne come una statua di cera, l’
altro piuttosto basso e tarchiato,
>gesticolante a dentiera scoperta). Ma se
questa è l’alta politica che vi
>spinge all’azione mi sentirei in tutta
franchezza di dirvi “scegliete un
>percorso diverso” perché altrimenti
rischiate di farvi usare come carne da
>macello da coloro che condividono con
la Destra il pensiero strategico
>sottostante alle scelte economiche della
Seconda Repubblica e dunque sono
>sostanzialmente corresponsabili della crisi
attuale e delle sue conseguenze
>future. Ciò che minaccia il vostro futuro non
è soltanto il governo della
>signora Gelmini ma un pensiero economico
bipartisan che non ha mai saputo né
>voluto mettere vincoli o imporre regole a
una gestione del sistema
>finanziario dove nulla ormai assomiglia a un mercato
ma tutto assomiglia a
>un gioco d’azzardo con i soldi dei lavoratori e della
middle class che vive
>del proprio lavoro. Un sistema che è stato capace di
creare ricchezza
>fittizia e di distruggere ricchezza reale in misura mai
vista nella storia
>recente. Un sistema la cui follìa era già evidente a tutti
almeno dallo
>scoppio della bolla del 2001, un sistema che premiava i manager
che
>gestivano le imprese non per farle crescere ma per farle dimagrire,
>aumentandone il valore di borsa a furia di licenziamenti del personale, per
>rivenderle e intascare fior di premi e plusvalenze. Un sistema che in nome
>dell’efficienza e della competitività distruggeva soprattutto le competenze,
>il capitale umano (quando si licenzia per diminuire l’incidenza dei salari
>si comincia dalle posizioni meglio retribuite, cioè dagli impiegati e
>tecnici più anziani e con maggiore esperienza). Un sistema che ha riprodotto
>nella società le abissali differenze di reddito esistenti nelle grandi
>aziende (manifatturiere o di servizi che siano) e che quindi ha ridotto l’
Italia
>in un paese con i maggiori squilibri tra la parte più ricca e quella
meno
>ricca della popolazione, come ben testimonia l’indagine Bankitalia
sulle
>famiglie italiane. Un sistema che ha consentito
>“a chi lavorava nella
finanza di guadagnare già nel 2000 il 60 per cento in
>più rispetto agli altri
settori” – scrive Esther Duflo, che insegna al MIT
>di Boston - e aggiunge:
>
“Il problema delle remunerazioni è stato ovviamente affrontato negli Stati
>Uniti quando si è discusso il piano Paulson, che autorizza il governo
>americano a spendere 700 miliardi di dollari per acquistare i toxic asset
>rifiutati dai mercati. Sembra ingiusto far pagare ai contribuenti il
>disastro creato da coloro che in un’ora guadagnavano 17mila dollari”,
>e
conclude il suo intervento con queste parole:
>“Osservando gli avvenimenti di
questi giorni vien voglia di mandare a casa
>certi nostri amministratori
delegati del settore finanziario. Speriamo
>almeno che la fine dei guadagni
esorbitanti incoraggi i giovani a dedicarsi
>ad altri settori dove i loro
talenti potrebbero essere più utili alla
>società. La crisi finanziaria
potrebbe farci cadere in una recessione grave
>e prolungata. L’unico vantaggio
potrebbe appunto essere quello di un
>migliore impiego dei nostri giovani più
dotati”.
>Le elezioni americane, portando alla presidenza Barack Obama, sono
state una
>bella reazione a questa insopportabile situazione e fareste bene a
>riflettere in seminari di autoformazione su quel che è accaduto negli Stati
>Uniti. Tutta la stampa e l’opinione corrente è unanime nel dire: “E’
>accaduto un fatto nuovo perché è stato eletto un nero, un afroamericano”.
>Soliti giudizi superficiali, da semianalfabeti della politica. Queste
>elezioni sono state importanti perché dopo circa 30 anni – dai tempi di
>Reagan – la tematica di classe è stata al centro del dibattito. Non del
>proletariato, ma della middle class (di cui fanno parte anche strati operai
>di grande fabbrica), cioè di quel ceto medio che per più di un secolo ha
>fatto da collante alla credibilità dell’american dream e che da alcuni
>anni
– proprio in conseguenza dei processi scatenati da una forma di
>capitalismo
senza regole e senza etica, un capitalismo di avventurieri e di
>giocatori d’
azzardo – ha subìto un processo d’impoverimento che non trova
>paragoni se non
nella grande crisi del 1929. Contro questa tendenza alla
>disgregazione
sociale e all’impoverimento della middle class hanno
>cominciato a battersi da
alcuni anni molte iniziative civiche (tra le tante
>quella messa in piedi
dalla nota giornalista e scrittrice Barbara Ehrenreich
>con il sito www.
unitedprofessionals.org). Barack Obama ha colto questo
>disagio, questo
malessere, e ne ha fatto il suo tema dominante. Non ha
>parlato, come ormai ci
hanno abituato questi bolsi, stucchevoli,
>“politicamente corretti” leader
della cosiddetta Sinistra, di “quote rosa”,
>di gay, non ha parlato di bianchi
e di neri, di aiuole pulite e di
>biciclette, è andato al sodo, ha puntato il
dito sui disastri del
>neoliberalismo selvaggio, ha fatto per la prima volta
dopo 30 anni un
>discorso di classe. E ha vinto riuscendo a portare alle urne
anche i
>giovani, che al 70% hanno votato per lui. Ha colto la grande tendenza
dell’epoca,
>quella che da tempo cerco di chiarire a me stesso ed agli altri
nei miei
>scritti sul lavoro (l’ultimo mio libro si intitolava “Ceti medi
senza
>futuro?” e non se l’è filato nessuno).
>Sono convinto che la lotta che
state conducendo potrebbe essere utile a voi
>stessi e agli altri se ne
approfittaste per crearvi un vostro sistema di
>pensiero, per procurarvi
strumenti critici in grado di capire com’è accaduto
>quel che è accaduto e
quali sono stati i perversi meccanismi che in questi
>ultimi vent’anni hanno
dominato l’economia, senza che venissero contestati
>né da Destra né da
Sinistra – a parte qualche voce isolata di studioso. “Un
>sistema che si
autoregola, per questo esistono le Authorities” - recitava la
>litania
liberista in questi anni. Balle! Basterà dire che lo scandalo Enron,
>che
spesso viene portato ad esempio della severità con cui il sistema USA
>punisce
le aziende dal comportamento irregolare, non sarebbe mai scoppiato
>se una
donna che era membro del Consiglio di Amministrazione non avesse
>deciso di
“cantare”, di svelare gli imbrogli. Una “gola profonda” è stata
>all’origine
di tutto, non certo l’FBI! Negli anni della forsennata
>privatizzazione
(1992/93) con cui l’Italia ha messo nelle mani di nuovi
>raider della finanza
immensi patrimoni pubblici (leggetevi a questo
>proposito il libro di Giorgio
Ragazzi I signori delle autostrade, Il Mulino,
>Bologna 2008 – ma lo stesso se
non peggio potrebbe dirsi di Telecom),
>suggellando il suo “golpe bianco” con
l’accordo sindacale del luglio 1993
>grazie al quale oggi abbiamo i salari d’
ingresso più bassi d’Europa, non
>erano certo personaggi della nuova Destra a
menare la danza ma uomini come
>Romano Prodi ed altri ex manager pubblici. A
beneficiarne sono stati i
>Tronchetti Provera, i Benetton, i Colaninno, i
Gavio – li ritroviamo tutti
>guarda caso oggi nella vicenda Alitalia. L’
Università di Siena ha la
>reputazione di essere un centro di eccellenza nelle
discipline economiche e
>bancarie. Vi hanno mai parlato di queste storie e
come ve ne hanno parlato?
>E della crisi odierna che vi dicono? Che è una
solita crisi ciclica, forse
>un po’ più acuta ma in sostanza è tutto normale,
razionale, un po’ di
>eccessi magari ci sono stati ma il sistema è saldo, è
sano. Questo vi
>dicono? Non vi dicono che questo sistema, questi meccanismi,
creano,
>stabilizzano, consolidano le disuguaglianze sociali, le ingiustizie
sociali?
>Non vi dicono che questo sistema umilia, calpesta le competenze, il
capitale
>umano? Che è l’esatto contrario della knowledge economy di cui si
riempiono
>la bocca, l’esatto contrario di un sistema meritocratico? E se non
ve le
>dicono queste cose, se continuano a raccontarvi le solite favole di
>Cappuccetto Rosso, se continuano a farvi flebo d’ideologia liberista –
>allora mandateli loro a protestare nelle piazze per i tagli all’Università.
>Questa vostra lotta ha un senso se è un passo in avanti, se diventa atto
>costitutivo di un processo di autoformazione.
>Quel che è avvenuto in questi
mesi non è mai accaduto nell’ultimo secolo e
>cioè che istituzioni e persone
le quali hanno prodotto danni incalcolabili
>(pensate soltanto ai fondi
pensione che si sono volatilizzati con questa
>crisi!) invece di essere punite
ed i loro beni sequestrati, sono state
>salvate senza che lo stato, che ha
fornito i mezzi per salvarle, assumesse
>il controllo di queste istituzioni.
Un regalo di enormi proporzioni agli
>avventurieri, ai ladri, una terribile
lezione morale per le nuove
>generazioni. (Non che la gestione pubblica
sarebbe stata migliore, in
>Germania le peggiori nefandezze le hanno commesse
alcune banche pubbliche
>come la Landesbank della Baviera).
>C’è stato
qualcuno che vi ha chiamato in piazza per opporvi a questa
>vergogna?
>Ma ha
ragione in un certo senso anche chi dice: “che cosa si poteva fare d’altro?”
>Nessuno infatti ha saputo o voluto in questi anni immaginare una società
>diversa che non fosse un’utopia. Alternative globali nessuna, solo strategie
>di sopravvivenza. Ed è sostanzialmente questo che vi propongo anch’io:
>costruendo percorsi comuni di autoformazione costruite anche delle reti, vi
>liberate pian piano dalla costrizione all’isolamento, dall’individualismo e
>soprattutto dall’illusione che “una buona preparazione universitaria”,
>corredata magari da qualche corso o master post laurea, possa mettervi al
>riparo dalla crisi, dalla sottoccupazione o dall’umiliazione di vedervi
>trattati dal datore di lavoro come un puro costo.
>In un paese dove i salari d’
ingresso, quelli dei primi assunti, sono i più
>bassi d’Europa, la
preparazione conta assai poco. I precari, i lavoratori a
>tempo determinato,
hanno delle remunerazione parametrate su quelle dei primi
>assunti. Dunque
anche loro sono pagati peggio che altrove. E le vostre
>generazioni rischiano
di andare avanti con lavoretti precari fino ai 40
>anni. Pertanto è pura
demagogia quella di coloro che parlano di
>democratizzazione degli accessi,
che difendono di questa università il fatto
>che possono iscriversi anche i
figli di famiglie povere. Il problema non è
>la massificazione della
popolazione studentesca ma il fatto che il capitale
>umano di un laureato non
vale una cicca sul mercato del lavoro! O i giovani
>riacquistano un minimo di
forza contrattuale sul mercato del lavoro oppure l’università
>sarà solo un
frigorifero di disoccupati, un osceno apparato di puro
>controllo sociale.
Pesanti le responsabilità sindacali per questa
>situazione. Miope e meschina
la strategia del padronato italiano da vent’anni
>a questa parte. Squallido il
mondo dell’informazione che su questa realtà
>tace o si sofferma di sfuggita.
Quarant’anni fa gli studenti sono andati
>nelle fabbriche, negli uffici, nei
laboratori di ricerca, negli ospedali,
>nelle aule dei tribunali, nelle
redazioni dei giornali a vedere come
>funziona il mondo reale, non si sono
accontentati di lasciarselo raccontare,
>non hanno fatto visite guidate.
Ficcatevi nei processi reali ovunque se ne
>presenti l’occasione! Usate la
grande risorsa del web per procurarvi le
>notizie alla fonte, per attingere a
visioni critiche del mondo, anche se
>questo esercizio talvolta vi costringe a
rovistare nella spazzatura di
>Internet. Gli Stati occidentali che hanno
smantellato i sistemi di welfare
>si sono ridotti a ingoiare toxic asset, voi
cercate di non inghiottire toxic
>learning! Avrete già fatto un passo in
avanti per vivere meglio.
>Organizzate incontri con quelli che hanno alcuni
anni più di voi, fatevi
>raccontare come vengono accolti dal mondo del lavoro,
quando escono dall’Università.
>Frequentate i blog dove la gente racconta le
proprie esperienze di lavoro,
>chiedetevi seriamente se val la pena di
studiare in un’Università com’è
>fatta oggi oppure se non sia meglio costruire
processi di autoformazione e
>di controinformazione. Scatenate la fantasia nel
creare un’estetica della
>protesta, efficace, aggressiva, non ripetitiva, le
forme della comunicazione
>sono state uno degli strumenti vincenti delle lotte
del proletariato nel
>Novecento, ripercorrete le spettacolari performances
degli occasionali dello
>spettacolo francesi che hanno tenuto duro per un paio
d’anni, buttate nella
>spazzatura vecchi slogan, scanditi stancamente, parole
d’ordine che sono
>ormai diventate banalità che fanno venire il latte alle
ginocchia. Ai vostri
>colleghi che affollano le facoltà di comunicazione non
viene nulla in testa?
>Ho insegnato all’Università per quasi vent’anni, quando
mi hanno cacciato
>non ho fatto nulla per restare, per difendere la mia
cattedra, gli ultimi
>due anni d’insegnamento li ho passati all’Università di
Brema, ormai un
>quarto di secolo fa. Ci sono tornato in questi giorni perché
un mio collega
>di allora prendeva congedo definitivo dall’insegnamento e
andava in pensione
>un anno prima del termine previsto dalla legge in
Germania. Aveva
>rinunciato, com’è d’uso, alla lectio magistralis. E nelle
poche parole di
>congedo davanti a un centinaio di amici e colleghi ha voluto
dire perché se
>ne andava in anticipo. “ho fatto il Preside di Facoltà in
questi ultimi
>cinque anni, mi ci sono dedicato completamente, pensando di
fare il mio
>dovere, non ho avuto tempo né di studiare né di tenermi
aggiornato, non me
>la sento di tornare a insegnare per dire le stesse cose di
cinque anni fa,
>non me la sento per onestà verso gli studenti”. Quanti
docenti italiani
>farebbero lo stesso? Questi fanno i Ministri e poi tornano
tranquillamente a
>insegnare, specialmente se vengono da governi di centro-
sinistra. Malgrado l’Università
>italiana sia un luogo da cui sono contento di
essermene andato, sia un luogo
>che umilia le intelligenze invece di
stimolarle, credo che siano ancora
>tanti i docenti e molti i ricercatori con
i quali voi potete stabilire un
>patto di formazione negoziata. Le dinamiche
di coalizione che si creano
>durante un processo rivendicativo, durante una
protesta che chiede la
>restituzione di qualcosa – come la maggior parte delle
proteste che nascono
>da situazioni difensive e non da un’iniziativa
preventiva – sono molto
>fragili e rischiano d’impoverirsi e irrigidirsi,
troppo focalizzate sull’obbiettivo.
>Pertanto occorre pensare ad attivare
processi di continuità, svincolati dall’obbiettivo.
>Francamente, se la 133
viene ritirata la vostra condizione di fondo non
>cambia. E’ questa condizione
che dovete cambiare.
>
>
>
>http://www.nazioneindiana.com/2008/11/13/a-gamba-
tesa-sergio-bologna/#more-1
>
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