[Redditolavoro] il gruppo Krisis sulla crisi
CyberGodz
cybergodz at ecn.org
Thu Dec 4 19:26:42 CET 2008
ri-hola tutti e tutte,
sempre come intermezzo filosofico, giro anche questo intervento del
gruppo krukko "krisis" sulla crisi (non potevano mancare... ;-) )
Idem come per latouche
buone letture e byebye
***
-Crashkurs
Perché lo scoppio della bolla finanziaria non è da imputarsi all'avidità
dei banchieri e non è possibile alcun ritorno al "capitalismo del welfare"
Una nuova "leggenda della pugnalata alle spalle" (cfr.
http://it.wikipedia.org/wiki/Dolchsto%C3%9Flegende) sta facendo il giro
del mondo: la "nostra economia" sarebbe caduta vittima della sconfinata
avidità di un pugno di banchieri e speculatori. Ingozzati dalla
conveniente moneta della Banca Centrale degli USA (la Federal Reserve) e
coperti da politici irresponsabili, costoro avrebbero portato il mondo
alle soglie dell'abisso, mentre gli "onesti" venivano una volta di più
presi per il naso.
Niente è oggettivamente più falso e ideologicamente più pericoloso di
questa diffusa rappresentazione che passa attraverso tutti i canali
dell'opinione pubblica. Le cose stanno esattamente al contrario. Il
mostruoso rigonfiamento dei mercati finanziari non è la causa della
miseria, bensì è esso stesso un tentativo di contrastare la crisi
fondamentale con la quale la società capitalistica si misura già dagli
anni '70. In quel periodo giunse a termine, con il boom economico
successivo alla seconda guerra mondiale, un lungo periodo di crescita
dell'economia reale, reso possibile dalla generalizzazione del modo di
produzione industriale e dal suo ampliamento verso nuovi settori come la
produzione dell'automobile. Per la produzione di massa degli anni '50 e
'60 erano necessarie grosse quantità di forza lavoro, che da essa
traevano il proprio salario che a sua volta permetteva loro di fruire
della massa delle merci. Da allora l'ampia e diffusa razionalizzazione
dei settori chiave della produzione del mercato mondiale, che ha sempre
più sostituito la forza lavoro con processi automatizzati, ha distrutto
questo meccanismo e con esso i presupposti per un nuovo boom economico
sorretto dall'economia reale. La crisi capitalistica classica è stata
soppiantata dalla fondamentale crisi del lavoro.
Forza lavoro svalorizzata=umanità "superflua"
È un risultato tipico delle folli contraddizioni del modo di produzione
capitalistico il fatto che l'enorme aumento di produttività ottenuto
grazie alla "rivoluzione microelettronica" non renda possibile un buon
livello di vita per tutti. Al contrario: il lavoro viene compresso, i
ritmi di lavoro accellerati e le prestazioni intensificate. Dappertutto
nel mondo sempre più persone devono vendersi alle peggiori condizioni
affinché la loro forza-lavoro possa venir sempre di nuovo valorizzata
rispetto al livello di produttività vigente.
Alle contraddizioni del capitalismo appartiene però anche che esso
stesso mina i propri fondamenti, poiché una società che si basa sullo
sfruttamento della forza-lavoro umana incontra i propri limiti
strutturali quando essa rende superflua in sempre più crescente misura
questa stessa forza-lavoro. La dinamica dell'economia mondiale è tenuta
in corsa, oramai da più di 30 anni, solo da una sempre crescente bolla
speculativa e creditizia ("capitale fittizio"). Il capitalismo ha
iniziato a rivolgersi verso i mercati finanziari perché l'economia reale
non offriva più alcuna soddisfacente possibilità di investimento. Gli
stati si sono indebitati per coprire il loro bilancio e sempre più
persone hanno iniziato a finanziare i loro consumi direttamente o
indirettamente con il credito. In questo modo la sfera finanziaria è
divenuta l'"industria di base" del mercato mondiale e il motore della
crescita capitalistica. La molto decantata economia reale non è dunque
stata "schiacciata" dalla sfera finanziaria, al contrario, essa poteva
fiorire nuovamente solo come sua appendice. Il "miracolo economico
cinese" e la "Germania campione mondiale dell'export" degli ultimi
decenni non avrebbero potuto esistere senza questo gigantesco circuito
di indebitamento globale, con gli USA a giocare un ruolo centrale
Stato di emergenza e stagflazione
Questo contino procrastinare la crisi ha raggiunto i suoi limiti. Non
c'è comunque da esserne troppo felici. Gli effetti potrebbero essere
drammatici, poiché adesso l'insieme di crisi e svalorizzazione
accumulatosi negli ultimi trenta anni potrebbe scaricarsi con estrema
violenza. La politica può influire sui ritmi e sul corso di questo
processo, tuttavia non può fermarlo. Le miliardarie "manovre anti-crisi"
possono fallire, e la crisi rovinerebbe sulla cosiddetta "economia
reale" con conseguenze catastrofiche, oppure riescono a "tenere" ancora
una volta causando però l'ennesimo esorbitante aumento del debito
pubblico che porterà ad un nuovo gigantesco collasso finanziario in un
prossimo futuro. Il ritorno della "stagflazione" -- inflazione
galoppante combinata ad una contemporanea recessione -- è già in corso,
ad un livello più alto di quello degli anni '70.
Negli ultimi decenni i salari sono stati fortemente compressi, le
condizioni di lavoro precarizzate e gran parte del settore pubblico
privatizzata, tanto che una parte insospettabilmente sempre più grande e
in quantità sempre più crescente di persone è diventata semplicemente
superflua. Il tanto reclamato "ruolo rinnovato dello stato" non ha la
minima chance di ricreare un nuovo "welfare-capitalismo" stile anni
'60-'70, con la piena occupazione e un crescente benessere collettivo.
Al contrario, servirà solo ad organizzare ed amministrare l'esclusione
sociale, razziale e nazionalistica. Il ritorno della "politica
regolativa" e del "capitalismo di stato" è concepibile solo nella forma
di uno stato di emergenza repressivo e autoritario.
Il mondo è troppo ricco per il capitalismo
L'attuale crisi dei mercati finanziari segna un punto di non-ritorno
nell'epoca del capitale fittizio e con ciò la crisi fondamentale del
capitalismo, visibile sin dagli anni '70, raggiunge un nuovo livello.
Questa crisi non è quella di uno specifico "sistema anglo-sassone" del
"neo-liberismo", come viene talvolta affermato a seguito di
mobilitazioni mosse da un sentimento anti-americano con venature
anti-semitiche. Piuttosto ciò che si mostra adesso è che il mondo è
troppo ricco per il miserabile modo di produzione capitalistico, che la
società è destinata a frantumarsi, inselvatichirsi ed essere ridotta
alla mercé della miseria, della violenza e dell'irrazionalità se non
riesce ad oltrepassarlo una volta per tutte.
Il problema non sono gli "speculatori" o i mercati finanziari, bensì
l'assurdità di un sistema sociale che produce ricchezza solo come
prodotto di scarto della valorizzazione del capitale, sia essa reale o
fittizia. Il ritorno ad un capitalismo solo apparentemente stabile,
fondato sull'impiego di enormi masse di lavoratori, non è più possibile
né auspicabile.
Ogni sacrificio che ci venga richiesto per mantenere in vita la
(auto)distruttiva dinamica di questo folle modo di produzione e di vita
è una sberleffo alla dignitosa esistenza che già da lungo tempo sarebbe
possibile vivere in una società emancipata dalla produzione delle merci,
dal denaro e dallo stato. La crisi mette in questione l'intero sistema.
Sta a noi, adesso, trovare la risposta.
Gruppo Krisis
---
(originale tedesco)
Crashkurs
Warum am Platzen der Finanzblase nicht die "Gier der Banker" Schuld ist
und es keine Rückkehr zum "Rheinischen Kapitalismus" geben kann
Eine neue Dolchstoßlegende macht die Runde: "unsere Wirtschaft" soll der
grenzenlosen Habgier einer Handvoll Banker und Spekulanten zum Opfer
gefallen sein. Gefüttert durch das billige Geld der US-Zentralbank und
unterstützt durch unverantwortliche Politiker hätten sie die Welt an den
Rand des Abgrunds geführt, während "die Ehrlichen mal wieder die Dummen"
seien.
Nichts ist sachlich so falsch und ideologisch so gemeingefährlich wie
diese auf allen Kanälen der öffentlichen Meinung verbreitete
Vorstellung. Umgekehrt wird ein Schuh daraus. Die ungeheure Aufblähung
der Finanzmärkte ist nicht Ursache der Misere, sondern war selber schon
ein Ausweichmanöver vor der fundamentalen Krise, mit der die
kapitalistische Gesellschaft bereits seit den 1970er Jahren zu kämpfen
hat. Damals endete mit dem Nachkriegsboom eine lange Periode
selbsttragenden realwirtschaftlichen Wachstums, das die Ausweitung und
Verallgemeinerung der industriellen Produktionsweise auf neue Sektoren
wie etwa die Autoherstellung zur Grundlage hatte. Zur Produktion der
Massenwaren waren in den 1950er und 60er Jahren Massen an zusätzlichen
Arbeitskräften erforderlich, die dadurch in Lohn und Brot standen und
sich eben deswegen die Massenwaren auch leisten konnten. Seitdem hat die
flächendeckende Rationalisierung in den Kernsektoren der
Weltmarktproduktion, die immer mehr Arbeitskräfte durch automatisierte
Prozesse ersetzt, diesen Mechanismus zerstört und damit die
Voraussetzung für einen von der Realwirtschaft angetriebenen Boom. Die
klassische kapitalistische Krise ist von der fundamentalen Krise der
Arbeit abgelöst worden.
Entwertete Arbeitskraft -- "überflüssige" Menschen
Es gehört zu den verrückten Widersprüchen der kapitalistischen
Produktionsweise, dass der ungeheure Produktivitätssprung durch die
"mikroelektronische Revolution" nicht etwa ein gutes Leben für alle
ermöglicht hat. Im Gegenteil: Die Arbeit wurde verdichtet, das
Arbeitstempo beschleunigt und der Leistungsdruck erhöht; weltweit müssen
sich immer mehr Menschen zu den schlimmsten Bedingungen verkaufen, weil
ihre Arbeitskraft gemessen am gültigen Produktivitätsniveau immer weiter
entwertet wird.
Zu den Widersprüchen des Kapitalismus gehört aber auch, dass er sich
damit die eigenen Grundlagen entzieht. Denn eine Gesellschaft, die auf
der Ausbeutung der menschlichen Arbeitskraft beruht, stößt an ihre
strukturellen Grenzen, wenn sie diese Arbeitskraft in wachsendem Maße
überflüssig macht. Die weltwirtschaftliche Dynamik wird schon seit über
dreißig Jahren nur noch durch eine immer größere Aufblähung von
Spekulation und Kredit ("Fiktives Kapital") in Gang gehalten. Das
Kapital wich an die Finanzmärkte aus, weil die Realwirtschaft keine
ausreichenden Anlagemöglichkeiten mehr bot. Die Staaten verschuldeten
sich, um ihre Haushalte zu decken und immer mehr Menschen finanzierten
ihren Konsum direkt oder indirekt auf Pump. Auf diese Weise wurde die
Finanzsphäre zur "Basisindustrie" des Weltmarkts und zum Motor des
kapitalistischen Wachstums. Die viel gepriesene Realwirtschaft ist also
nicht durch die Finanzsphäre "erdrückt" worden. Im Gegenteil: sie konnte
nur noch als deren Anhängsel erblühen. Das "chinesische
Wirtschaftswunder" und der "Exportweltmeister Deutschland" wären ohne
den riesigen globalen Verschuldungskreislauf der letzten Jahrzehnte mit
den USA im Zentrum nicht möglich gewesen.
Notstandsverwaltung und Stagflation
Die Grenzen dieses Krisenaufschubs sind nun erreicht. Grund zur Freude
ist das nicht. Die Folgen werden dramatisch sein. Denn nun entlädt sich
das gesamte aufgestaute Krisen und Entwertungspotential der letzten
dreißig Jahre mit voller Wucht. Die Politik hat allenfalls Einfluss auf
das Tempo und den Verlauf dieses Prozesses. Grundsätzlich aufhalten kann
sie ihn nicht. Entweder die billionenschweren "Rettungspakete" verpuffen
und die Krise schlägt mit katastrophalen Folgen auf die "Realwirtschaft"
durch. Oder sie "greifen" noch einmal und exorbitant steigende
Staatsverschuldung wäre das Ergebnis, gefolgt vom nächsten, noch
größeren Krisenschub in naher Zukunft. Die Rückkehr der "Stagflation" --
der Gleichzeitigkeit von chronischer Rezession und galoppierender
Inflation -- auf weit höherem Niveau als in den 1970er Jahren, zeichnet
sich jetzt schon ab.
Sind schon in den letzten Jahrzehnten die Lohneinkommen massiv gedrückt,
die Arbeitsbedingungen prekarisiert und große Teile des öffentlichen
Sektors privatisiert worden, so wird nun ein ungeahnt großer und weiter
wachsender Teil der Menschheit schlicht für "überflüssig" erklärt
werden. Die vielbeschworene "neue Rolle des Staates" wird mitnichten in
der Wiederherstellung eines "Rheinischen Kapitalismus" der 60er Jahre
mit Vollbeschäftigung und wachsendem Wohlstand bestehen, sondern darin,
den sozialen, rassistischen und nationalistischen Ausschluss zu
organisieren und zu verwalten. Die Rückkehr der "Regulation" und des
"Staatskapitalismus" ist nur noch in der Gestalt einer autoritären und
repressiven Notstandsverwaltung denkbar.
Die Welt ist zu reich für den Kapitalismus
Die aktuelle Finanzmarktkrise markiert den Wendepunkt in der Epoche des
fiktiven Kapitals und damit erreicht die fundamentale Krise des
Kapitalismus, die sich schon in den 1970er Jahren abzeichnete eine neue
Stufe. Diese Krise ist nicht nur die eines spezifischen
"angelsächsischen Systems" des "Neoliberalismus", wie unter
Mobilisierung antiamerikanischer Affekte mit teils deutlich
antisemitischem Einschlag überall behauptet wird. Vielmehr zeigt sich
nun, dass die Welt für die armselige kapitalistische Produktionsweise
längst zu reich ist; dass die Gesellschaft auseinanderbrechen,
verwildern und in Elend, Gewalt und Irrationalismus versinken muss, wenn
es nicht gelingt, diese zu überwinden.
Gruppe Krisis
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