[Redditolavoro] incontro sulla decrescita a Livorno

CyberGodz cybergodz at ecn.org
Tue Dec 4 09:16:03 CET 2007


Hola tutti,
vi giro il "referat" di un incontro sulla decrescita avvenuto a Livorno 
martedi' 20/11 nell'ambito di un "presidio resistente" contro la vicenda 
rigassificatore offshore (per info==> http://www.offshorenograzie.it)
Incollo il testo direttamente qui sotto.
ciao a tutti e buona lettura
max

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(per incontro martedì 20/11 al tendone - legendina: P =pubblicazione
Piemonte / DD = Discorso sulla Decrescita / SD = la Scommessa della
Decrescita)

Che cos'è la decrescita

- Innanzitutto, la decrescita è paradigma "culturale" più che non
formula operativa o manuale di istruzioni pronto per l'uso: uno "slogan
provocatorio" (Latouche) contro l'ossessione della crescita. Meglio
addirittura parlare di a-crescita, cioè usando l’“a-”privativo greco per
indicare la necessità di uscire dall’orizzonte che tiene di conto la
crescita come indicatore di benessere. [cf Latouche: "Se vogliamo essere
più rigorosi dovremmo parlare di A-CRESCITA come si parla di ateismo e
precisamente si tratta della medesima cosa, si tratta di uscire dalla
religione dell’economia, dalla religione della crescita, diventare degli
agnostici della crescita, dell’economia, dello sviluppo" p.1 P]

- soprattutto dunque un tentativo di cambiamento d'immaginario,
quell'immaginario oggi forgiato sulla credenza che sia necessaria una
crescita economica - nelle società moderne industriali misurata con il
PIL - per assicurare un benessere per tutti.

- questo immaginario, lungi dall’essere connaturato – come vorrebbero
farci credere – all’essere umano, è invece un fenomeno recente,
storicamente limitato, onni-pervasivo a partire praticamente solo dalla
fine della II guerra mondiale. [cf Bonaiuti: "Come hanno mostrato in
particolare gli studi di M.Sahlins (1980), nelle società arcaiche di
cacciatori e raccoglitori non è rintracciabile alcuno sforzo di
incrementare la produttività del lavoro, come dimostra il fatto che il
tempo a esso dedicato non supera mediamente le quattro ore al giorno. La
maggior parte della giornata è dedicata all’ozio, al gioco e alle
celebrazioni rituali. Ancora in pieno medioevo, in Europa, usi e
tradizioni religiose imponevano una settimana lavorativa assai più breve
di quella oggi riconosciuta come frutto delle lotte sindacali. Per avere
una misura di come l’avvento del mercato autoregolato e della
rivoluzione industriale abbiano trasformato alla radice i valori e le
motivazioni che orientano l’azione economica, basta ricordare che nelle
culture dell’antichità si era pienamente uomini solo in quanto sottratti
alle necessità materiali e all’obbligo del lavoro. Ne possiamo
concludere che egoismo e centralità degli interessi materiali – lungi
dal configurarsi come naturali – sono dunque tratti antropologici
istituiti" p.12 P]

- i "decrescenti" sostengono, dunque, che la razionalità strumentale
sulla cui base si radica l'impianto sviluppista della crescita, non è
poi così naturale come vogliono farci credere, e che anche oggi, in
pieno dominio del mercato e dell’economia, si incontra più raramente di
quanto si pensi alla base delle scelte, anche economiche, che ognuno
opera durante la sua vita. [cf.Bonaiuti: "L'Homo Oeconomicus è razionale
e tutta la scienza economica è informata dal principio di razionalità.
Ciò che possiamo dire è che, a partire dagli anni ’70 con i
pionieristici studi di Herbert Simon (sul fronte delle decisioni
d’impresa) e soprattutto, recentemente, attraverso gli studi di
psicologia economica (Tversky e Kahneman), si è potuto mostrare come gli
individui generalmente non seguano gli assiomi di razionalità e, nel
prendere decisioni, non seguono normalmente strategie che massimizzano
l'utilità attesa" p.13 P]

- Ma cos'è la società della crescita, come la si identifica? In primo
luogo, è una società produttrici di MERCI. La mercificazione del mondo è
necessaria per l'accumulo di valore (espresso in moneta) . Questo è il
meccanismo che sta alla base del sistema della "crescita economica
infinita". La crescita al tempo stesso è  determinante per mantenere la
mercificazione del mondo: entrambe sono cioè speculari entro un circuito
poco virtuoso che rimanda dall'una all'altra. La mercificazione,
attraverso la valorizzazione (cioè la vendita del prodotto), crea
crescita economica, che a sua volta permette, attraverso il
reinvestimento di parte del profitto ricavato, la trasformazione in
merce di altre risorse, cosa che porterà ad una ulteriore valorizzazione
e via così ad infinitum. Diversa è invece le produzione di BENI, cioè
cose utili per il fabbisogno reale. Mentre la merce conosce come unico
criterio la vendita ai fini dell'accumulo di denaro, indifferente di
fatto ad ogni altro scopo - e solo marginalmente e quasi "casualmente"
incontra talvolta i veri bisogni - la produzione di beni è regolata dal
bisogno e dalle esigenze umane e non sorpassa questa misura. [cf.
Pallante: "Nel paradigma culturale della decrescita l’indicatore della
ricchezza non è il reddito monetario. Cioè la quantità delle merci che
si possono acquistare, ma la disponibilità dei beni necessari a
soddisfare i bisogni esistenziali" p.10 DD - "La produzione di merci
implica invece la dismisura, quell’atteggiamento mentale che i greci
chiamavano hybris, in cui ravvisavano la rottura dell’ordine, che regola
la vita, e la fonte di ogni tragedia" p.11 DD]

- Dal punto di vista della politica, sia la destra che la sinistra si
trovano d'accordo nel sostenere la necessità della crescita, sia pure
con sfumature diverse. Questo  perché entrambe provengono dallo stesso
paradigma culturale, e rimangono al suo interno [cf. Pallante: "La
destra e la sinistra, in tutte le configurazioni che hanno assunto nel
corso della storia, dalle più moderate alle più estremiste, sono due
varianti di un identico paradigma culturale che ha come capisaldi la
crescita, l’innovazione e il progresso. Accomunate dallo stesso sistema
di valori, le differenze che le distinguono consistono nelle politiche
da adottare per favorirne al meglio la realizzazione e nelle modalità di
ripartirne i vantaggi tra gli attori sociali che col loro lavoro
consentono di realizzarli. La destra sostiene che il mercato e la
concorrenza sono gli strumenti migliori per favorire lo sviluppo delle
innovazioni e la crescita economica. La sinistra ritiene che
l’intervento statale sia indispensabile per guidare le innovazioni e la
crescita economica verso obiettivi che armonizzino gli interessi
individuali col benessere collettivo. Il pre-requisito è che la torta
cresca, altrimenti non ce n'è per nessuno" pp.22-23 DD - anche Latouche
"Proprio perché non contemplava la questione ecologica, la critica
marxista della modernità è rimasta prigioniera di una grande ambiguità:
critica e condanna l’economia capitalistica, ma considera  ‘produttiva’
la crescita delle forze che è in grado di attivare (mentre sono entrambe
ugualmente distruttive). In definitiva, la crescita, quando è
considerata sotto la prospettiva produzione/impiego/consumo è portatrice
di benefici, mentre se è considerata come accumulazione del capitale è
ritenuta responsabile di tutti i mali: proletarizzazione dei lavoratori,
il loro sfruttamento, depauperizzazione, per non dire dell’imperialismo,
delle guerre, delle crisi (comprese ovviamente anche quelle ecologiche)
ecc. Il cambiamento dei rapporti di produzione (obiettivo della
necessaria e auspicata rivoluzione) si riduce dunque a un rovesciamento
più o meno violento dello status degli aventi diritto nella ripartizione
dei frutti della crescita. Allora, si può discutere sul suo contenuto,
ma non si può mettere in discussione il principio" p.121 SD]

- La decrescita non è neanche, come vogliono far credere i detrattori,
un pensiero contro anti-tecnologico a priori. Piuttosto, è per una
tecnologia diversamente orientata e quindi diversamente utilizzata, una
tecnologia dalla quale essere anche meno dipendenti [cf Pallante: "In un
sistema economico e produttivo finalizzato alla crescita del prodotto
interno lordo, le innovazioni tecnologiche sono finalizzate ad
accrescere la produttività, ovvero le quantità prodotte da ogni
produttore nell’unità di tempo, indipendentemente dalle conseguenze che
possano derivarne in termini di esaurimento delle risorse, di crescita
dei rifiuti e di impatto ambientale (e di distruzione delle persone –
nota mia J ) . In un sistema economico e produttivo finalizzato alla
decrescita, le innovazioni tecnologiche sono finalizzate alla riduzione
del consumo di risorse e di energia, della produzione di rifiuti e
dell’impatto ambientale per unità di bene prodotto (e alla liberazione
delle persone – ri-nota mia J ). Chi si pone l’obiettivo della
decrescita non ha pregiudizi antiscientifici o antitecnologici, come
insinuano i paladini della crescita. La decrescita non richiede meno
tecnologia della crescita, ma uno sviluppo tecnologico diversamente
orientato" p.27 DD]

- La decrescita implica, al tempo stesso, anche  un recupero delle
capacità umane di "autoprodursi" l'esistenza. [cf Pallante: "La crescita
ha bisogno di esseri umani incapaci di tutto. Solo chi non sa fare nulla
deve comprare tutto ciò di cui ha bisogno per vivere. Chi non sa fare
nulla è assolutamente dipendente dalle merci. Il paradigma culturale
della crescita implica l’impoverimento culturale degli esseri umani. Il
paradigma culturale della decrescita, riducendo l’incidenza delle merci
nella soddisfazione dei bisogni esistenziali e potenziando
l’autoproduzione di beni, richiede lo sviluppo e la diffusione di un
sapere finalizzato al saper fare che rende più autonomi e liberi. Il
paradigma culturale della crescita comporta il disprezzo del lavoro
manuale e lo relega ad attività di rango inferiore. Il paradigma
culturale della decrescita comporta una rivalutazione del lavoro manuale
e artigianale, il superamento del lavoro parcellizzato, una
ricomposizione unitaria del sapere come si fanno le cose (cultura
scientifica) con la ricerca del senso per cui si fanno (cultura
umanistica)" pp.28-29 DD]

- Dunque, riepilogando, la decrescita è al tempo stesso una negazione
della crescita e una riproposizione di tematiche che all'interno di
questo di questo paradigma vengono rimosse o denigrate [cf Latouche:
"Decrescita è una parola d'ordine che significa abbandonare radicalmente
l’obiettivo della crescita per la crescita, un obiettivo il cui motore
non è altro che la ricerca del profitto da parte dei detentori del
capitale e le cui conseguenze sono disastrose per l’ambiente (e per
l’umanità -nota mia J). A rigor del vero, più che di ‘decrescita’ si
dovrebbe parlare di ‘a-crescita’, utilizzando la stessa radice di
‘a-teismo’, poiché si tratta di abbandonare la fede e la religione della
crescita, del progresso e dello sviluppo. Decrescita è semplicemente uno
slogan che raccoglie gruppi e individui che hanno formulato una critica
radicale dello sviluppo e interessati a individuare gli elementi di un
progetto alternativo per una politica del doposviluppo,  Decrescita è
dunque una proposta per restituire spazio alla creatività e alla
fecondità di un sistema di rappresentazioni dominato dal totalitarismo
dell’economicismo, dello sviluppo e del progresso" pp.11-12 SD]

- I limiti della crescita infinita si stanno comunque rivelando da soli:
non soltanto dal punto di vista ecologico "Gaia" (come amano chiamarla
alcuni “decrescenti”, riprendendo l’antica parola greca per designare la
terra) sta soffrendo e conseguentemente noi con lei, ma anche dal punto
di vista sociale, economico ed umano si stanno incontrando limiti, che
coincidono con la saturazione di merci del mondo e l'impossibilità di
elevare tutta la popolazione a un livello "occidentale" di benessere
(quindi al rango di "consumatori"). Per mantenere quel livello è
necessario infatti che una parte della popolazione - la più numerosa,
fra l'altro, e in continuo aumento - venga sfruttata e schiavizzata. È
indispensabile cioè che i più vengano tenuti lontano dal grande
banchetto dell’abbondanza capitalistica, affinché ci sia per l’appunto
una tale “abbondanza” per i pochi. La maggior parte della popolazione
mondiale deve dunque essere schiavizzata o quanto meno mal-pagata per
quanto è possibile affinché l'incessante produzione di merci sia
“produttiva”. Ma questo rende difficoltoso smaltire le enormi riserve di
merci che il sistema deve produrre quotidianamente. Senza vendita di
merci ad un livello tale da procurare profitto la “crescita” non cresce,
e quindi non aumenta nemmeno il PIL. Se però il raggio di coloro che
possono acquistare a quel livello si restringe troppo, sono dolori per
lo stesso sistema della crescita. La decrescita, spesso accusata di
sognante utopia, può rappresentare la reale alternativa a questo
distruttivo e irrazionale sistema, un’alternativa radicalmente “altra” e
incompatibile con esso [cf. Latouche: "Dal momento che crescita e
sviluppo  sono crescita dell’accumulazione del capitale e sviluppo del
capitalismo, dunque sfruttamento delle forza lavoro e distruzione senza
limiti della natura, decrescita non può che significare decrescita
dell’accumulazione, del capitalismo, dello sfruttamento e della rapina.
Si tratta non solo di rallentare l’accumulazione, ma di metterne in
discussione il concetto per rovesciare il processo distruttivo" p.120 SD]

- Lo stesso indicatore di "felicità economica" (PIL) delle società
industriali è una totale impostura. Per portarlo in “attivo” è
necessario quel livello di schiavismo e devastazione ora descritti. Per
di più, il PIL considera solo una parte dei fattori che concorrono a
costruire l'atto economico: non comprende per esempio i costi sociali,
ecologici e umani affinché possa avere il segno +, tantomeno i costi nel
lungo periodo, come l'inquinamento o l'esaurimento delle risorse. Questo
costi, una volta considerati, renderebbero molto più difficile
continuare a considerarlo l'indicatore della "felicità" e del "benessere"

- Anche l'idea di "sviluppo sostenibile" è, per i "decrescenti",
un'impostura. Si tratta di una contraddizione in termini, un ossimoro,
anzi un "pleonasmo", dice Latouche, poiché cerca di salvare qualcosa, lo
"sviluppo", che in realtà non è sostenibile né umanamente né socialmente
né economicamente né ecologicamente. Piuttosto, dobbiamo decostruire
l'immaginario sviluppista. [cf Latouche: "L'irrazionale attaccamento al
concetto feticcio di ‘sviluppo’, nonostante tutti i suoi fallimenti,
svuotato di ogni contenuto e riqualificato in mille modi, rende
impossibile una rottura con l’economicismo e la crescita stessa" p.73 SD]

- Ma - punto dolente - come si fa questa "decrescita", come la si
costruisce? È solo un'opzione critica e negativa, oppure può già essere
pensata come un progetto di società? Innanzitutto, non la si può
costruire entro una società forgiata dall'immaginario dello sviluppo e
della crescita [cf.Latouche: "Decrescita è soprattutto una parola
d’ordine per indicare con forza la necessità di abbandonare l’insensato
obiettivo della crescita per la crescita, obiettivo il cui unico motore
è la ricerca sfrenata del profitto da parte di chi detiene il capitale.
Evidentemente, non si tratta di rovesciare la situazione sostenendo la
decrescita per la decrescita. Bisogna inoltre intendersi sui termini:
decrescita non significa crescita negativa, espressione antinomica e
assurda che esprime nuovamente la dominazione dell’immaginario della
crescita. È noto che il semplice rallentamento della crescita manda le
nostre società in crisi producendo disoccupazione e ‘smantellamento’ dei
dispositivi sociali, culturali e ambientali che assicurano un minimo di
qualità della vita. Possiamo allora immaginare a quale catastrofe
andremmo incontro con un tasso di crescita negativa! Così come non c’è
nulla di peggio di una società del lavoro senza lavoro, non c’è nulla di
peggio di una società della crescita senza crescita" p.97 SD]

- Si tratta dunque di fare qualcosa di più radicale, ovvero uscire
proprio dall’orizzonte della crescita, “saltarne” fuori  e, partendo da
un orizzonte diverso e incompatibile con quello,  “ricostruire” il
mondo. Questo prefisso “ri-“diventa ora la chiave di volta che ci aiuta
a pensare, almeno inizialmente, un programma di uscita dalla crescita in
vista di una riorganizzazione su vasta scala del mondo stesso. Non a
caso i “decrescenti” parlano di un “programma delle 8 ‘R’” [cf Latouche
"Il cambiamento reale di prospettiva può essere realizzato attraverso il
programma radicale, sistematico, ambizioso delle ‘otto R’: rivalutare,
ridefinire, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre,
riutilizzare, riciclare. Questi otto obiettivi, interdipendenti tra
loro, possono avviare un circolo virtuoso di decrescita serena,
conviviale e sostenibile. Si potrebbe allungare ancora l’elenco delle R
con radicalizzare, riconvertire, riconcettualizzare, ridimensionare,
rimodellare, ripensare ecc., ma questi concetti sono in sostanza già
presenti nelle prime otto R" p.97 SD]

- Il tragitto verso il "reincanto del mondo" è comunque lungo e
tortuoso, tuttavia ci può aiutare paradossalmente, lungo questa strada,
la "pedagogia delle catastrofi". Il lamento di Gaia, che si fa sempre
più sentire, può indurre molti a guardare con più interesse e a prendere
più sul serio proposte come quella della decrescita.


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