[Ezln-it] A.Cegna - 30 anni dopo l'EZLN si trasforma

Annamaria emmaz07 at libero.it
Wed Jan 10 15:51:15 CET 2024


30 Anni dopo l’Insurrezione Zapatista l’EZLN si trasforma
Andrea Cegna – 8 gennaio 2024

Una festa, o meglio, quattro giorni di festa con spettacoli teatrali, tornei sportivi, parate militari. Così l’EZLN, Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, ha deciso di ricordare il 1° gennaio 1994, inizio della guerra contro l’oblio. Per quattro giorni, dal 30 dicembre al 2 gennaio, migliaia di persone, soprattutto giovani e zapatisti accompagnati da un migliaio di internazionalisti, hanno preso parte all’evento celebrativo che prevedeva rappresentazioni teatrali, musical, tornei sportivi, proiezioni di film e la parata delL’EZLN alla mezzanotte del 1° gennaio 2024. Una celebrazione che non ha guardato al passato, né ai molteplici risultati raggiunti dall’organizzazione. Lo sguardo è rivolto al futuro, verso ciò che manca e ciò che occorre organizzare per difendere la vita delle comunità indigene senza dover sparare o uccidere.

Tanto che il Subcomandante Insurgente Moisés, leader politico militare e portavoce dell’EZLN dal febbraio 2013, parlando verso mezzanotte dice: “Quello che diciamo qui è che chi lavora mangia, e chi non lavora che si mangi le sue banconote e vediamo se questo soddisfa la sua fame, quindi, non abbiamo bisogno di uccidere. Questo diciamo. Ma per questo abbiamo bisogno di organizzazione: fatelo con i fatti! Giovani, donne, uomini di tutti i settori. È questo, compagni, ciò che dobbiamo dimostrare. Non crediamo più a chi governa, perché il capitalismo è nel mondo. Organizziamoci in ogni geografia e ognuno con il suo calendario”.

Pur restando un esercito, l’EZLN sceglie da anni la via pacifica verso l’autodeterminazione dei popoli maya del Chiapas, rifiutando la logica del potere e, quindi, la classica presa del potere marxista-leninista, proponendo la logica di costruire un’alternativa. Un passaggio che, in effetti, si è storicizzato negli anni, ma che ha trovato in questo trentesimo anniversario un rilancio narrativo. Dopo il 12 dicembre 1994 ci sono stati pochissimi episodi di scontri a fuoco con gli zapatisti. È ancora organizzato come esercito per ragioni di sicurezza, ma negli anni l’impronta militare ha lasciato sempre di più il posto a quella politico/sociale. Certamente la grave situazione di violenza contro le comunità, che negli anni hanno subito aggressioni militari, aggressioni paramilitari, guerre a bassa intensità e infine la nuova ondata di criminalità organizzata, non consente lo scioglimento della struttura di autodifesa. L’allora Subcomandate Marcos, nel maggio 2014, scriveva “Invece di formare guerriglieri, soldati e squadroni, abbiamo formato promotori di educazione, di salute, e sono state lanciate le basi dell’autonomia che oggi stupisce il mondo. Invece di costruire quartieri militari, migliorare il nostro armamento, innalzare muri e trincee, sono state costruite scuole, ospedali e centri di salute, abbiamo migliorato le nostre condizioni di vita. Invece di lottare per occupare un posto nel Partenone delle morti individualizzate del basso, abbiamo scelto di costruire la vita.” e poi aggiunge “Non abbiamo ingannato nessuno del basso. Non nascondiamo che siamo un esercito, con la sua struttura piramidale, il suo centro di comando, le sue decisioni dall’alto verso il basso. Non neghiamo quello che siamo per ingraziarci i libertari o per moda. Ma chiunque adesso può vedere se il nostro è un esercito che soppianta o impone. E devo dire questo, ho già chiesto l’autorizzazione di farlo al compagno Subcomandante Insurgente Moisés: Niente di quello che abbiamo fatto, nel bene o nel male, sarebbe stato possibile se un esercito armato, quello zapatista di liberazione nazionale, non si fosse sollevato contro il malgoverno esercitando il diritto alla violenza legittima. La violenza del basso di fronte alla violenza dell’alto”.

Da Ocosingo, una delle sette città occupate militarmente dall’EZLN il 1° gennaio 1994, ci vuole circa un’ora per raggiungere il Caracol VIII a Dolores Hidalgo. Lungo la strada c’è una grande base militare, uno dei 72 avamposti dell’esercito messicano che circondano il territorio zapatista. Una volta superata la base, si iniziano a incontrare i cartelli che annunciano l’avvicinamento a Caracol. Agli zapatisti piace giocare con gli internazionali: nel primo striscione parlano di una distanza di 33 chilometri dal Caracol, nel secondo di 5 e nel terzo di 1. Ma le distanze sono molto diverse, quindi per “l’ultimo chilometro zapatista ” ci vogliono venti minuti buoni in furgone per arrivare a destinazione. A quel punto, svoltando a sinistra, si incontra una discesa dove decine di miliziani controllano il traffico e gestiscono l’arrivo di autobus, auto, taxi e furgoni che portano le migliaia di non indigeni che accompagneranno l’EZLN nella festa. Superati i controlli, una fila di disegni e scritte su tela accompagnano l’arrivo nel Caracol alla festa del trentesimo anniversario. Da 2019 i Caracol sono 12 e sono la sede politico-amministrativa dell’autogoverno inaugurato ufficialmente nell’agosto 2003 dall’EZLN.

Il discorso duro e chiaro pronunciato da Moisés, lontano dalla poetica emotiva a cui l’attuale Capitano Marcos, già Subcomandante Marcos y Galeano, aveva abituato il pubblico internazionale, che riuniva artisti e intellettuali di tutto il mondo, è stato il momento centrale della celebrazione. Un discorso che riflette l’essenza indigena e la storia stessa dell’EZLN, un movimento che è cresciuto con la teoria dell’accumulo delle forze nel silenzio e parlava con franchezza pur fornendo molteplici interpretazioni di ciascuna delle sue proposte. Infatti, una delle sue citazioni più famose nel corso degli anni è stata “facciamo quello che diciamo, diciamo quello che facciamo”.

All’arrivo al Caracol VIII, Dolores Hidalgo, a un’ora di macchina dalla città di Ocosingo, molti si aspettavano qualcosa di più, quasi certamente la presenza visibile del Capitano Marcos, vista la preparazione avvenuta attraverso 20 comunicati con i quali quali l’EZLN ha rotto un silenzio di quasi due anni e l’invito pubblico a partecipare alle celebrazioni. D’altronde, come spesso è accaduto in questi trent’anni, le donne e gli uomini divenuti “famosi” perché si coprivano il volto con un passamontagna e imbracciavano le armi solo per rivendicare diritti, e soprattutto per affermare che potevano essere loro stessi, i popoli indigeni, in un mondo globalizzato e standardizzato, hanno preso una decisione nuova che va contro le aspettative e ancora una volta hanno colto nel segno, sorprendendo e costringendo molti a porsi delle domande.

Con opere teatrali hanno raccontato la trasformazione dell’organizzazione, la “morte” dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti e delle Giunte di Buon Governo, e con essa la nascita dei GAL e dei collettivi di governo territoriale. La nuova struttura zapatista risponde alle trasformazioni “geografiche” del movimento. Dopo 30 anni, l’unità territoriale delle comunità è andata diminuendo, e allo stesso tempo l’influenza zapatista si è estesa a territori diversi da quelli di origine. Non è ancora del tutto chiaro cosa e come funzionerà questa nuova struttura e i prossimi mesi lo diranno. Insieme ad altri, hanno denunciato le molteplici direzioni della guerra che il governo, le grandi potenze economiche e la criminalità organizzata stanno portando avanti contro l’esperienza neozapatista. La guerra per il controllo del territorio si è spostata in Chiapas, dove i gruppi criminali organizzati si contendono le zone di transito sulle rotte migratorie. Il Chiapas confina con il Guatemala con tre valichi di frontiera. Su tutti e tre il conflitto per il controllo è evidente, e nelle zone dove è presente l’EZLN non è diverso. Proprio per questo l’EZLN ha deciso di schierarsi nelle diverse zone del suo “controllo” e quindi essere oggetto di interposizione tra criminali e comunità. Tutto questo mentre il governo di Andrés Manuel López Obrador, con il progetto “Sembrando Vida”, ha esacerbato il conflitto per la terra all’interno delle comunità indigene.

Poi hanno organizzato una parata militare, seria e austera, come al solito, ma anche in questo caso hanno rotto ogni logica “militare” mandando dagli altoparlanti “La Carencia” dei Pantheon Rococò e lasciando il passo libero ai miliziani che hanno rotto le file e iniziato a ballare. “Compagne, compagni zapatisti, questo è ciò che abbiamo dimostrato 30 anni fa. È lì che abbiamo capito. Con i nostri compagni, il Comitato è lieto che voi, giovani uomini e donne, abbiate capito e che le vostre opere teatrali siano molto eloquenti. Tuttavia noi diciamo che dobbiamo farlo con le azioni, non con le parole. Né con poesia, né opere teatrali, né pittura e altre cose” mette in guardia Moisés.

Il centro gravitazionale del discorso di Moisés è stato il concetto di “comune” che gli zapatisti rifiutano come proposta di pace, tanto che nell’ultimo comunicato scritto dall’EZLN prima delle celebrazioni si leggeva “Ebbene, possiamo tornare a questo e alla nostra proposta: stabilire estensioni dei terreni recuperati a partire dal comune. Senza proprietà. Non privata, non ejidale, non municipale, non federale, non statale, non industriale, niente di niente. Non propietà della terra. Come si dice: “terreno senza documenti”. Ad esempio, in queste aree ancora da definire, se ci si chiede di chi è quel terreno o chi ne è il proprietario, la risposta può essere: “di nessuno”, decide “la comunità”, e prosegue “Ad esempio: sei un avente diritto con 20 ettari e hai 4 figli. È la prima generazione. Distribuisci la terra o meglio il documento, ed ora c’è un documento per 5 ettari per ciascuno. Poi quei 4 figli fanno altri quattro figli ciascuno, seconda generazione, e distribuiscono i loro 5 ettari e ottengono così poco più di un ettaro ciascuno. Poi quei 4 nipoti hanno altri 4 figli ciascuno, terza generazione, e si dividono i documenti e ciascuno ottiene circa un quarto di ettaro. Poi quei pronipoti hanno 4 figli ciascuno, quarta generazione, e si dividono il documento e prendono un decimo di ettaro a testa. E non vado oltre perché solo in 40 anni, nella seconda generazione, si uccideranno a vicenda. Ecco cosa stanno facendo i malgoverni: seminano morte”.

Per Márgara Millán, antropologa e docente universitaria della UNAM, “uno dei principali sucessi dello zapatismo in questi 30 anni è stato quello di invertire la cultura razzista in Messico”, mentre per Carolina Díaz Iñigo, del Centro di Ricerche e Studi Superiori di Antropologia Sociale (CIESAS), Postdottorato dell’Universidad Iberoamericana – México, “Lo zapatismo è un riferimento non solo a livello nazionale ma anche internazionale nella vita dei popoli indigeni contro il razzismo, il colonialismo e lo sfruttamento. In Messico per anni si è pensato che i popoli indigeni non esistessero più, facevano parte di un passato glorioso ma non del presente. L’EZLN ha detto che questo non è vero, perché noi continuiamo a resistere”.

Secondo Guadalupe Nettel, tra l’altro direttrice della Rivista Unam, “il neo zapatismo è stato costruito con un 30% di donne che hanno combattuto con le armi oltre ad altre compagne che lo hanno sostenuto in modi diversi. Tutte queste donne che hanno partecipato alla concezione del movimento in diversi aspetti, hanno portato idee pratiche su ciò di cui le donne hanno bisogno facendp sì che ci sia un femminismo nelle terre indigene. Questo femminismo è diverso dal femminismo bianco che conosciamo nelle città perché hanno altri bisogni e altre idee, ma hanno anche contribuito a far sì che l’uguaglianza di genere fosse praticata in quei territori”.

Una prova di forza per l’EZLN che, oltre a convocare migliaia di persone, ha saputo accoglierle dando loro cibo e un letto, oltre a garantire la sicurezza, anche sanitaria, di tutti. Una prova di forza che mira a rispondere, con i fatti e non con le parole, alle critiche che l’EZLN continua a ricevere, alle polemiche sollevate dal governo, e anche alle voci, che provengono da diversi settori, su un suo indebolimento. C’è chi scommette che questa storia non arriverà intatta al 1° gennaio 2034; loro, gli zapatisti, dicono invece che il loro progetto è rovesciare il capitalismo in 120 anni. Chi avrà ragione? 
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