[Ezln-it] EZLN: Una casa, altri mondi. Invito a “CompArte y ConCiencias por la Humanidad”

Annamaria maribel_1994 at yahoo.it
Tue Sep 13 13:49:38 CEST 2016


Una casa, altrimondi.


 
Luglio-agosto-settembre2016A chi di dovere:

Oggetto: Invito a “CompArte y ConCiencias por la Humanidad”.

Sì, lo sappiamo. Giornie notti in cui l'amarezza sembra essere l'unico orizzonte. Passi trascinati peril dolore, la rabbia, l'indignazione; inciampando ogni tanto negli impertinentisguardi del cinismo e della delusione; la stupidità intronizzata in ruoli digoverno e sondaggi; la simulazione come forma di vita; la mitomania cometattica e strategia; la frivolezza come cultura, arte, scienza; il dosatodisprezzo verso il diverso ("il male non è che esista l'altro, ma che simostri"); la rassegnazione a prezzo di saldo nel mercato politico ("ècosì, resta solo da scegliere non più per il meno peggio, ma per il menoscandaloso"). Sì, difficile, sempre più difficile. Come se la notte siprotraesse. Come se il giorno posticipasse il suo passo fino a che no, nessuno,niente, vuoto il cammino. Come se non ci fosse respiro. Il mostro che spia daogni angolo, campi e strade.

E nonostante tuttoquesto, o esattamente per tutto questo, vi mandiamo questo invito.

Sì, sembra che noncapiti a caso o cosa, ma noi, zapatiste, zapatisti, vi invitiamo a partecipareal festival CompArte y ConCiencias por la Humanidad".Quindi, a rispetto delle formalità, dobbiamo inviarvi un invito. Qualcosa cheindichi un calendario ed una geografia, perché voi avete una vostra propriastrada, un vostro passo, una vostra compagnia, un vostro destino. E non èneppure il caso di aggiungere difficoltà a quelle che già dovete affrontare.Dunque, in un invito si dovrebbero indicare il dove e il quando.

Ma voi sapete bene comesiamo. Quale è il nostro modo. Quindi, la domanda che, pensiamo, deverispondere ad un invito, non è tanto il luogo e la data. Bensì il perché. Forseè per questo che questo invito non rispetta le formalità del caso e vi giungein un momento inopportuno, o dopo o prima. Ma non importa, deciderete voi.

Per questo, questoinvito è molto altro, e come parte essenziale contiene questa piccola storia:

UNA CASA, ALTRI MONDI.

Più che una storia,potrebbe essere una leggenda. Cioè, non c'è modo di confermare la veridicità diquanto qui narrato. In parte perché non si specificano né calendari négeografie, ovvero, sarebbe potuto essere in qualunque luogo ed in una voltaindefiniti; ed anche perché il presunto non-protagonista di questa narrazione èmorto, defunto, sepolto, andato. Se fosse vivo, basterebbe chiedergli seeffettivamente disse quello che qui si dice avesse detto. Certo, è moltoprobabile che, esperto nel divagare, si sarebbe dilungato nella descrizione diquel calendario impreciso.

Dunque, non abbiamo ladata precisa, ma per dovere di calendario vi diremo solo che saranno ormaiall'incirca più di due decenni fa. La geografia? Le montagne del sudestmessicano.

Ce lo raccontò ilComandante Tacho quell'alba che, dentro una baracca, si descriveva la casa delsistema, la casa del capitale, la tormenta, l'arca. La baracca dove nacquequello che poi sarebbe diventato il semenzaio. Pensiamo che ci fosse stata unapausa caffè…. o che si fosse sospesa la riunione per continuarla il giornodopo… A dire il vero, non ricordiamo bene. Il fatto è che restammo a parlarecon Tacho e lui ci raccontò quello che ora qui vi narriamo. Vero, c'è qualche ritoccoperché abbiamo aggiunto e sistemato le parole originali di Tacho. Non percattiveria, disprezzo o per voler rattoppare i ricordi rotti, ma perchéentrambi, noi che ora vi scriviamo, conoscevamo meglio il defunto e possiamocosì ricostruire le sue parole e sentimenti. Avanti, dunque:

Parla il comandante Tacho:

"Non ricordo esattamente quando, ma fu quando ildefunto Sup non era ancora defunto. Il Sup come sempre, non dormiva e fumava lasua pipa. Sì, mordicchiava la pipa, come faceva sempre. Eravamo nella baraccadell'allora comandancia, anche se non era ancora una baracca. Cioè, ancora nonera montata del tutto. Cioè, non era ancora comandancia. Forse lo sarebbestata, ma non lo era ancora. Ci raccontavamo storielle. Sì, succede neivillaggi, durante le riunioni, i lavori della lotta. Il Sup ascoltava soltanto,a volte rideva, a volte domandava per saperne di più. Prima di conoscerlo ionon capivo. Più tardi compresi che quelle storie poi apparivano nei comunicaticome racconti. "Poscritti", li chiamava, credo. Io una volta glichiesi perché inseriva come racconti quello che ci succedeva. E lui mi disse “ilfatto è che non ci credono, pensano che io invento o immagino, allora lo mettocome racconto perché non sono preparati a conoscere la realtà”.

Bene, dunque eravamo lì.Allora lui domandò al Sup …

Sí, Tacho usò ilpronome della terza persona singolare: “lui”. Per capire gli chiedemmo se con"lui" si riferisse al Sup. Ci rispose infastidito: “no, lui lochiese al Sup”. Non insistemmo perché supponemmo, forse erroneamente, chequesto non fosse il nocciolo importante della storia, o che fosse solo il pezzodi un puzzle ancora da completare. Quindi il Comandante Tacho usò la parola"lui". Non "lei", né "io", né "noi". "lui" disse riferendosi a chi interrogava il Sup.

“Senti Sup, perchéogni volta che si fa una casa, chiedi se si fa secondo gli usi e costumi osecondo il metodo scientifico?”.

Qui Tacho si sentì indovere di spiegare:

“Ogni volta chemontavamo una baracca, il defunto SupMarcos arrivava e guardava le travi. E chiedevasempre: “Quella traversa che stai mettendo lì, la metti perché la casa neha bisogno?”Allora io gli rispondevo: “Sì, perché se non si mette qui, il tetto cadrà”. “Ahbene”,diceva il Sup, “ma come sai che se non la metti lì, il tetto cade?”. Io restavo aguardarlo perché sapevo che il punto non era quello. Non era la prima volta chefaceva domande. Allora lui proseguiva “Sì, la metti lì perché saiscientificamente che se non lo fai tutto cade, o la metti secondo gli usi ecostumi?”.Io gli dicevo: “secondo gli usi e costumi, perché così mi hanno insegnato. Cosìfaceva le case mio papà e lui ha imparato da mio nonno e così fino a moltolontano". Il Sup non era soddisfatto e finiva sempre per salire sullatrave centrale quando ancora non erano stati inseriti i rinforzi e,dondolandosi come se fosse a cavallo, chiedeva “allorase io salgo qui, la trave cade?” E zac! Cadeva giù. E diceva soltanto “Ahia!” e steso a terra prendeva la sua pipa, l’accendeva e dalsuolo guardava il tetto, con la testa appoggiata alla trave rotta a terra. Sì,certo che ridevamo tutti.

Allora è per questo chelui chiese al Sup del perché domandava sempre se per usi e costumi o per metodoscientifico. Perché non è successo sola una volta. Ogni volta che si cambiavail comando e mi toccava dirigere la costruzione della nuova baracca, succedevacosì. Arrivava il Sup, domandava, gli rispondevo, non era soddisfatto, saliva sullatrave, si rompeva, e giù a terra.

(nota: parlandone tranoi, abbiamo concluso che il calendario approssimativo di quello che raccontaTacho è nei primi mesi del 1995 durante la persecuzione del governo contro dinoi, quando il comando cambiava continuamente per accompagnare la comunità diGuadalupe Tepeyac nell'esilio. Fine della nota e continua a parlare Tacho):

Quindi è per farvicomprendere perché lui chiese questo al Sup. Altre volte l'avevo chiesto io, manon rispondeva affatto. Non perché non volesse, ma perché in quel momento lochiamavano sempre per radio o arrivava qualcuno. Anche io volevo sapere la risposta.

Il Sup si tolse la pipa di bocca e la mise da parte.Eravamo seduti a terra. Faceva molto caldo, come accade quando sta per arrivarela pioggia forte. Io capii che ritardava la risposta. Perché quando rispondevasubito, il Sup non si toglieva neppure la pipa di bocca. Cioè parlava come semordesse le parole che uscivano masticate e bagnate...... testo completo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/09/12/una-casa-otros-mundos/

Traduzione “Maribel” - Bergamo

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