[Ezln-it] Gianni Proiettis - El amigou amerikano

Annamaria maribel_1994 at yahoo.it
Wed Mar 30 18:13:09 CEST 2011





POPOCATÉPETL - La lava del
Messico

a cura di Gianni Proiettis -
28 marzo 2011

El
amigou amerikano

Wikileaks
comincia a fare le prime vittime nella diplomazia. Dopo il ritiro di Gene
Cretz, ambasciatore Usa in Libia, che si dileggiava a descrivere le bionde e
formose infermiere di Gheddafi, è la volta di Carlos Pascual, ambasciatore
gringo – anche se nato a Cuba –a Città del Messico che ha presentato il 19
marzo le dimissioni “per motivi personali”.

In realtà, il
ritiro di Pascual è la logica conclusione di una serie di incidenti che hanno
messo a nudo l’inarrestabile interventismo statunitense a sud del Rio Bravo –
iniziato con il Piano Mérida di lotta al narcotraffico e arrivato recentemente
a sopravvoli di droni a sud della frontiera – così come il simmetrico
servilismo del governo messicano, che è arrivato a chiedere aiuto a Washington
per rendere governabile Ciudad Juárez.

La notizia che ha
innescato una dinamica distruttiva nei rapporti fra Messico e Stati uniti è
stata la venuta a galla dell’operazione “Fast & Furious”, una notizia che
non smette di sollevare onde: negli ultimi quindici mesi le autorità
statunitensi, attraverso l’Atf (Alcohol, Tobacco and Firearms, l’ufficio
federale incaricato del controllo delle armi da fuoco), hanno rifornito di armi
da guerra i cartelli dei narcos messicani.

La rivelazione,
fatta in un programma di Cbs News lo stesso giorno (3 marzo) in cui il
presidente Calderón era in visita ufficiale a Washington, ha già provocato un
terremoto negli ambienti politici dei due paesi.

Non fosse stato
per la morte di due agenti gringos crivellati da quelle stesse armi – il primo,
Brian Terry, era un agente della Border Patrol ucciso in uno scontro a fuoco a
dicembre in Arizona, l’altro, Jaime Zapata, un agente dell’Ice (Immigration and
Customs Enforcement) trucidato da una banda armata a metà febbraio nel corso di
una missione undercover in Messico – dell’operazione Fast & Furious non se
ne sarebbe saputo nulla. E’ stato uno degli agenti che vi partecipavano, il
39enne John Dodson, con una grave crisi di coscienza e ora con una gran paura
di perdere il posto, a fungere da gola profonda.

Nel programma
della Cbs, John Dodson ha vuotato il sacco: l’operazione Fast & Furious,
che era stata approvata dal dipartimento di Giustizia, prevedeva che,
contrabbandando armi all’interno del Messico e seguendone il percorso, si
sarebbe arrivati agli ultimi destinatari, sgominando così intere gang di
criminali. In realtà, l’Atf non aveva mai effettuato alcun arresto di rilievo –
solo ora, a scandalo esploso, sono stati resi noti una ventina di arresti, ma
di semplici “straw buyers”, trafficanti minori e prestanomi – e aveva finito
per mettere in mano alla delinquenza organizzata un arsenale sufficiente per un
piccolo esercito. Più di duemila armi di grosso calibro, dai classici
kalashnikov ai famigerati Barrett 50 prediletti dai narcos, i mitragliatori con
mira telescopica che sfondano le auto blindate (e, secondo un marine
dimostratore in Youtube, “se ben usati, possono segare in due un uomo a duemila
metri”).

Il fatto che
quell’armamento cominciasse a seminare vittime fra i loro colleghi ha spinto
vari agenti che partecipavano all’operazione, fra cui lo stesso Dodson, a
manifestare le loro inquietudini ai propri superiori. Che, a quanto pare, li
avrebbero tranquillizzati dicendo: “Ragazzi, se si vuole fare un’omelette,
bisogna per forza rompere le uova”. Significa che una certa dose di illegalità
è necessaria e tollerabile, se si vuole imporre la legge?

Sia come sia, gli
agenti “ribelli” hanno deciso di portare alla luce quella strana operazione e
hanno richiamato l’interesse dei media dediti al giornalismo investigativo –
primo fra tutti www.publicintegrity.org -, della Cbs e finalmente della
commissione giustizia del Senato, presieduta dal repubblicano Charles Grassley,
che ha aperto subito un’inchiesta.

In questi giorni,
come bombe a grappolo, si sono ascoltate ripetute smentite da vari organi del
governo Usa: nessuno ne sapeva un piffero dell’operazione Fast & Furious.
Né Janet Napolitano, che pure dovrebbe vegliare sulla sicurezza interna del
paese, né Hillary Clinton, che comunque ne ha approfittato per lamentare la
violenza a sud del Rio Bravo e chiedere un rafforzamento della frontiera
Messico-Guatemala, magari con l’aiuto statunitense. Anche il procuratore
generale Eric Holder ha considerato “inaccettabile” un’operazione che ha fatto
entrare illegalmente un armamento letale in Messico lasciandolo nelle mani della
delinquenza organizzata.

A chi resterà in
mano il cerino? Ai dirigenti dell’Atf che si sono inventati l’operazione,
all’ufficio del dipartimento di Giustizia che l’ha autorizzata, a qualche
funzionario minore che ci ha lucrato sopra? Perché c’è anche da considerare il
giro d’affari milionario che sta sotto l’operazione, tanto che non è chiaro –
ma dovrebbe uscir fuori – se si tratta di un business travestito da operazione
di polizia o viceversa.

Per ora, a più di
tre settimane dalle rivelazioni sul caso e con due commissioni d’inchiesta
ancora al lavoro nei due paesi, la palla non smette di rimbalzare. Obama, il 26
marzo, ha dichiarato che è normale che i messicani non ne sapessero niente,
visto che lui stesso era stato tenuto all’oscuro dell’operazione. Ma il
dipartimento di Giustizia, secondo i propri funzionari, l’aveva autorizzata
“dai suoi massimi livelli”.

Quello che
difficilmente si saprà, a meno di un miracolo futuro di San Wikileaks, è se
queste operazioni – Fast & Furious, secondo lo stesso John Dodson, sarebbe
solo la punta di un iceberg e neanche conclusa – rispondono a una strategia
segreta diretta a destabilizzare il vicino del sud, lo storico “cortile
posteriore”, per estendervi il controllo e aumentare le ingerenze.

Sebbene con ritmi
più latini, il pandemonio è scoppiato anche in Messico, dove si sente puzza di
sovranità incenerita. Davanti a un governo che dice di non saperne
assolutamente niente di questo “Rápido y Furioso”, Camera e Senato stanno
reclamando spiegazioni e avviando inchieste su un episodio considerato
gravissimo e suscettibile di mettere in questione i rapporti fra i due paesi.
Il Senato ha convocato urgentemente il ministro degli esteri Patricia Espinosa
e l’ambasciatore messicano a Washington Arturo Sarukhán perché informino sull’argomento.

Le relazioni fra
il Messico e gli Stati uniti, già in crisi da prima, hanno toccato fondo con
l’esplosione del caso Fast & Furious, che potrebbe rivelarsi tanto
dirompente come un nuovo scandalo Iran-contras. La recente visita di Calderón a
Washington, che ha segnato il quinto incontro fra lui e Obama, si è centrata
soprattutto sulla fallita guerra al narcotraffico, che ha aumentato
l’ingovernabilità in Messico e rischia di contagiare con la crescente violenza
il potente vicino del nord. Ora, le rivelazioni di Fast & Furious gettano
una luce schizofrenica sulla lotta al narcotraffico imposta
dall’amministrazione Obama e aprono interrogativi inquietanti.

A Washington,
fino a una settimana fa, mentre Calderón si lamentava dell’ambasciatore statunitense
in Messico Carlos Pascual – che lo ha dipinto come un presidente debole e
incompetente nei cablo di Wikileaks – ma lo faceva allo sportello sbagliato (in
interviste ai giornali, anziché per i canali ufficiali), il governo Usa aveva
riconfermato la sua fiducia incondizionata al diplomatico, che non è solo un
esperto in “stati falliti”, quindi molto ben collocato sullo scacchiere, ma
stava anche ottenendo succosi contratti con Pemex, l’ente petrolifero di stato,
a beneficio delle compagnie statunitensi e in spregio alla Costituzione
messicana.

Poi
improvvisamente, lunedì scorso, ha presentato le dimissioni, riscuotendo il
pieno apprezzamento di Obama e della Clinton, che lamentano il suo ritiro. Per
Felipe Calderón, dicono gli opinionisti messicani, la caduta del proconsole
Carlos Pascual, in carica dall’agosto 2009, è una vittoria di Pirro, che i
gringos gli faranno pagare cara.

Nel gossip di
Città del Messico faceva rumore la relazione dell’ambasciatore con Gaby
Rojas,  figlia del capogruppo parlamentare
del Pri, il dinosauro che vuole tornare al potere.

 

Senza troppo
rumore, giovedì 10 marzo nella cittadina di Columbus, in New Mexico alla
fontiera con Chihuahua, agenti federali hanno arrestato il sindaco, il capo
della polizia e altri 11 funzionari pubblici della località di confine
accusandoli di traffico di armi e droga. Gli arresti sono frutto di un’indagine
realizzata congiuntamente dalla Dea (Drug Enforcement Administration), l’Atf
(Alcohol, Tobacco and Firearms Department) e l’Ice (Immigration and Customs
Enforcement) e confermano i sospetti di una crescente corruzione fra i
funzionari della zona di frontiera.

Secondo un
portavoce del Fbi citato dall’agenzia Notimex, i narcotrafficanti hanno
aumentato le ricompense agli agenti e ai funzionari per ottenerne la
collaborazione. “Esiste una tremenda tentazione, per qualcuno che è meno
onesto, a lavorare con i delinquenti. Chi lavora sulla frontiera può farsi vari
anni di stipendio in un paio di notti.”

Due mesi fa è
entrata in vigore una nuova legge che obbliga tutti gli aspiranti ad entrare in
un corpo di polizia di frontiera a sottomettersi a un test con la macchina
della verità.

Gli arresti di
Columbus sono stati eseguiti un giorno dopo la commemorazione (non festiva) di
un evento storico localmente rilevante: una scorribanda oltreconfine, con
relativo saccheggio della cittadina, perpetrata da Pancho Villa e le sue truppe
il 9 marzo del 1916. Curiosamente, il motivo dell’incursione era una
rappresaglia contro un mercante d’armi che aveva truffato il generale Villa
vendendogli munizioni inservibili.






      




      


      
-------------- next part --------------
An HTML attachment was scrubbed...
URL: <http://lists.ecn.org/pipermail/ezln-it/attachments/20110330/816017c2/attachment.htm>


More information about the Ezln-it mailing list