[Ezln-it] Subcomandante Marcos: Sulle Guerre - Parte 1/2

Annamaria maribel_1994 at yahoo.it
Fri Mar 11 17:07:40 CET 2011



SULLE GUERRE 

Scambio
epistolare tra Luis Villoro ed il Subcomandante Marcos su Etica e Politica

Gennaio-Febbraio
2011

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Gennaio-Febbraio 2011

Per: Don Luis Villoro.

Da: Subcomandante Insurgente Marcos.

Dottore, La saluto.

Speriamo davvero che stia meglio
in salute e che accolga queste righe non solo come uno scambio di idee, ma
anche come un abbraccio affettuoso da noi tutti.  

La ringraziamo per aver accettato
di partecipare come corrispondente a questo scambio epistolare. Speriamo che da
questo sorgano riflessioni che ci aiutino, qua e là, a tentare di comprendere
il calendario che patisce la nostra geografia, il nostro Messico.

Mi permetta di iniziare con una
specie di bozza. Si tratta di idee, frammentate come la nostra realtà, che
possono seguire la loro strada indipendente o allacciarsi come una treccia
(l'immagine migliore che ho trovato per "disegnare" il nostro
processo di riflessione teorica), e che sono il prodotto della nostra
inquietudine per quanto sta attualmente accadendo in Messico e nel mondo.

E qui iniziano questi veloci
appunti su alcuni temi, tutti loro relazionati con l'etica e la politica. O piuttosto
su quello che noi riusciamo a percepire (e a patire) di loro, e sulle
resistenze in generale, e la nostra resistenza in particolare. Come c'è
d'aspettarsi, in questi appunti regneranno la schematicità e la riduzione, ma
credo che bastino a tracciare una o molte linee di discussione, di dialogo, di
riflessione critica.

E si tratta proprio di questo,
che la parola vada e venga, scavalcando posti di blocco e pattugliamenti
militari e di polizia, del nostro da qua fino al Suo là, anche se poi succeda
che la parola se ne vada da altre parti e non importa se qualcuno la raccoglie
e la rilancia (che è per questo che sono fatte le parole e le idee).

Sebbene il tema su cui ci siamo
accordati sia Politica ed Etica, forse è necessaria qualche deviazione, o meglio,
avvicinamenti da punti apparentemente distanti.

E, dato che si tratta di
riflessioni teoriche, bisognerà iniziare dalla realtà, quello che gli
investigatori chiamano "i fatti".

In "Scandalo in Boemia", di Arthur Conan Doyle, il detective
Sherlock Holmes dice al suo amico, il Dottor Watson: "È un errore capitale teorizzare prima di avere dati. Senza rendersi
conto, uno comincia a deformare i fatti affinché si adattino alle teorie,
invece di adattare le teorie ai fatti".

Potremmo cominciare dunque da una
descrizione, affrettata e incompleta, di quello che la realtà ci presenta nella
stessa forma, cioè, senza anestesia alcuna, e ricavare alcuni dati. Qualcosa
come cercare di ricostruire non solo i fatti ma la forma con la quale prendiamo
conoscenza di essi.  

E la prima cosa che appare nella
realtà del nostro calendario e geografia è una vecchia conoscenza dei popoli
originari del Messico: La Guerra.



I.- LE GUERRE DI QUELLI CHE STANNO IN ALTO.

“E in principio furono le statue”.

Così potrebbe iniziare un saggio
storico sulla guerra, o una riflessione filosofica sulla reale generatrice
della storia moderna. Perché le statue belliche nascondono più di quanto
mostrano. Erette per glorificare in pietra la memoria di vittorie militari, non
fanno altro che occultare l'orrore, la distruzione e la morte di ogni guerra. E
le figure in pietra di dee o angeli incoronati con l'alloro della vittoria non
solo servono affinché il vincitore abbia memoria del suo successo, ma anche per
forgiare la smemoratezza del vinto.

Ma attualmente questi specchi di
roccia sono in disuso. Oltre ad essere seppelliti quotidianamente dalla critica
implacabile di uccelli di ogni tipo, hanno trovato nei mezzi di comunicazione
di massa un avversario insuperabile.

La statua di Hussein, abbattuta a
Baghdad durante l'invasione nordamericana dell'Iraq, non è stata sostituita da
una di George Bush, ma dai cartelloni pubblicitari delle grandi multinazionali.
Benché il volto ebete dell'allora presidente degli Stati Uniti sarebbe stato
adatto a promuovere cheese-burger, le
multinazionali hanno preferito auto-erigersi l'omaggio di un nuovo mercato
conquistato. All'affare della distruzione, è seguito l'affare della
ricostruzione. E, benché si susseguano le perdite tra le truppe nordamericane,
la cosa importante è il denaro che va e viene come deve essere: con fluidità e
in abbondanza.

La caduta della statua di Saddam
Hussein non è il simbolo della vittoria della forza militare multinazionale che
invase l'Iraq. Il simbolo sta nel rialzo delle azioni delle aziende
sponsor.  

"Nel passato erano le
statue, ora sono le borse valori".  

Potrebbe essere questa la
storiografia moderna della guerra.  

Ma la realtà della storia (questo
caotico orrore guardato sempre meno e in maniera sempre più asettica),
compromette, presenta conti, esige conseguenze, domanda. Uno sguardo onesto ed
un'analisi critica potrebbero identificare i pezzi del rompicapo e dunque ascoltare,
come un macabro urlo, la sentenza:

"In principio fu la
guerra".



La Legittimazione della Barbarie.

Forse, in qualche momento della
storia dell'umanità, l'aspetto materiale, fisico, di una guerra è stata la cosa
determinante. Ma, con l'avanzare della pesante e turpe ruota della storia,
questo non è bastato. Così come le statue sono servite per il ricordo del vincitore
e la smemoratezza del vinto, nelle guerre i contendenti hanno dovuto non solo
sconfiggere fisicamente l'avversario, ma anche servirsi di un alibi
propagandistico, ovvero, di legittimità. Sconfiggerlo moralmente.

In qualche momento della storia è
stata la religione a conferire questo certificato di legittimità alla
dominazione guerriera (benché alcune delle ultime guerre moderne non sembrano
aver progredito molto in questo senso). Ma poi è stato necessario un pensiero
più elaborato e la filosofia ha preso il testimone.

Ricordo ora alcune sue parole: "La
filosofia ha sempre avuto un rapporto ambivalente col potere sociale e
politico. Da un lato, ha preso il posto della religione come giustificazione
teorica della dominazione. Ogni potere costituito ha tentato di legittimarsi,
prima con un credo religioso, poi con una dottrina filosofica. (…) Sembrerebbe
che la forza bruta che sostiene il dominio manchi di significato per l'uomo se
non si giustificasse con un fine accettabile. Il discorso filosofico, che
subentra alla religione, è stato incaricato di conferirgli questo senso; è un
pensiero di dominio.” (Luis Villoro. “Filosofia e Dominio”. Discorso di
ingresso nel Colegio Nacional. Novembre 1978).

In effetti, nella storia moderna
quest'alibi poteva arrivare ad essere talmente elaborato come una
giustificazione filosofica o giuridica (gli esempi più patetici li ha dati
l'Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU). Ma la cosa fondamentale era, ed è,
munirsi di una giustificazione mediatica.

Se una certa filosofia
(seguendola, Don Luis: il "pensiero di dominio" in contrapposizione
al "pensiero di liberazione") ha sostituito la religione in questo
compito di legittimazione, ora i mezzi di comunicazione di massa hanno
sostituito la filosofia.

Qualcuno ricorda che la
giustificazione della forza armata multinazionale per invadere l'Iraq era che
il regime di Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa? Su questo
si è costruita una gigantesca impalcatura mediatica che è stata il combustibile
per una guerra che non è ancora finita, almeno in termini militari. Qualcuno
ricorda che non si sono mai trovate queste armi di distruzione di massa? Non
importa più se è stata una bugia, se c'è stato (e c'è) orrore, distruzione e
morte, perpetrati con un falso alibi.

Si racconta che, per dichiarare
la vittoria militare in Iraq, George W. Bush non aspettò i rapporti che
dicevano del ritrovamento e distruzione di queste armi, né la conferma che la
forza multinazionale controllava ormai, se non tutto il territorio iracheno, almeno
i suoi punti nodali (la forza militare nordamericana era trincerata nella
cosiddetta "zona verde" e non riusciva nemmeno ad avventurarsi nei
quartieri vicini - si leggano gli stupendi reportage di Robert Fisk per il
giornale britannico "The Independent"
-).

No, il rapporto che ricevette
Washington e gli permise di dichiarare finita la guerra (che di sicuro non è
ancora finita), arrivò dai consulenti delle grandi multinazionali: l'affare
della distruzione può cedere il passo all'affare della ricostruzione (su questo
si vedano i brillanti articoli di Naomi Klein sul settimanale statunitense
"The Nation", ed il suo
libro "La Dottrina dello Shock").

Dunque, la cosa essenziale nella
guerra non è solo la forza fisica (o materiale), è anche necessaria la forza
morale che, in questi casi, è fornita dai mezzi di comunicazione di massa (come
prima dalla religione e dalla filosofia)...... segue





      
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