[Ezln-it] Susana Chavez: Prima vittima di femminicidio a Ciudad Juárez del 2011

Annamaria maribel_1994 at yahoo.it
Thu Jan 13 08:45:19 UTC 2011


     
    Ni una más
L’autrice di
        questa frase è stata assassinata. Si chiamava Susana Chávez e,
        oltre ad essere attivista contro i femminicidi a Ciudad Juárez,
        era poeta. Aveva 36 anni. Hanno gettato il suo corpo seminudo
        per strada. La testa era avvolta in un sacchetto di plastica
        nero. Le mancava la mano sinistra.
    A Susana
        piaceva scrivere. Iniziò verso gli 11 anni. Era sul punto di
        finire un poemario. Dedicò la sua vita a denunciare le
        ingiustizie contro le donne. Offriva letture delle sue poesie
        durante le manifestazioni per le donne scomparse e assassinate.
    Verónica
        Leitón realizzò una performance basata sulla sua poesia. Susana
        pubblicava su riviste e quotidiani e partecipò come modella
        sulla copertina promozionale del film “16 en la lista”, il cui
        soggetto aveva per tema i femminicidi.
    Susana
        scrisse sul suo blog “primera tormenta” il suo ultimo pensiero:
        “Ho provato dolore prima che si acuisse tutta la violenza che
        stiamo vivendo tutti noi abitanti di questa mia città natale,
        Ciudad Juárez. Ma adesso provo una sensazione di vuoto,
        abbandono e impotenza, suppongo come molti altri. Immaginare un
        miglioramento per quanto mi riguarda è difficile, ma nutro
        ancora delle speranze perché sono una donna di fede. Viva Città
        Juárez!”
    Il 5 gennaio
        ha detto a sua madre che sarebbe andata in centro con degli
        amici. Non ha nemmeno preso la borsa. Quel giorno è stata
        assassinata, ma le autorità hanno consegnato il suo corpo cinque
        giorni dopo. Perché?, si domandano in molti. La versione che la
        questura di Chihuahua vuole spacciare per vera è che si è
        trattato di un crimine comune che non aveva nulla a che vedere
        con il suo attivismo.
    Hanno
        affermato che è stata uccisa da tre giovani diciassettenni con
        cui è uscita a bere una birra. L’ipotesi che sostengono è che
        Susana avrebbe deciso di andare a casa di uno di loro e che lì
        avrebbero litigato e i giovani allora avrebbero deciso di
        ucciderla. Non c’è nulla di chiaro. Il sospetto getta ombra
        sulla versione ufficiale.
    I presunti
        assassini sarebbero Sergio Rubén Cárdenas de la O detto “El
        Balatas”, Aarón Roberto Acevedo Martínez detto “El Pelón” e
        Carlos Gibrán Ramírez Muñóz detto “El Pollo”. Dicono che Susanna
        abbia affermato di essere una poliziotta e che li avrebbe
        denunciati in quanto membri di una banda. Allora l’avrebbero
        messa dentro la doccia e lì asfissiata. Successivamente le
        avrebbero amputato una mano con una sega per farlo sembrare un
        atto criminale tipico della delinquenza organizzata. La questura
        ha scartato l’ipotesi che ci fossero delle prove di violenza
        sessuale, ma in teoria quello sarebbe stato uno dei motivi
        dell’aggressione.
    Susana era
        così ingenua da andare a bere da sola con tre ragazzi ignoti in
        una casa altrettanto ignota? Era così prepotente da mentire loro
        affermando di essere una poliziotta e di volerli denunciare come
        teppisti?
    Lo dubito. La
        sua storia personale non coincide con questi atteggiamenti.
        Inoltre l’autorità di Chihuahua non è stata capace di risolvere
        neanche un caso dei 13 attivisti sociali assassinati in un anno,
        di cui tre donne; ha quindi poca credibilità. Una questura che
        non è nemmeno stata capace di risolvere i casi di femminicidio,
        manca di appoggio sociale. L’anno scorso sono state assassinate
        446 donne. È per questo che c’è una certa diffidenza, l’ombra
        del dubbio.
    La questura
        si difende ed argomenta che Susana non partecipava più a
        manifestazioni contro i femminicidi da sei anni, che non era più
        in contatto con l’ambiente delle organizzazioni non governative
        che denunciano violazioni dei diritti umani, che negli ultimi
        anni lavorava al El Paso (Texas) come badante di anziani, e via
        discorrendo…
    La cosa certa
        è che non meritava di morire così. Né lei né nessun’altra. E che
        Amnesty International ha richiesto un’investigazione
        approfondita. E che la Commissione Nazionale dei Diritti Umani
        ha aperto un’inchiesta. E che le ONG e i collettivi di donne non
        hanno intenzione di starsene zitti, né di nascondere la propria
        indignazione. E che molte persone pensano che il silenzio ci
        rende complici. C’è molto dolore accumulato, molte morti, molti
        assassinii che si assomigliano… l’unica cosa che ci resta da
        fare è continuare ad alzare la voce.
    L’assassinio di
        Susana Chávez si iscrive invariabilmente nell’ambito dei
        femminicidi, un crimine che si aggiunge a quello di migliaia di
        donne assassinate per ragioni violente. È la radiografia della
        mascolinità più primitiva, quella che lacera, offende, ferisce,
        aggredisce, insulta e dilania la società. Abbiamo bisogno di
        costruire tra tutti una mascolinità senza violenza, attacchi e
        impunità.
    Una chitarra le
        dà il commiato al cimitero. Sua madre mette un foglio nella
        bara. È la poesia che Susana Chávez scrisse in onore a una morta
        di Ciudad Juárez: “Sangue mio, sangue di alba,
          sangue di luna tagliata a metà, sangue del silenzio”.
     
    Articolo di
        Sanjuana Martínez
    Traduzione di
        Clara Ferri


      
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