[Ezln-it] Sup Marcos: Una morte.. o una vita (2/3)

Annamaria maribel_1994 at yahoo.it
Mon Dec 12 15:50:49 CET 2011



... segue dalla prima arte


Don
Luis, credo che concorderà con me che, rispondendo a questi testi provocatori
di Tomás Segovia, la riflessione su Etica e Politica deve toccare il tema del
Potere.  
Forse
in un'altra occasione, e chiamando altri, possiamo scambiare idee e sentimenti
(che altro non sono i fatti che animano queste riflessioni), su questo
argomento.
Per
adesso, vada questa evocazione a Don Tomás Segovia, che dichiarava di non avere
tempo di non essere libero e senza imbarazzo confessava: "quasi tutta
la vita l'ho guadagnata onestamente, cioè, non come scrittore".
Non
solo per portare qui la sua parola irredenta, perché capita a proposito.  
Ma
anche, e soprattutto, perché più che il poeta, è il pensatore che ha aperto una
terza porta verso il movimento indigeno zapatista. Guardando, vedendo, sentendo
ed ascoltando, Don Tomás Segovia attraversò quella porta.
Cioè,
capì.
III.-
Il Potere e la Pratica della Resistenza.
Municipio
Autonomo Ribelle Zapatista San Andrés Sacamchen de Los Pobres, Altos del
Chiapas. La mattina del 26 settembre 2011, il comandante Moisés stava andando a
lavorare nella sua piantagione di caffè. Come tutti i dirigenti dell'EZLN, non
riceveva salario o prebenda alcuna. Come tutti i dirigenti dell'EZLN, doveva
lavorare per mantenere la sua famiglia. L'accompagnavano i suoi figli.  
Il
veicolo sul quale viaggiavano si ribaltò. Tutti rimasero feriti, ma le ferite
subite da Moisés erano mortali. Quando arrivò alla clinica di Oventik era ormai
morto.
Nel
pomeriggio, com'è abitudine a San Cristóbal de Las Casas rincorrere le voci, la
morte di Moisés attrasse giornalisti avvoltoi che pensarono che il morto era il
Tenente Colonnello Insurgente Moisés. Quando seppero che non era lui, ma un
altro Moisés, il Comandante Moisés, persero ogni interesse. A nessuno di loro
importava qualcuno che non era apparso in pubblico come dirigente, qualcuno che
era sempre stato nell'ombra, qualcuno che apparentemente era solo un altro
indigeno zapatista…
Nel
calendario doveva essere il 1985-1986. Moisés seppe dell'EZLN e decise di
unirsi allo sforzo organizzativo quando negli altos del Chiapas gli zapatisti
si contava sulle dita delle mani… (ed avanzavano le dita).  
Insieme
ad altri compagni (Ramona tra loro), cominciò a percorrere le montagne del
sudest messicano, ma allora con un'idea di organizzazione. La sua piccola
sagoma sbucava dalla nebbia nei territori tzotziles degli Altos. Con la sua
parlata lenta snocciolava il lungo elenco di oltraggi perpetrati contro chi è
del colore della terra.
"Bisogna
lottare", concludeva.
L'alba
del primo gennaio 1994, come uno dei combattenti, scese dalle montagne
sull'altezzosa città di San Cristóbal de Las Casas. Era nella colonna che prese
la presidenza municipale, costringendo alla resa le forze governative che la
difendevano. Insieme agli altri membri tzotziles del CCRI-CG, si affacciò al
balcone dell'edificio che dava sulla piazza principale. Dietro, nell'ombra,
ascoltò la lettura che uno dei suoi compagni faceva della cosiddetta
"Dichiarazione della Selva Lacandona" ad una folla di meticci
increduli o scettici, e di indigeni colmi di speranza. Con la sua truppa
ripiegò sulle montagne alle prime ore del 2 gennaio 1994.
Dopo
aver resistito ai bombardamenti ed alle incursioni delle forze governative,
tornò a San Cristóbal de Las Casas come parte della delegazione zapatista che
partecipò ai cosiddetti Dialoghi della Cattedrale con rappresentanti del
governo supremo.  
Ritornò
e continuò a percorrere i territori per spiegare e, soprattutto, per
ascoltare.  
"Il
governo non mantiene la parola", concludeva.  
Insieme
a migliaia di indigeni, costruì l'Aguascalientes II, ad Oventik, quando l'EZLN
subiva ancora la persecuzione zedillista.  
Fu
uno delle migliaia di indigeni zapatisti che, a mani nude, affrontarono la
colonna di carri armati federali che volevano posizionarsi ad Oventik nei
giorni funesti del 1995.  
Nel
1996, nei dialoghi di San Andrés vigilava, come uno dei tanti, sulla la
sicurezza della delegazione zapatista, accerchiata da centinaia di
militari.  
In
piedi, nelle gelate albe degi Altos del Chiapas, resisteva sotto la pioggia che
faceva scappare i soldati a rifugiarsi sotto un tetto. Non si muoveva.  
"Il
Potere è traditore", diceva come per scusarsi.
Nel
1997, con i suoi compagni, organizzò la colonna tzotzil zapatista che partecipò
alla "Marcia dei 1,111", e raccolse informazioni vitali per fare luce
sul massacro di Acteal, il 22 dicembre di quell'anno, perpetrato dai
paramilitari sotto la direzione del generale dell'esercito federale, Mario
Renán Castillo, e con Ernesto Zedillo Ponce de León, Emilio Chuayfett e Julio
César Ruiz Ferro quali autori intellettuali.
Nel
1998, dagli Altos del Chiapas, organizzò e coordinò l'appoggio e la difesa
delle compagne e dei compagni sfollati dagli attacchi contro i municipi
autonomi da parte del "Croquetas" Albores Guillén e di Francisco
Labastida Ochoa.
Nel
1999 partecipò all'organizzazione e coordinamento della delegazione indigena
tzotzil zapatista che partecipò alla consultazione nazionale, quando 5 mila
zapatisti (2500 donne e 2500 uomini) coprirono tutti gli stati della Repubblica
Messicana.
Nel
2001, dopo il tradimento di tutta la classe politica messicana degli
"Accordi di San Andrés" (allora si allearono PRI, PA e PRD per
chiudere le porte al riconoscimento costituzionale dei diritti e della cultura
dei popoli originari del Messico), continuò a percorrere i territori tzotziles
degli Altos del Chiapas, er parlare ed ascoltare. E, dopo aver ascoltato,
diceva: "Bisogna resistere".
Moisés
era nato il 2 aprile 1956, ad Oventik.
Senza
che se lo fosse prefissato e, soprattutto, senza guadagnarci niente, divenne
uno dei capi indigeni più rispettati nell'EZLN.
Dopo
pochi giorni prima della sua morte, lo vidi in una riunione del Comitato
Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell'EZLN, dove si
analizzava la situazione locale, nazionale ed internazionale, e si discutevano
e decidevano i passi da fare.
Spiegavamo
che una nuova generazione di zapatisti stava giungendo ad incarichi di
dirigenza. Ragazzi e ragazze nati dopo la sollevazione e che si sono formati
nella resistenza, educati nelle scuole autonome, sono ora scelti come autorità
autonome ed arrivano ad essere membri delle Giunte di Buon Governo.
Si
discuteva e concordava come aiutarli nei loro compiti, come accompagnarli. Come
costruire il ponte della storia tra i veterani zapatisti e loro. Come i nostri
morti ci lasciano in eredità impegni, memoria, il dovere di andare avanti, di
non indebolirsi, di non vendersi, di non tentennare, di non arrendersi.
Non
c'era nostalgia in nessuno dei miei capi e cape.
Né
nostalgia dei giorni e delle notti in cui, in silenzio, forgiavano la forza di
quello che sarebbe stato conosciuto nel mondo come "Esercito Zapatista di
Liberazione Nazionale".  
Né
nostalgia per i giorni in cui la nostra parola era ascoltata in molti angoli
del pianeta.  
Non
c'erano risate, vero. C'erano facce serie, preoccupate di trovare insieme il
percorso comune.
C'era,
questo sì, quello che Don Tomás Segovia una volta ha chiamato "nostalgia
del futuro".
"Bisogna
raccontare la storia", disse il Comandante Moisés, a conclusione della
riunione. Ed il Comandante tornò nella sua capanna ad Oventik.
Quella
mattina del 26 settembre 2011, uscì di casa dicendo "torno subito",
ed andò nel suo campo per ricavare dalla terra il sostentamento e il domani.
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