[Ezln-it] Cideci e la resistenza indigena

Annamaria maribel_1994 at yahoo.it
Fri Oct 29 11:38:27 CEST 2010



La Jornada – Martedì 26
ottobre 2010

Cideci e
la resistenza indigena

Luis Hernández Navarro

Sono arrivati
arroganti e minacciosi a bordo di un veicolo con il logo della Commissione
Federale di Elettricità (CFE). Si sono presentati alle porte del Centro
Indigeno di Formazione Integrale Fray Bartolomé de Las Casas AC-Università
della Terra Chiapas (Cideci-Unitierra Chiapas) per consegnare un documento
giudiziario. Erano due uomini e una donna. Uno ha mostrato la credenziale di
personale del tribunale federale del distretto di Tuxtla. Ha detto che dovevano
consegnare un'ingiunzione perché il centro educativo ha un debito di molti
soldi con l'ente parastatale.

Il giorno dopo,
altri due furgoni della "società a livello mondiale" sono tornati.
Gli occupanti dei veicoli pretendevano, con modi aggressivi, di entrare nella
struttura per eseguire la lettura dei contatori.  

Il fatto può
sembrare insignificante, solo un altro incidente fra i tanti che si verificano
quotidianamente nel paese, e sempre ancora in Chiapas, tra utenti della rete
elettrica e la CFE. Tuttavia, non lo è, per due ragioni importanti. In primo
luogo, perché Cideci-Uniterra da tempo non è connessa alla rete elettrica. Loro
stessi generano da sé l'elettricità che consumano. Secondo, perché il centro
educativo è uno dei baluardi della resistenza indigena in Chiapas, uno degli spazi
nel quale la società civile internazionale si è incontrata in diverse occasioni
con gli zapatisti.

Cideci-Unitierra
Chiapas è sia un'istituzione educativa esemplare sia un terreno di
ricostituzione indigena privilegiato. È una comunità di comunità indie, uno
spazio aperto per condividere saperi, conoscenze e studi, dove si recano
giovani, donne e uomini di molte comunità indigene. È nato nel 1989 sotto
l'auspicio di Don Samuel Ruiz, vescovo di San Cristóbal.

Le sue
installazioni nel municipio di San Juan Chamula sembrano appartenere ad un
altro mondo. Aule, biblioteche, laboratori, auditorium, allevamenti, centrali
elettriche, dormitori, cucina e caffetteria somigliano ad una missione. Al suo
interno regnano un ordine ed una pulizia poco frequenti nei progetti di
promozione popolare. La semplicità e l'eleganza della sua architettura
conferiscono al centro una dignità impressionante.

Il Cideci ha
instaurato accordi accademici con l'Università di Santo Tomás, a Bogotà,
Colombia. Funziona come centro universitario di educazione aperta e a distanza
per giovani indigeni che hanno conseguito la licenza media, benché sia aperto a
tutti quegli adulti che vogliano iniziare o completare i propri studi
universitari o che vogliano conseguire un altro diploma. È uno spazio di
educazione interculturale informale.

I principi
pedagogici che orientano la sua opera sono: "imparare a fare",
"imparare ad imparare" e, infine - quella che ritengono essere la
parte formativa profonda, la considerazione "dell'altro" nella sua
integralità - "imparare ad essere di più".

Il direttore del
progetto è il dottor Raymundo Sánchez Barraza, che ha svolto un ruolo centrale
nella ormai sciolta Commissione Nazionale di Intermediazione. Chi l'ha
conosciuto, scorge in lui un'intelligenza privilegiata ed il suo impegno totale
nella causa indigena. Conoscitore profondo del mondo dei popoli originari, la
sua formazione è attraversata - tra altre - da tre grandi influenze: Iván
Illich, Raimón Panikar ed Immanuel Wallerstein. E' così importante questo
autore che l'istituzione ha costituito come uno dei componenti del suo sistema
il Centro di Studi, Informazione e Documentazione Immanuel Wallerstein.

Intervistato da
Nic Paget-Clarcke (http://www.inmotionmagazine.com/global/rsb_int_esp.html), il
dottor Sánchez Barraza spiegava così la chiave del progetto che dirige:
"Ci siamo detti, che cosa ha permesso ad alcuni popoli di sopravvivere? E
abbiamo studiato alcune esperienze del secolo XVI qui nel nostro paese ed in
altri luoghi dell'America Latina, che hanno permesso ai popoli di sopravvivere
e resistere, mantenendo la loro identità. [...]Abbiamo guardato all'esperienza
di Vasco de Quiroga con gli ospedali della Santa Fe nei villaggi sul lago
Pátzcuaro, ispirato lo stesso Vasco de Quiroga dall'utopia di Tommaso Moro. Poi
abbiamo visto l'esperienza dei gesuiti in Paraguay, nel sud del Brasile, nel
nord dell'Argentina, in Bolivia. Come queste iniziative dall'occidente stesso,
con quella vena utopica, permisero a questi popoli, in un certo modo, di
resistere, di  conservarsi, di non
perdere il fulcro del riferimento identitario di base. Ci siamo detti, lì
abbiamo qualcosa da imparare ed il concetto che abbiamo imparato è quello di
resistere e sopravvivere".

Bolivar
Echeverría, recentemente scomparso, spiegava la ribellione degli indios in
Chiapas nel 1994 come parte del non compimento della conquista dei popoli
indigeni. Secondo il filosofo, la sollevazione mise in evidenza una situazione
storica che è ancora il nostro presente, nella quale si vive presente un processo
sia di conquista interrotta sia di meticciato interrotto. Per lui, gli stati
borghesi e le repubbliche liberali di tutta l'America Latina proseguono la
linea storica della corona spagnola. "Il compito di questi nuovi stati -
disse - continua ad essere lo stesso: distruggere le forme di vita
indigene".

È in questo
contesto che l'aggressione al Cideci (ed alle comunità in lotta in Chiapas)
acquisisce senso compiuto. Non si tratta di una provocazione isolata della
"impresa di livello mondiale", ma di una cosa molto più grave: è un
nuovo anello nella catena dell'offensiva che vuole usurare la resistenza
indigena in una delle sue enclavi più importanti.

(Traduzione "Maribel" - Bergamo)




      
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