[Ezln-it] Luis Hernández Navarro: Acteal, un’altra volta

Annamaria maribel_1994 at yahoo.it
Thu Aug 20 14:45:06 CEST 2009





La Jornada –
Martedì 18 agosto 2009

 

Acteal,
un’altra volta

Luis Hernández Navarro

 

Non è una visione manichea e semplicista. Il massacro di
Acteal è quello che è: un crimine di Stato perpetrato dal governo di Ernesto
Zedillo. La liberazione di 20 dei paramilitari responsabili del massacro da
parte della Corte Suprema di Giustizia della Nazione (SCJN), col pretesto che
non è stato garantito oro un giusto processo, non copre questo fatto. La
ragione giuridica non può occultare la verità storica.

 

L'imminenza del bagno di sangue ad Acteal era stata
avvertita da molti giornalisti, analisti e conoscitori della regione. I
drammatici reportage di Hermann Belinhausen, Blanche Petrich e Juan Balboa
mostravano le tracce della preparazione del crimine prima ancora che si
verificasse. Il sacrificio era annunciato.

 

Per comprendere appieno la tragedia bisogna capire tanto
quello che succedeva nella comunità e in Chiapas. Luoghi come la regione chol
ed il municipio di Bachajón vivevano situazioni simili da mesi. Anche se parlava
di pace, Ernesto Zedillo faceva la guerra. Nei posti chiave dello stato si
promuoveva la formazione di gruppi paramilitari. Ma molte delle sue vittime non
furono zapatisti, ma civili pacifici e disarmati che, come nel caso di Acteal,
pregavano per la pace.

 

Editoriali de La Jornada del 22 novembre e del 17
dicembre 1997 dicevano senza ambiguità quello che sarebbe successo ad Acteal.
Nel primo si segnalava che (la crescita della violenza) "è estremamente
preoccupante poiché il tipo di conflitto in atto a Chenalhó ha grandi
similitudini con quanto accaduto nella zona nord dello stato, dove agisce Paz y
Justicia". Il supplemento Masiosare dedicò la copertina del 14
dicembre 1997 a questo tema e titolò: "Chenalhó, un altro giro di
guerra".

 

Padre Miguel Chateau, parroco di Chenalhó ed uno dei più
profondi conoscitori della regione avvertiva: "la guerra di bassa
intensità annichilisce il mondo tzotzil" (La Jornada,
15/12/97). Il prete non parlava tanto per dire. Egli stesso era minacciato di
morte. Jacinto Arias, presidente municipale del PRI ed uno dei principali
promotori dei paramilitari, gli mise una birra in mano e gli disse: "Se
non controlla la sua gente, un giorno o l'altro l'ammazziamo. Glielo dico
faccia in faccia, padre. Bruceremo il suo corpo perchè non brucino i vermi".

 

In un reportage televisivo sugli indigeni sfollati del
municipio dai paramilitari, intitolato Chiapas: testimonianza di un'infamia,
Ricardo Rocha percepiva la tempesta che si stava avvicinando. Intervistando don
Samuel Ruiz e don Raúl Vera, il giornalista confessò loro: "Vengo dagli
Altos del Chiapas e sono profondamente indignato, attonito che ancora possano
succedere queste cose (...) anche profondamente addolorato per quello che
succede là e che sicuramente voi conoscete: è inumano... "

 

Andrés Aubry e Angélica Inda, due dei più grandi conoscitori
della dinamica sociale degli Altos del Chiapas, analizzarono con rigore la
nascita dei paramilitari nella regione in nove illuminanti articoli pubblicati
da La Jornada. Il primo di questi, "Chenalhó in bilico",
apparso il 30 novembre 1997, tre settimane prima del massacro, smontava
l'ipotesi che dietro la violenza in corso c'era un conflitto religioso. "A
Chenalhó i due dirigenti antagonistici, il presidente costituzionale (del PRI)
ed il suo concorrente, il presidente (ribelle) della sede autonoma dello stesso
municipio, sono evangelici", scrivevano.

 

Mesi prima nell'articolo: "Chenalhó: i pericoli
dell'anima", pubblicato da La Jornada a giugno del 1997,
analizzavo la gestazione dell'offensiva paramilitare in quel municipio per
concludere: "Quello che oggi è in pericolo non è l'anima, ma la vita
degli uomini pipistrello". Il 2 dicembre, ne "La guerra che
non osa dire il suo nome", scrivevo che la paramilitarizzazione era la
risposta governativa all'espansione politica e sociale dello zapatismo,
evidenziata dalla trionfale marcia dei mille 111 ribelli a Città del Messico a
settembre di quell'anno, così come alla sua crescente installazione in
territorio chiapaneco. "I paramilitari - scrivevo - a differenza
dell'Esercito o della polizia, non devono rendere conto a nessuno, esulano dal
giudizio pubblico. Possono agire con la più assoluta impunità e, perfino,
presentarsi come vittime." Purtroppo la recente sentenza della SCJN dà
ragione a quelle parole.

 

Il massacro non fu un fatto isolato o fortuito, prodotto
dalla rivincita di fazioni indigene in lotta per problemi comunitari. Non fu
uno scontro. In Chiapas c'è una guerra, e non c'è attività umana più
pianificata di questa. Acteal è stata un'azione bellica che rispondeva alla sua
logica profonda: l'intensificazione del conflitto, che avviene, secondo
Clausewitz, quando due eserciti si affrontano e "devono divorarsi tra
loro senza tregua, come l'acqua ed il fuoco che non si equilibrano mai."

 

La strategia governativa era tracciata in anticipo.
Immediatamente dopo il massacro l'Esercito ampliò la sua presenza in Chiapas
con più di 5.000 effettivi oltre a quelli già presenti ed autorizzò la sua
partecipazione "nella prevenzione di nuovi fatti violenti". Si
trasferirono verso le Cañadas truppe distaccate in Campeche e Yucatan, mentre
si stabilirono nuovi accampamenti nella regione degli Altos. Si volle tendere
un nuovo accerchiamento militare allo zapatismo, un nuovo cordone sanitario,
per tentare di frenare la sua espansione e l’esrcizio dei municipi autonomi.

 

Questa logica venne allo scoperto nei mesi successivi. La
guerra sporca contro lo zapatismo seguì il suo corso sanguinoso. Acteal fu il
segnale di partenza per accrescere l'offensiva bellica. Forze combinate di
diverse polizie ed eserciti attaccarono violentemente i municipi di Taniperlas,
Amparo Aguatinta, Nicolás Ruiz e El Bosque, fino a che il 6 luglio 1998, a
Chavajeval ed Unión Progreso, le forze repressive cozzarono contro un muro.

 

La liberazione degli assassini di Acteal e la pretesa di
riscrivere la storia del massacro non sono un atto di giustizia: sono la
continuazione della guerra con altri mezzi.

http://www.jornada.unam.mx/2009/08/18/index.php?section=opinion&article=019a1pol

 



(Traduzione “Maribel” - Bergamo  http://chiapasbg.wordpress.com
)

 




      
-------------- next part --------------
An HTML attachment was scrubbed...
URL: http://lists.ecn.org/pipermail/ezln-it/attachments/20090820/f0dc5cb9/attachment.html 


More information about the Ezln-it mailing list