[Ezln-it] Fw: [UnionePlurale] reportage. dopo petrolio gas ora l'acqua

nadiadarco nadiadarco at alice.it
Wed Nov 28 20:17:15 CET 2007


----- Original Message ----- 
From: michele lastilla 
To: unioneplurale 
Sent: Wednesday, November 28, 2007 7:55 PM
Subject: [UnionePlurale] reportage. dopo petrolio gas ora l'acqua


sarà recuperata o perduta?
Guerra per l'acqua E tutto il resto.
In Paraguay, terra dei grandi fiumi, c'è l' Acuífero Guaraní, la terza (o la 
prima) riserva d'acqua dolce del pianeta.
Una risorsa strategica scarsa che ha già scatenato gli appetiti.
Quelli di Usa e Brasile per esempio.
Maurizio Matteuzzi.
Asunción Ogni secolo ha il suo oro.
Il petrolio, l'oro nero per cui si sono combattute le guerre del secolo XX 
(che non sono finite...), l'acqua, l'oro blu per cui si combatteranno le 
guerre del secolo XXI.
Il Paraguay lo sa.
Uno dei suoi miti fondativi, la Guerra del Chaco contro la Bolivia, fu una 
guerra per il petrolio fra i nord-americani della Standard Oil of New Jersey 
dei Rockefeller e gli anglo-olandesi della Royal Dutch Shell, ma in 
quell'inferno boreale, fra il 1932 e il 1935, i 60-90 mila morti boliviani e 
i 30-50 mila paraguayani morirono per l'acqua.
Di sete, scannandosi fra loro per le poche pozze d'acqua di quel deserto 
vuoto.
La guerra iniziò per il petrolio (che non fu trovato) ma finì per essere una 
guerra per l'acqua.
Se il petrolio e il gas del Chaco probabilmente si troveranno - a pochi km, 
Tarija e Santa Cruz, sud della Bolivia, e a Formosa, nord dell'Argentina, ne 
sono piene -, in Paraguay l'acqua c'è già, sopra e sotto la superficie.
Tanta.
Dolce e pulita.
Se è vero che non più dell'1% o, secondo l'Unesco, del 2.5% dell'acqua della 
terra è dolce e potabile, è un fatto che un quarto di quell'acqua si trova 
nel Cono sud dell'America latina.
E il vero paradiso terrestre dell'acqua è qui, in Paraguay, con l'Acuífero 
Guaraní e i grandi fiumi che scorrono dentro o intorno al paese, come il 
Paraná e il Paraguay, l'Uruguay e il Pilcomayo, l'Iguazú e il Bermejo, l'Apa 
e il Negro; con le cateratte di Iguazú e le centrali idroelettriche di 
Yaciretá (condivisa con l'Argentina) e Itaipú (condivisa con il Brasile, la 
più grande del mondo).
Un tesoro sepolto.
Quest'oceano d'acqua dolce forma la Cuenca del Plata - un bacino idrografico 
di 3.2 milioni di km fra Argentina, Brasile, Bolivia, Uruguay e Paraguay - 
che, alla confluenza dei fiumi Paraná e Uruguay, diventa poi l'estuario del 
Rio de la Plata e, oltrepassate Buenos Aires e Montevideo, dopo 320 km 
sbocca nell'Atlantico.
Il Sistema Acuífero Guaraní (il SAG) della Cuenca del Plata è il cuore 
pulsante.
Una risorsa strategica, ambita da molti.
Un immenso giacimento d'acqua dolce sotterraneo che copre 1.2 milioni di km 
quadrati - 4 volte l'Italia -, il terzo del pianeta o, per altri, il primo 
perché i suoi limiti precisi non sono ancora conosciuti.
71 mila km quadrati in Paraguay, 59 mila in Uruguay, 840 mila in Brasile a 
nord - dove si connette con il grande Pantanal del Mato Grosso e di lì con 
l'Amazzonia -, 226 mila in Argentina a sud - dove arriva fino alla Pampa e 
di lì potrebbe connettersi con laghi e ghiacciai della Patagonia.
Secondo gli esperti la sua ricarica annuale è fra i 160 e i 250 km cubici e 
"dato che un km cubico equivale a un miliardo di litri d'acqua - dice Ramón 
Fogel, sociologo del Centro de Estudios Rurales Interdisciplinarios 
paraguayano -, questa riserva d'acqua può soddisfare le necessità di 360 
milioni di persone per 100 anni usando solo il 10% della sua capacità 
totale".
Un tesoro sepolto, scoperto dai brasiliani negli anni '30 del '900, tanto 
prezioso quanto fragile e vulnerabile.
La sua ricarica naturale, per via diretta attraverso le piogge o per via 
indiretta attraverso l'infiltrazione verticale, può essere danneggiata dai 
residui industriali e domestici scaricati nei fiumi e - il pericolo più 
attuale - dai pesticidi e agrotossici di cui si fa un uso smodato da quando 
il fertilissimo est paraguayo, trasformatosi in terra franca 
dell'immigrazione terrateniente dei brasiliani (i "brasiguayos"), è 
diventato uno dei paradisi della soia transgenica di cui il Paraguay è il 
settimo produttore mondiale e il quarto esportatore dopo Usa, Brasile e 
Argentina.
Anche se solo il 6% dell'Acuífero è in territorio paraguayano e la metà 
della sua ricarica naturale avviene in Paraguay e, più esattamente, 
nell'area della Triple Frontera.
La regione malfamata fra Paraguay, Brasile e Argentina che gli americani di 
Washington dicono sia infestata, oltre che dal crimine organizzato - 
contrabbando di tutto e in particolare di droga e armi, riciclaggio di 
denaro sporco, traffico di donne e di auto -, dal "terrorismo islamico".
Un'area quindi da tenere sotto stretto controllo militare, meglio se 
permanente.
E, visto che per di più racchiude una "risorsa dell'umanità", da 
"internazionalizzare". Anche se internazionalizzazione spesso fa rima con 
privatizzazione.
Un ossimoro solo apparente.
"L'insistenza del Dipartimento di Stato Usa sulle attività illecite che si 
verificano nelle Tre frontiere e sui loro legami con il terrorismo 
internazionale coincide con gli interessi del potere globale e in questa 
ottica dev'essere vista: la minaccia terrorista e una risposta a livello 
militare s'incastrano non solo con la ricerca di nuovi nemici dopo il 
collasso del socialismo reale, ma innanzitutto con la pretesa di controllare 
le risorse naturali del pianeta considerate strategiche e infine anche con 
il tentativo di rendere il più difficile possibile l'integrazione fra i 
paesi del Mercosud", dice il sociologo Ramón Fogel qui ad Asunción. "Altro 
che cellule terroriste: gli Stati uniti hanno messo la Banca mondiale e 
l'Organizzazione degli Stati americani alla testa d'un progetto che si 
propone di scoprire la consistenza esatta di questa risorsa, assicurarne 
l'uso sostenibile, evitarne la contaminazione e soprattutto tenerla sotto 
stretto controllo", diceva qualche giorno fa a Buenos Aires Elsa Buzzone, 
una storica, specializzata in geopolitica, del Cemida, Centro de militares 
para la democracia argentina, e ricorda le centinaia di "basi scientifiche" 
e militari che gli Usa, l'Onu e altri organismi internazionali hanno 
installato in luoghi sensibili del mondo e dell'America latina - "6 in 
Argentina e una ventina intorno all'Amazzonia" - ufficialmente per 
monitorare fenomeni ambientali e rilevare eventuali "esplosioni atomiche". I 
realtà gli obiettivi veri sono altri.
Sia il primo Foro Social de la Triple Frontera, nel 2004 a Puerto Iguazú, il 
lato argentino delle Tre frontiere, sia il secondo, nel 2006 a Ciudad del 
Este, il lato paraguayo, li hanno inquadrati con chiarezza: le spinte a 
militarizzare e internazionalizzare la regione si devono al fatto che gli 
Stati uniti la considerano primo la porta d'accesso alla conca amazzonica, 
secondo una delle riserve d'acqua dolce più importanti del pianeta, terzo 
una miniera straordinaria di ricchezza ambientale e biodiversità che fa gola 
al big pharma, quarto un ambito territoriale strategico per il controllo dei 
tre paesi.
I tre assi strategici Usa.
Anche Adolfo Pérez Esquivel, il Nobel argentino per la pace del 1980 e il 
fondatore del Serpaj, il Servicio Paz y Justicia, non ha dubbi: "i tre assi" 
su cui si muovono gli Stati uniti in America latina sono il Plan 
Puebla-Panamá, il Plan Colombia e la Triple Frontera con l'Acuífero Guaraní 
e la Cuenca del Plata.
Per gli Usa e forse anche per certi ambienti dell'Onu, l'Amazzonia e (sia 
pure, per ora, con minore insistenza) la Patagonia devono essere prima che 
brasiliana e argentina "patrimonio dell'umanità". E anche l' Acuífero 
Guaraní, di cui si parla molto meno, dovrebbe esserlo.
Ma che significa "patrimonio dell'umanità"? Le stesse parole per esprimere 
due visioni del mondo contrapposte.
Una che guarda alla grande riserva d'acqua dolce che scorre qui sotto come a 
una risorsa ambientale comune, compartita fra i 4 paesi che la posseggono, 
legata al diritto alla vita, anzi un "diritto umano" tout court, come ha 
detto il presidente boliviano Evo Morales, che quindi "non può essere un 
business privato". L'altra che considera l'acqua e l'Acuífero una risorsa 
strategica con un preciso - e crescente - valore economico che può o deve 
essere privatizzata, come il petrolio e il gas, per farla fruttare e 
produrre profitti.
Fra queste due posizioni inconciliabili ce n'è una terza che forse è quella 
buona.
L'acqua come risorsa dell'umanità ma che, come qualsiasi altra risorsa, 
appartiene al paese che la possiede, che la può e deve sfruttare e però, 
ancora con le parole di Morales, "non può diventare mai un affare privato ma 
deve restare sempre un servizio pubblico".
A qualcuno non sarà sfuggito che a essere alternativamente proclamate 
"patrimonio dell'umanità" o "merce" sono sempre le risorse degli "altri", 
dei paesi deboli e periferici.
L'acqua preziosa su cui galleggia questo paese non fa eccezione.
Nel '94 i 4 soci fondatori del Mercosud - Brasile, Argentina, Uruguay e 
Paraguay - si accordarono per dare vita a un "Proyecto de Protección del 
Acuífero Guaraní y Desarrollo Sustentable", dotandolo di un modesto budget 
di 26 milioni di dollari.
Poi sull'onda delle privatizzazioni che negli anni '90 imperversavano in 
America latina, col pretesto di una mancanza di fondi, affidarono il 
Progetto alla Banca mondiale.
Il 22 maggio 2003, la Banca mondiale e i 4 paesi del Mercosud si riunirono a 
Montevideo per rifirmare il Progetto del '94 ma questa volta finanziato dal 
Global Environment Facilities (con sede a Washington di cui è parte la 
stessa Banca mondiale, nato nel '91 per "aiutare" i paesi in via di sviluppo 
a impiantare programmi compatibili con l'ambiente globale), dal Dipartimento 
per lo sviluppo sostenibile dell'Organizzazione degli Stati americani 
(l'Osa, storico strumento di controllo Usa sull'America latina, con sede a 
Washington), dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica (l'Aiea, con 
sede a Vienna, la stessa che maneggia la crisi con l'Iran) e da organismi 
ambientali dei governi di Germania e Olanda.
Il Progetto si propone di "appoggiare" i 4 paesi dell' Acuífero per 
"elaborare e mettere in pratica congiuntamente un comune ambito 
istituzionale, legale e tecnico per utilizzare e preservare il SAG".
Solo per questo? Non ci credono il sociologo paraguayano Ramón Fogel e la 
storica argentina di geo-politica Elsa Buzzone, e neanche i movimenti, le 
ong e i gruppi arttivi nella Tripla Frontera, quali la Red Social o il Grito 
das Aguas: loro hanno chiarissima la convinzione, che il Progetto sotto 
controllo del Banco mondiale in realtà si proponga altro: "cercare 
informazioni strategiche per conto delle grandi corporazioni interessate a 
investire nel mercato dell'acqua e ottenere il controllo privato delle 
nostre risorse ambientali".
L'acqua dolce è una delle più strategiche, oltrettutto rinnovabile e pulita.
Eccesso di sospetto e dietrologia? Certo a pensare male si fa peccato ma 
spesso - visti i precedenti vicini e lontani - ci si azzecca.
E' sicuro comunque che quando, più presto che tardi, si scatenerà la guerra 
aperta per l'Acuífero Guaraní, le precedenti "guerre dell'acqua", come 
quella del 2000 a Cochabamba, sembreranno giochini da playstation.
Il Paraguay dei grandi fiumi, periferico, misterioso, chiuso orgogliosamente 
su se stesso, "un'isola circondata dalla terra ferma", rivelerà allora la 
sua importanza strategica nascosta.
Le avvisaglie ci sono già. In tutta quest'acqua qui sotto sta cuocendo 
qualcosa di brutto.
il manifesto 



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