[Ezln-it] Reportage Acteal - 19^ Parte

Annamaria annamariamar at gmail.com
Fri Nov 23 16:15:44 CET 2007


*La Jornada – Venerdì 19 novembre 2007*

*REPORTAGE ACTEAL - A dieci anni da Acteal*

*Samuel Ruiz: "È il Natale più triste della nostra vita"*

*I sopravvissuti identificano i cadaveri martoriati*

*La CNDH fa aprire le 45 bare; si sparge l'odore*

*"Loro, i nostri padri e madri, faranno sì che si realizzi il sogno della
giustizia. Il loro sangue irrigherà il nostro suolo, la nostra milpa, la
nostra casa, affinché nasca la pace e splenda la giustizia"*

*Hermann Bellinghausen** / Parte Diciannove*

Acteal, 25 dicembre 1997. A poco a poco sale l'odore, circondando con la sua
calda forza tutto questo immenso e solo in apparenza silenzioso dolore dei
tzotziles. No, non è la pestilenza della morte, anche se mentre avanza la
mattina le 45 casse si riempiono di mosche, a migliaia, golose. Non è
nemmeno l'odore dolciastro di questa terra rimossa e tanto calpestata in
così pochi giorni. I sopravvissuti del massacro di Acteal portano il loro
dolore e la loro rabbia con una grandezza immune a tutto. Ormai, che altro
può succedergli?

Mariano, in cima alla spianata che occupano le bare di tutti i suoi morti,
insieme alle altre autorità tradizionali del villaggio di Chenalhó, presiede
la messa funebre officiata dal vescovo Samuel Ruiz García, che definisce
questo "Il Natale più triste della nostra vita".

Rappresentante di Pace di Acteal, Mariano è l'unico delle centinaia di
uomini presenti che indossa il cappello cerimoniale di nastri. Egli guida la
cerimonia. È lui che parla agli uomini ed alle donne di Quextic e La
Esperanza i cui famigliari sono venuti qua a morire. Nello stesso tempo
sovrintende allo scavo delle due grandi fosse di due metri per 20, che in
questo momento tiene occupati decine di uomini e ragazzi che con vanghe e
picconi rompono la terra. Mariano distribuisce crisantemi bianchi alle donne
e chiede loro di metterli sulle bare dei loro congiunti. Lui stesso va a
deporne uno sulla bara di sua moglie, ed altri due su quelle delle sue
figlie. Su ognuna si piega e deposita un bacio.

È uno degli uomini più rispettati di Chenalhó. Il suo incarico precedente,
fino a pochi mesi fa, era di *pashión*, massima autorità spirituale. Per un
anno sulle sue spalle si è posato il peso dall'universo. In cima al campo di
casse, Mariano parla con chiarezza. Piange anche. È rimasto solo lui e suo
figlio di 12 anni. Lo circondano le altre autorità mentre si svolge la messa
concelebrata da Ruiz García ed altri sacerdoti della diocesi di San
Cristóbal de las Casas.

*Crisantemi e articoli costituzionali*

Hanno parlato diversi uomini, come d'abitudine quando sono in assemblea. Uno
dice al vescovo: "Anche io morirò, ma voglio giustizia, che siano puniti i
colpevoli, i priisti, principalmente. Non m'importano le differenze di
organizzazione né partito politico". Ed invoca la Costituzione, durante la
messa: "C'è l'articolo 24 che prevede il rispetto dei partiti e delle
religioni. Dov'è finito l'articolo 24, signor governatore?"

Anche le altre autorità distribuiscono i crisantemi alle donne. Un
catechista, indicando le bare, dichiara durante la cerimonia: "loro, i
nostri padri e madri, faranno sì che si realizzi il sogno della giustizia.
Il loro sangue irrigherà il nostro suolo, la nostra milpa, la nostra casa,
affinché nasca la pace e splenda la giustizia". Crede all'intercessione
degli antenati presso le potenze superiori. Così, dice dei caduti: "tutti e
tutte loro faranno sì che la parola parli".

Con ammirevole sobrietà, i sopravvissuti ascoltavano il *Tatic* parlare del
perdono, nello stesso luogo in cui erano caduti i loro famigliari. Samuel
Ruiz García è andato da loro fin da presto. Prima della messa era rimasto
seduto di fronte agli indigeni riuniti nella spianata a scavare la fossa.
Per ore, solo ed in silenzio, ha guardato questo campo seminato di cadaveri.
Sicuramente ha sentito, come tutti i presenti, l'impressionante pace, oltre
le lacrime, che irradiavano gli indigeni di Las Abejas.

Pochi metri sopra questa spianata passa la strada dalla quale la mattina di
lunedì sono arrivati gli assassini. Sulla quale oggi, presto, transitavano
alcune delle persone coinvolte su un veicolo ufficiale, si presume protette
dalla polizia municipale del municipio costituzionale di Chenalhó che
viaggiava su un altro veicolo.

Per caso sono passati dal posto, ed in mezzo al corteo, membri del gruppo
paramilitare che ha perpetrato il crimine. Sono stati riconosciuti dalla
processione che portava i 45 corpi dal vicino villaggio di Polhó, dove ieri
sera le autorità di Tuxtla e della Federazione li avevano consegnati ai
comandi del municipio autonomo.

Il governo mandava i paramilitari ad un eventuale linciaggio, mettendoli
nelle mani dei sopravvissuti? La disciplina delle basi zapatiste che
accompagnavano il corteo e la presenza del *Tatic* hanno impedito che i
paramilitari fossero aggrediti. Siccome insieme al corteo funebre c'erano la
Polizia Giudiziale Federale e la CNDH, i sospetti sono stati catturati
immediatamente, non lontano dal nuovissimo accampamento dell'Esercito
installato nella scuola primaria di Acteal.

Più tardi, durante la messa, un uomo ben vestito scese dalla strada,
attraversò con sfacciataggine la spianata piena di indigeni e si diresse
verso l'eremo, a 50 metri dal posto. Forse l'unico tra le migliaia di
presenti con giacca e pantaloni. Ostentava una pistola infilata nella
cintura in vita. Dopo qualche minuto apparve Gustavo Moscoso Zenteno,
magistrato del Tribunale Superiore di Giustizia del Chiapas e rappresentante
del governo di Ruiz Ferro ai negoziati di pace e riconciliazione culminati
nel massacro.

Cercava Mireille Roccatti, titolare della CNDH, ma questa se n'era già
andata. Rimase comunque per un momento al funerale. Qui incarnava il
governo. Non è stato male che fosse presente, anche solo per pochi minuti,
alla terribile cerimonia. Non è stato male che anche lui venisse avvolto da
questo odore.

A pochi passi, sotto le malconce tettoie dell'accampamento in rovina e da
oggi cimitero, le donne, nell'ombra, si occupano ed allattano i figli. Uno
di loro vomita bile, con dolore. Una neonata piange. Altri bambini giocano
con circospezione. Passa il figlio di Mariano con una borsa di rete legata
in fronte. Ha ereditato la borsa da suo padre. Un principe senza terra.
Sorride tristemente e si perde tra gli uomini che aspettano il loro turno
per scavare le fosse. "Non una fossa comune, ma comunitaria", secondo Carlos
Monsiváis, testimone della conclusione dell'ignominia.

*La presenza governativa*

Poi, la brutale procedura burocratica: identificare i cadaveri. Per
incredibile che sembri, le autorità del governo chiapaneco non hanno mai
eseguito questa procedura, cosa che molti osservatori ritengono un'altra
manovra di occultamento. Un'altra. Ora è di competenza federale. Un agente,
uno solo, della Polizia Giudiziale Federale, ascolta, corrucciato, decine di
denunce. La storia di X'Cumumal, comunità circondata dai paramilitari e
dalla polizia, dove stanno per morire di fame più di 3.000 profughi. Suda,
mentre ascolta la storia delle donne rapite a Pechequil, obbligate dai
priisti ai lavori forzati sotto minaccia di morte.

Qui si inumano cinque donne incinta. La PGR ha parlato solo di due nel suo
rapporto. Due sono morte per colpi di machete. Un'altra, Juana Pérez Pérez,
di 33 anni e sette mesi di gravidanza, è stata colpita al torace da una
pallottola ad espansione, dall'alto verso il basso, causando la fuoriuscita
dei visceri.

Da informazioni confermate da Las Abejas, Rosa Pérez Pérez, con due ferite
nel torace, è esploso il cuore, ha ricevuto un colpo di machete. Marcela
Capote Vázquez, di 15 anni, proiettile nel torace. María Gómez Ruiz due
spari alla schiena, come tutti gli altri bambini uccisi. Rosa Gómez,
incinta, è sopravvissuta, non il suo bambino.

Gli operai della CNDH fanno aprire una alla volta le 45 bare dopo
mezzogiorno. I parenti dei morti affrontano il riconoscimento su questi
corpi martoriati. Per decomposizione o per effetto della violenza, alcuni
sono irriconoscibili. L'odore si diffonde. Le mosche aumentano. Così, una
bara che dice "adulto femmina" o "bambino maschio" riacquista il suo nome
per ultima volta.

Piangendo o in silenzio, le donne mettono nelle bare scarpe, coperte e *
huipiles* sui loro congiunti nudi, come li hanno consegnati l'altro ieri le
autorità, i corpi avvolti ora in borse di plastica. Ad una donna sua sorella
mette cinque *huipiles *nuovi, uno scialle, una cintura, tutti ricamati e
mai indossati dalla defunta.

Mariano e le altre autorità organizzano il trasporto delle casse fino alle
fosse. Alcuni membri della carovana Para Todos Todo aiutano gli uomini. Non
ci sono né fatica né fretta. Giovani della capitale, donne di città che,
come gli altri, a malapena comprendono ciò che succede.

L'espressione " qui giace", frequente in queste terre per fare capire il
luogo di una morte, è valida due volte. Qui c'erano le vittime, qui
sacrificate. Questa è la penitenza che impongono i profughi a questa terra
crudele dove, secondo le loro tradizioni, lasciano seminata la memoria. I
vivi portano sulle spalle tutto il peso dell'universo. Ora, spogliati tra
gli spogliati, questi contadini non hanno più nulla (*La Jornada*, 26
dicembre).



(Traduzione Comitato Chiapas "Maribel" – Bergamo)
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