[Ezln-it] Reportage Acteal - 13^ Parte

annamaria maribel annamariamar at gmail.com
Sat Nov 17 15:44:22 CET 2007


La Jornada – Sabato 17 novembre 2007



REPORTAGE / A dieci anni da Acteal



- Migliaia di profughi senza aiuti e senza mezzi per procurarsi cibo



*Crescono violenza, morti e miseria tra gli indigeni*



- Autorità autonome e costituzionali di Chenalhó si riuniscono

- Comincia la persecuzione contro gli osservatori internazionali

- Nonostante le prove del clima di ostilità denunciato dal consiglio
autonomo, il governo afferma che si stanno risolvendo i problemi e nega che
si stiano bruciano case e uccidendo zapatisti e perredisti



Hermann Bellinghausen/ Parte Tredici



Il 24 novembre del 1997, il consiglio autonomo di Polhó invia una lettera
che invita i legislatori della Commissione di Concordia e Pacificazione
(Cocopa) a collaborare nella mediazione del conflitto, e convocano ad un
colloquio per il giorno 29 a Polhó. Informano anche che esistono più di
4.500 profughi.



La Unión de Ejidos y Comunidades Majomut, che riunisce i coltivatori di
caffè di diverse filiazioni politiche, avverte che il raccolto di più di 20
mila sacchi di chicchi è a rischio in conseguenza della violenza.



Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC) riceve
informazioni che elementi di Pubblica Sicurezza accompagnano e forniscono
protezione a militanti priisti che raccolgono caffè in poderi di proprietà
degli zapatisti. Il giorno 25 nei quartieri di Acteal vengono bruciate
quattro case di simpatizzanti zapatisti da almeno 15 persone armate. Si
riferisce di "grande tensione" a Pechiquil, dove Hilario Guzmán Luna e Pablo
Hernández Pérez, "ex militare" ed attuale agente municipale, dirigono un
gruppo di paramilitari (*La Jornada*, 26 novembre *). Contemporaneamente, il
sindaco del municipio ufficiale Agustín Gutiérrez Pérez sollecita la
presenza dell'Esercito federale nel villaggio "per salvaguardare l'ordine".




Priisti di Pechiquil installano un "posto di controllo" sulla strada; tra
loro c'è un gruppo di 20 persone in uniforme scura e stivali "simili a
quelli dell'Esercito; il resto indossa il normale stivale di gomma". La
segreteria di Governo del Chiapas in un'inserzione a pagamento (27 novembre)
dichiara solennemente: "Nella comunità di Acteal nessuna abitazione è stata
bruciata".



*Annichilire le basi di appoggio, la missione del governo*

* *

Il giorno seguente il *comandante David *dice a *La Jornada** *che
"L'obiettivo principale della violenza promossa dal governo a Chenalhó ed in
altri municipi attraverso *guardias blancas* e gruppi paramilitari, è
distruggere le basi di appoggio dell'EZLN", e che "benché il governo ogni
giorno dica in Chiapas si stanno risolvendo i problemi, è una bugia perché
quello che cresce è la violenza, la persecuzione, la morte e
l'incarcerazione di molti compagni".



Il 29 novembre un elicottero del governo dello stato atterra a Canolal con
persone che dicono essere dei "diritti umani", e che "sarebbero ritornati
presto per farla finita con gli zapatisti e la società civile". Il primo di
dicembre, il segretario dei Popoli Indigeni, Antonio Pérez Hernández, nel
contesto di una visita di osservatori nazionali ed internazionali, "accusa
gli stranieri di essere causa della violenza". Da parte sua, la Segreteria
di Governo installa un posto di blocco migratorio "congiunturale" sulla
strada per San Pedro Chenalhó.



Il consiglio autonomo di Polhó informa di quattro case di zapatisti bruciate
da priisti a Takiukum e Yibeljoj. Il sottosegretario di Governo, Uriel
Jarquín, in un'altra inserzione a pagamento, smentisce il governo autonomo
nonostante la pubblicazione di fotografie delle abitazioni distrutte apparse
su diversi quotidiani del paese: "A Chenalhó non è stata bruciata nessuna
casa" (3 dicembre).



Il 30 novembre, un gruppo di osservatori verifica la drammatica situazione
dei "profughi". Secondo la deputata perredista Patrio Jiménez, "è urgente
fare qualcosa per loro prima che comincino a morire di fame e freddo perché
ormai sono allo stremo" (1 di dicembre). A Chenalhó "si favorisce la
decomposizione sociale e la guerra tra fratelli in maniera molto chiara",
per cui bisogna fermare la violenza "prima che sia troppo tardi". Nello
stesso senso si pronuncia la Missione Civile Nazionale ed Internazionale per
la Pace in Chiapas dopo aver visitato le comunità (4 dicembre) e constatato
la "connivenza e complicità aperta della Pubblica Sicurezza ed i
paramilitari", così come la presenza di persone in divisa e con carabine a
Pechiquil.



Il 2 dicembre, il consiglio autonomo rivela l'esistenza di "un enorme gruppo
di sfollati in montagna, non lontano da Xcumumal, insieme a numerosi
profughi di Chimix, Joveltik, Canolal e Tzanembolom. Questi non ricevono
alcun aiuto e non possono uscire a cercare cibo". Secondo le testimonianze,
si tratta di quasi 2 mila persone nelle peggiori condizioni.



Nel mondo si moltiplicano le mobilitazioni e le proteste contro il governo
messicano. I profughi di Chenalhó appaiono nei notiziari della CNN e sulle
principali televisioni di Spagna, Italia, Francia, Portogallo, Regno Unito e
Svezia (4 dicembre). Il giorno 7 Ricardo Rocha inizia la sua memorabile
trasmissione sui profughi a *Detras de la Noticia* su Televisa. Nello stesso
tempo, aumentano le denunce contro gli agenti dell'immigrazione. La cosa
nuova è perseguire gli osservatori internazionali, scacciarli da Chenalhó.
Questo garantirà che due settimane dopo, quando succederà il massacro, non
ci sia nessun testimone straniero nell'area (salvo un paio di campamentisti
europei a Polhó).



Il giorno 5 si riuniscono finalmente gli autonomi ed il municipio priista
all'incrocio di Las Limas, a Chenalhó. I priisti denunciano la morte di
Lucio Gómez Guillén a Tzanembolom il giorno precedente. Gli autonomi dicono
che non hanno potuto essere gli zapatisti gli autori perché in quella
comunità ormai non c'è più nessuno. Due ore dopo la riunione arriva la
notizia di un altro morto priista a Chimix. Il sindaco ufficiale aveva
dichiarato che i profughi del suo partito ricevevano gli aiuti dal governo
statale a Pechiquil, Aurora Chica, Chimix e Puebla (6 dicembre), comunità in
mano ai paramilitari.



La violenza non si ferma. Il giorno 10, il consiglio di Polhó accusa il
sindaco priista di non rispettare gli accordi di massima di Las Limas. Il
giorno 12 le parti tornano a riunirsi nello stesso luogo. *La Jornada*riferisce:



Ci sono voluti quattro tavoli di legno, 70 sedie (ed una trentina di morti,
quasi 6.000 profughi, innumerevoli case bruciate) per la prima negoziazione
effettiva tra le diverse autorità municipali di Chenalhó. Faccia a faccia,
il municipio costituzionale ed il consiglio municipale autonomo. Jacinto
Arias Cruz guida la rappresentanza priista, con agenti municipali e
consiglio comunale, e solo ogni tanto rivolge sguardo a Domingo Pérez
Paciencia, presidente del consiglio autonomo che non smette di guardarlo con
un sorriso sulle labbra.



Buona parte degli interventi sono in tzotzil. Partecipano come testimoni
rappresentanti del governo statale, la Commissione Nazionale di
Intermediazione, la Commissione Nazionale dei Diritti Umani e la sua agenzia
statale ed il CDHFBC. Ci sono 11 punti da discutere secondo gli autonomi,
otto secondo i costituzionali, sul campo di pallacanestro della primaria,
sul crocevia di Chalchihuitán, punto intermedio tra Chenalhó e Polhó.



"Dobbiamo pensare quale punto urge per una pace giusta", dice un agente del
consiglio autonomo. Su questo sono tutti d'accordo. Bisogna fermare la
violenza. Partecipano anche ex presidenti municipali Chenalhó e
rappresentanti delle organizzazioni Majomut e Las Abejas. Della gravità di
quanto in gioco dipende la pace.



*Dialogo e spari*

* *

Durante la riunione che si protrae per tutto il giorno, passano per la
strada grandi camion della polizia, convogli militari ed un vistoso
Volkswagen rosso che, come commenta uno di Las Abejas, "è l'automobile con
la quale i paramilitari pattugliano la zona".



Quella mattina ci furono diversi spari a Tzajalucum, un villaggio
abbandonato dai suoi abitanti, mentre vi si stavano recando rappresentanti
di organismi civili e del governo chiapaneco. Gustavo Moscoso, magistrato
del Tribunale Superiore di Giustizia dello Stato ha appena finito di dire
che l'incontro "riempie di gioia il governo dello stato", quando il priista
Arias Cruz informa che in quel momento si stanno bruciano le case e ci sono
spari a Chimix.



"Le facce si vedono, il cuore no", aveva detto poco prima lo stesso Arias
facendo brillare la sua dentatura d'oro. Suggerisce che questo impedisce la
negoziazione. I colloqui precedenti erano stati sospesi per incidenti
durante l'incontro. Oggi non è così. Si decide che le parti continuino a
negoziare mentre una commissione va a verificare cosa succede a Chimix. La
commissione raggiunge il villaggio citato dove le case dei perredisti e
zapatisti distrutte e colpite dalle pallottole sono la testimonianza di
quello che è successo nelle settimane precedenti. La notizia risulta essere
falsa. La guarnigione di polizia di Chimix, per voce del secondo ufficiale
Vicente González Castellanos, spiega che "è tutto tranquillo. Non abbiamo
ricevuto notizie".



La negoziazione a Las Limas giunge ad una firma congiunta. Curiosamente, una
volta che la commissione inviata a Chimix è tornata, nessuno del consiglio
comunale priista si preoccupa che si diano informazione della sua denuncia.
Domingo Pérez Paciencia, presidente autonomo, commenta: "la faccia si vede,
il cuore no".



* Tutte le date tra parentesi corrispondono a notizie pubblicate da* La
Jornada. *



(Traduzione Comitato Chiapas "Maribel" – Bergamo)
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