[Ezln-it] Marcos: Prima Parte

Annamaria Pontoglio maribel_1994 at yahoo.it
Fri Nov 2 15:34:48 CET 2007


FORUM NAZIONALE DI SOLIDARIETÀ CON LE COMUNITÀ ZAPATISTE
  27 ottobre 2007
  Jojutla, Morelos.
   
  Intervento della Commissione Sesta dell’EZLN
   
   
  LA SOLIDARIETÀ COME FRATELLANZA O COME USURA
   
  “
  il pessimismo continuava ad averla vinta poco a poco; la fame e la sete, la stanchezza, la sensazione di impotenza di fronte alle forze nemiche che ci accerchiavano sempre di più e, soprattutto, la terribile malattia dei piedi conosciuta dai contadini col nome di mazamorra - che trasformava in un martirio intollerabile ogni passo dei nostri soldati - avevano fatto di questo un esercito di ombre. Era difficile andare avanti, molto difficile. Giorno dopo giorno, le condizioni fisiche della nostra truppa e del cibo peggioravano, un giorno sì ed un altro no, un altro forse, niente contribuiva a migliorare il livello di miseria che stavamo sopportando. Passavamo i giorni più duri nascosti (
), in pantani pestilenziali, senza una goccia d'acqua potabile, attaccati continuamente dall'aviazione, senza un solo cavallo per poter trasportare i più deboli attraverso le inospitabili paludi, con le scarpe completamente distrutte dall'acqua fangosa di mare, con le piante che
 ferivano i piedi scalzi, la nostra situazione era realmente disastrosa nel tentativo di uscire faticosamente dall'accerchiamento (
). Non avevamo tempo di riposare neanche per poco quando un nuovo acquazzone, inclemenze del clima, oltre agli attacchi del nemico od alle notizie della sua presenza, tornavano ad imporci la marcia. La truppa era sempre più stanca e scoraggiata. Tuttavia, quando la situazione era più tesa, quando ormai solo l'impero dell'insulto, delle suppliche, degli spropositi di ogni tipo,riusciva a far procedere la gente esausta, una sola  visione in lontananza incoraggiò i loro volti ed infuse nuovo spirito alla guerriglia.”
   
  “Passaggi della Guerra Rivoluzionaria. 
  L'Offensiva Finale: La battaglia di Santa Clara.” Ernesto Che Guevara
   
   
  Così Ernesto Che Guevara descriveva un ottobre di quasi 50 anni fa. Alcune settimane dopo questo disastro, il Che comandava una delle battaglie più impressionanti della storia militare mondiale, la Battaglia di Santa Clara.
   
  Giorni più tardi cadeva la dittatura da Fulgencio Batista, trasformando il popolo di Cuba, dopo essere stato l'ultimo ad emanciparsi, nel primo ad essere libero in America.
   
  E dico questo quando si blatera della sovranità nazionale (ora suppostamente difesa dai senatori “patrioti”), della lotta al narcotraffico, dimenticando che la cosiddetta “Iniciativa Merida” o “Plan México” ha come uno dei suoi obiettivi quello di chiudere la morsa militare e diplomatica intorno a quella solitaria stella di dignità nei Caraibi.  
   
  All'improvviso, dopo gli stessi quasi 50 anni, il governo nordamericano scopre che l'opzione scelta dal popolo cubano non dipende da un uomo eccezionale, ma dalla vocazione storica condivisa dai popoli latinoamericani: quella della libertà e la giustizia. Il problema, dunque, per il governo degli Stati Uniti non si chiama Fidel Castro Ruz, ma, per dirla semplicemente, si chiama Rivoluzione Cubana.
   
  40 anni fa il Potere straniero scoprì che la ribellione di un continente non moriva con la pallottola che ammazzava Ernesto Che Guevara, e che a volte questo sentimento si incarna negli individui ma sempre nei popoli.  
   
  Forse a qualcuno, a qualcuna, suonerà strano che il nostro intervento in questo forum di solidarietà con le comunità zapatiste inizi citando il Che e Cuba, ma tutto questo viene a proposito perché, secondo il nostro pensiero zapatista, non si può parlare della solidarietà come fratellanza senza pensare a Cuba, alla sua lotta ed alla sua storia.
   
  E nominando Cuba non nominiamo la vittima di turno, ma quello che lì si gioca a livello regionale, continentale e mondiale.
   
  E nominare il Che non è fare offerte nel complesso e reiterato culto della morte. È, invece, onorare la vita e la ribellione che le dà senso e rotta.
   
  Un po’ di storia.
   
  “Tutto sembra impossibile alla vigilia”, disse qualcuno dei nostri, per poi aggiungere “ma il domani è proprio lì, vicino, ma non perché ci aspetti, ma perché noi lo costruiamo nel suo momento, su un altro calendario”.
   
  E tra gli impossibili di ieri, ci sono i futuri oggi. Gli uomini, le donne, i bambini e gli anziani che hanno abbracciato la causa sintetizzata nella Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, hanno deciso di fare un'Altra cosa, in basso e a sinistra, e affrontano gli impossibili di oggi.
   
  Ma non è la prima volta.
   
  La storia recente del nostro movimento, quello zapatista dell'EZLN, ha visto molti stravolgimenti per quanto si riferisce al nostro modo di vedere il mondo, di guardare all'ambito politico.
   
  Pensando che saremmo stati non solo soli, ma con tutto contro, ci preparammo per quell'alba del gennaio 1994.
   
  14 anni fa, con la luna di ottobre come tetto sul nostro cammino, nelle montagne del sudest messicano si affinavano gli ultimi dettagli dell'insurrezione. Ho detto “affinavano gli ultimi dettagl” solo per ripetere un luogo comune, in realtà camminavamo disordinati, con una rilassatezza che dava molto da pensare sulle possibilità di successo politico e militare dell'insurrezione in armi di migliaia di indigeni e la presa di 7 capoluoghi municipali dello stato sud-orientale messicano del Chiapas.
   
  Realizzare gli ultimi preparativi dell'insurrezione sembrava lo sforzo di tagliare con martello e cesello uno di quei piccoli gioielli di cristalleria che abbagliano per colori e lucentezza. E così fu allora, e lo è anche adesso.
   
  La nostra causa, la più bella, nobile ed antica nella storia dell'umanità, la causa della libertà dei popoli, ha così tanta lucentezza e colori che ancora adesso, a quasi 24 anni di impegno in lei, non abbiamo finito di scoprire nella sua totalità.
   
  Lo sappiamo ora e lo sapevamo allora.
   
  Ma non siamo abituati a sistemare i fatti della nostra propria storia per dare lezioni che mai abbiamo preso o per dare un'idea di limpida coerenza, quindi devo dirvi che, visto dall’alta e luminosa notte dell'ottobre del 1993, il piano dell'insurrezione somigliava a tanti disordinati pezzi di un puzzle che non avevano niente a che vedere tra loro.
   
  Potrei vantarmi ora, alla distanza del calendario e guardando alla neo-militarizzazione del paese intero, dicendo che il caos di allora faceva parte del piano, e che tutto mostrava un disordine studiato con l'obiettivo di sconcertare i servizi di intelligenza governativi del Messico e degli Stati Uniti, ma non lo farò.

       
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