[Cslist] [Fwd: Inoltra: articolo sull'elettroshock sul manifesto di ieri]

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Sun Feb 24 12:12:06 CET 2008


-------------------------- Messaggio originale ---------------------------
Oggetto: Inoltra:  articolo sull'elettroshock sul manifesto di ieri
Da:      "telefono viola di milano" <telefonoviola1996 at yahoo.it>
Data:    Dom, 24 Febbraio 2008, 12:05 pm
A:       telviola at ecn.org
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--- In C_RAP at yahoogroups.com, <antipsichiatriapisa at ...> ha scritto:

Elettroshock: tigre di carta. Pensiamo alla psichiatria oggi
Maria Grazia Giannichedda

«Favorire l'istituzione nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura
(Spdc) degli ospedali pubblici, di almeno un servizio di elettroshock
per ogni milione di abitanti»: questa la richiesta indirizzata al
ministero della salute da parte dell'Associazione italiana per le
terapie elettroconvulsivanti (Aitec) che cerca, in questi giorni, la
firma della Società italiana di psicopatologia che tiene a Roma il suo
XII Congresso. La petizione lamenta che in Italia il servizio
sanitario
nazionale fornisce questa prestazione solo in sei Spdc e in tre
cliniche
convenzionate, lasciando immaginare strutture oberate di lavoro per
evadere una domanda che dovrebbe essere enorme, se si richiede
l'istituzione di una quarantina di centri pubblici. Ma l'Aitec non
fornisce alcun dato sulle persone che in Italia richiedono
l'elettroshock, e non hanno avuto la curiosità di cercarlo neppure i
giornali che in questi giorni hanno diffuso, con toni per lo più
critici, la petizione degli psichiatri e il loro lamento
sull'ostracismo di cui sarebbero vittime. Qualche cifra è invece assai
utile per capire il significato e il peso di questa proposta.
Il più importante tra i centri italiani che praticano l'elettroshock è
la Clinica psichiatrica dell'Università di Pisa diretta da Giovanni
Battista Cassano. Stando ai dati dell'Osservatorio regionale, negli
ultimi anni la clinica ha effettuato cicli di elettroshock su un
centinaio di persone all'anno, con una evidente tendenza al decremento
- da 170 persone nel 2001 a 86 nel 2006 - e una costante: circa un
terzo
delle persone provengono dalla Toscana. Difficile credere che questi
dati siano l'evidenza di un ostracismo contro l'università di Pisa:
Cassano gode di prestigio scientifico e popolarità mediatica e ha una
forte egemonia culturale nella psichiatria della sua regione, la cui
normativa in questo campo è tutt'altro che repressiva. La Toscana
vieta
infatti l'uso dell'elettroshock solo sui minori e sugli
ultrasessantacinquenni, limitandosi a monitorare il suo uso e a
prescrivere procedure per il consenso informato dei pazienti. Cosa
significa allora il fatto che si facciano così pochi elettroshock nel
centro che vanta il maggior credito internazionale? Significa, innanzi
tutto, che l'équipe di Pisa applica correttamente l'elettroshock solo
su quella ristretta nicchia di situazioni patologiche sulle quali
questa
tecnica è ritenuta efficace da coloro che la sostengono (in questo
caso,
però, davvero non si capisce perché chiedere che venga quadruplicato
il
numero dei centri pubblici per l'elettroshock). C'è poi un secondo
elemento influente, il processo di riforma della psichiatria avviato
in
Italia oltre quarant'anni fa, che ha prodotto nei servizi pubblici,
pur
tra limiti enormi, un'offerta ampia di tecniche terapeutiche, e ha
tolto di mezzo quell'ospedale psichiatrico che per mezzo secolo è
stato
sede di sperimentazione e applicazione massiva dell'elettroshock. La
petizione dell'Aitec è in questo senso illuminante. Vengono infatti
citati come buoni esempi paesi europei che hanno, insieme, un gran
numero di centri di elettroshock e di ospedali psichiatrici:
dall'Ungheria alla Finlandia, dove esistono solo ospedali
psichiatrici,
alla Germania e Inghilterra, dove i servizi comunitari sono sempre più
impoveriti nelle risorse dalla prevalenza della psichiatria
manicomiale.
Questo è il punto centrale, il legame profondo tra elettroshock e
cultura
manicomiale. Se occorressero prove ulteriori di tale connessione e dei
danni che possono derivarne, queste vengono da un fatto di questi
giorni. Il 18 febbraio sono stati rinviati a giudizio il direttore e
una
psichiatra del Spdc di Cagliari per la morte per embolia di un uomo di
cinquant'anni, che l'anno scorso era rimasto legato al letto, senza
interruzione, per un' intera settimana. Quel reparto è uno dei nove
centri in cui si pratica l'elettroshock, e la psichiatra imputata fa
riferimento, come altri suoi colleghi di reparto, al Centro Bini di
Roma, fondato e diretto da Athanasios Koukopoulos, che è il promotore
della petizione citata all'inizio.
Due conclusioni allora. La prima: per ora, almeno in Italia, i dati
sul
suo uso dimostrano che l'elettroshock è una tigre di carta. Si rischia
di attribuirgli un peso che non ha, se si accetta di dar fiato al
dibattito ideologico con cui l'Aitec cerca di uscire dall'angolo in
cui si trova confinata. Ma il fatto di Cagliari obbliga a un'altra
riflessione. Pratiche come la contenzione fisica, le porte chiuse,
l'uso degli psicofarmaci come camicia di forza chimica, con danni
biologici e culturali non minori di quelli dell'elettroshock, fanno
parte dell'armamentario sedicente terapeutico di molti psichiatri e
servizi che non difendono né usano l'elettroshock, e che magari si
apprestano a celebrare, il prossimo 13 maggio, il trentennale di una
legge di riforma di cui smentiscono quotidianamente lo spirito e la
lettera. Di questo, e non dell'elettroshock conviene parlare,
domandandosi come mai sia così lento, sporadico e precario il processo
di trasformazione della psichiatria che pure in Italia ha messo radici
più che altrove e ha mostrato i suoi esiti positivi, tra i quali il
basso ricorso all'elettroshock. Conviene interrogarsi sulle azioni e
le
omissioni del variegato mondo degli psichiatri e sulle responsabilità
della politica, a livello regionale e nazionale. In questi giorni la
ministra della salute Turco si appresta a consegnare alle regioni le
«linee strategiche per la salute mentale», uno sconfortante documento
di
quaranta pagine, fitto di indicazioni amministrative che le regioni
hanno il potere di ignorare e del tutto privo di accenni sulle
priorità,
sui punti dolenti dei servizi e sulla qualità delle prestazioni,
ambiti
che invece sono i soli su cui il ministero potrebbe agire con una
qualche speranza di efficacia. Anche su questo governo senza qualità
converrà ritornare, nei prossimi inevitabili dibattiti sul trentennale
della «180».

--- Fine messaggio inoltrato ---





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