[aha] architettura, innovazione e qualche sconfitta

xDxD.vs.xDxD xdxd.vs.xdxd a gmail.com
Mer 29 Set 2010 11:57:30 CEST


nel leggere il messaggio di kilroy mi si stampava sempre più una strana
espressione in volto. perchè è stupefacente come il "problema" sia
completmente "cross-mediale".
Il progetto_architettonico_come_un_discorso è completamente parallelo a
quello che avviene (dovrebbe avvenire? in teoria avviene?) nella
progettazione di un sistema web (vecio, 2.0, 3.0, o 32.0chetipare). Tant'è
vero che, ad esempio, anche lì la gestalt viene usata a piene mani,
nell'applicazione dei vari principi e regolette per progettare quelli che
sono i "visual task" che ogni interfaccia che si rispetti dovrebbe
suggerire.
C'è da dire una cosa (e poi procedo con il discorso che m'ha fatto bruciare
il cervello): che in realtà questo è uno dei grandi nodi del "digitale". Se
da un lato questa analisi di quel che produci quando stai producendo un sito
web (ancor più significativo se stai progettando, ad esempio, una cosa che
poi useranno milioni di persone) è presente, in qualche modo manca troppo
spesso la "cultura" dietro le osservazioni cognitive che si
possono/devono/dovrebbero fare quando si progetta un'interfaccia. E' il
discorso dei corsi che in giro per il mondo si chiamano "Computer Arts":
sono una preparazione alla catena di montaggio, non c'è "filosofia", anche
se poi gli studenti si trovano ad applicarne le "conseguenze". Della
"filosofia" di altri, quindi, del "maestro",
dell'iper-progettista-zen-elargitore-di-koan.
E questo avviene per più motivi. Innanzitutto perchè non è comune che chi
studia (o impara da sé) come si progetta un sito web (semplifico) sia in un
ambiente culturale che ritenga "importanti" le declinazioni
tecnico-psicologiche-filosofiche di quel che stanno facendo. La dimensione
"filosofica" del web design è molto collegata alle psicologie corporate (e
così anche i fondi delle scuole che ti preparano a questa catena di
montaggio). In queste avvengono dei giochini strani, l'analisi
"approfondita" avviene solo ai vertici (se avviene) e verso il basso vengono
proiettate solo delle necessità, dei requisiti, delle specifiche, che
perdono ogni contatto con quelle che potrebbero essere delle visioni più
olistiche. Non è detto, in teoria, che uno che fa un sito web debba essere
un tecnico e basta. Anzi, sarebbe interessante il contrario. Perchè una
interfaccia si costruisce proprio come un discorso.
Che ne so: parlando della gestalt, il processo omeostatico spesso giunge
allo "studente" come nozione smembrata e priva di ogni visione: viene
riassemblata in una manciata di regolette sull'uso degli spazi vuoti, delle
disposizioni, della prossimità, del colore eccetera, ma non ne viene dato un
racconto completo. Che c'è, invece nel progettista "illuminato". O,
paradossalmente, anche nel venture capitalist (o soggetto economico forte di
altro genere, come succede spesso per esempio negli USA dove magari ti trovi
il preside della facoltà che è anche l'Angel Investor più trendy del
momento).
Ecco che ritornano i koan, il misticismo, i maestri eccetera.
Questo avviene secondo più direttive, perchè, come per l'architettura, un
servizio web (continuo a semplificare parlando solo del web, ma il discorso
vale benissimo anche per altri ambiti, per semplice sostituzione di parole)
descrive un "luogo", e le cose che le persone fanno in un luogo. La
percezione di questo fatto è netta, definita: *vado* su facebook; *vai*
sulla mail; ieri *sono andato* su friendfeed. E la progettazione di "luoghi"
non è un lavoro omogeneo, perchè sui luoghi ci sono tante stratificazioni
differenti.
Progettare un luogo è, appunto, un discorso, che descrive il luogo, il
perchè/percome del luogo, l'immaginario che porta da un lato alla creazione
del luogo in quel modo e dall'altro all'idea del perchè le persone che lo
useranno dovrebbero ritenerlo in qualche modo positivo.
Rimanendo sul web c'è l'aspetto tecnico (ingegnere), dell'informazione
(architettura dell'informazione), estetico (graphic designer), di
interazione (interaction designer), di esperienza (experience designer)
eccetera eccetera, secondo come classifichi le varie competenze che possono
entrare in ballo. Stesso discorso si può fare per i servizi, per le
lavatrici (beh, forse un po' meno) e per le architetture.
Questo smembramento, assoggettato di solito alle logiche delle grandi
aziende, causa degli effetti. Che sono un po' da nazi: "sto solo facendo il
mio lavoro" disse l'ufficiale delle SS.
E, per chi ha sempre pensato, in fondo, che il caro ufficiale delle SS, in
finale, poteva anche farsi i cazzi suoi, invece che andare in giro e fare
quel macello, c'è da dire che l'immersione dentro un immaginario progettuale
di un certo tipo ha degli effetti devastanti, perchè forma il tuo desiderio,
quello che ritieni possibile/fattibile, le tue aspirazioni, il tuo senso di
cosa è bello/brutto. Quando ti raccontano la "storiella" sei fottuto, se te
la raccontano con mestiere.
Questa sarebbe una cosa anche molto interessante da chiedere a chi si occupa
di p2p design, per esempio, perchè se il p2pD è molto interessante sulle
pratiche, io non so quanto affronti anche quello che viene "prima" delle
pratiche, ovvero l'apprendimento. (ma dopo ci torno su con il discorso sulle
"conferenze").
Tornando ai nostri produttori di siti/luoghi/architetture, ci sono quindi
molti ruoli assai differenti. Tra questi c'è quello della dirigenza. La
presuntuosetta (e dotata di sciarpe fantastiche) Zaha Hadid non fa
l'architetto. Fa un altro tipo di mestiere.
Proprio come, che ne so, James Cameron non fa il regista.
E' un altro tipo di mestiere. E' il mestiere di dispensare visione ed
immaginario, e di tramutarli da un lato in produzione su una strana catena
di montaggio (e magari metterci su anche un paio di brevetti), e dall'altro
di tramutarlo in comunicazione, relazioni, accordi, e flussi economici.
E l'autorità, fondamentalmente è questa.
Infliggere visioni ed immaginari sulla base della propria capacità di creare
comunicazione, relazione, accordi e flussi economici. E chissà (bug!) da
dove viene questa capacità. In qualche modo è anche una buona definizione di
"Design", "Architettura" e "Progettazione".
Questo è un "buco". E' un qualcosa di non detto. E' un qualcosa di non
spiegato. E' politico.
Perchè una grande parte dell'immaginario è proprio il "nascondere" da dove
viene, come si forma e come si attua questa capacità. (e non è detto che mi
piaccia, appena lo so... fermate il mondo! voglio scendere)
Molto interessanti i parchi tematici, sotto questo punto di vista. La realtà
simulata, ma/e quindi verissima, dei parchi a tema, gli stessi che, sotto
altra forma, vedeva Venturi, sono un esempio lampante (ma poco sofisticato,
vista la situazione attuale) di come la politica si mischi alla poesia per
creare degli "oggetti/luoghi" estremamente autoritari, su molti livelli. E,
allo stesso momento, in una forma di bispensiero pesantissimo che funziona
solo grazie all'altrettanta pesantezza dell'autorità, racconta scenari di
opportunità, di emozione che, in qualche modo, può essere anche percepito
come una spaccatura nel reale, un luogo altro dove tutto può succedere.
Il "decostruito" porta a spostare queste visioni in maniera sincrona con
l'evolversi della dirigenza. Dei dispensatori di koan, per l'appunto.
E la direzione è quantomeno doppia.
Da una parte la visione di architetture nuovamente monumentali, impossibili,
visionarie, fatte di quei blob che sono la chiave di lettura della tua
salvezza, della fuga dal parallelepipedo, della possibilità di esistenza
della tua opportunità.
Dall'altra parte c'è la favela, lo slum, la bidonville: dove in realtà
esiste in maniera effettiva il modello emergente (più generativo delle forme
strambe delle architetture contemporanee), il p2p, la co-creazione. Gli slum
con le loro architetture nomadi, mutevoli, con il reciclaggio, con le
culture ricombinanti.
E questo avviene pari pari sul web, dove le grandi architetture (facebook &
C.) assomigliano ai blob. Mentre i principi di parità dei nodi di internet
assomigliano assai più ad una favela. E gli uni esistono insieme agli altri
secondo un discorso fatto di suono e di pausa, di contorno e sfondo, di
contrasto e differenza di colore, di alternanza di ritmi. Tant'è vero che
questo alternarsi variabile di codice ed interstizio definisce in maniera
completa il disporsi delle culture.
E probabilmente continua ad essere ancora lì il luogo del conflitto.
Questo conflitto è un discorso anch'esso, ed è un discorso architettonico.
Tra architetture del software, dell'informazione, dei palazzi, della
comunicazione, dell'energia...
E' complicato, se non impossibile, rivoltare il meccanismo contro sè stesso.
Perchè il linguaggio e l'immaginario sono quello che compone tutto quello
che c'è dentro/dietro/sopra/sotto quel meccanismo. Quindi non è poi tanto
chiaro cosa voglia dire "rivoltare il meccanismo contro sè stesso".
Se fai il venture capitalist sei un venture capitalist. Non sei un
innovatore. Sei uno strozzino sfruttatore.
Se fai l'architetto à la Hadid non sei poi un architetto, sei un dirigente e
attui autorità.
Magari sei un dirigente che scrivi dei bei testi, che fa sognare le persone,
che fa immaginar loro di avere una opportunità se recitano tantetante volte
il loro mantra, ma l'opportunità che prometti loro è una opportunità
accettabile dall'autorità, in scatola.
L'unico spazio per l'autonomia non solo si destruttura, ma perde anche le
fondamenta.
E lo spazio nomade e temporaneo e continuamente ricombinante. E' lo spazio
che si riesce a stratificare sulle realtà autoritarie. E' l'immaginario che
si riesce ad insinuare per creare istanti di libertà e di accesso, è la
paraculata, il prank, l'appropriazione indebita, l'estorsione di tempo e la
menzogna detta per poter scandire 5 minuti in un modo invece che in quello
"previsto".
E' la perfrmance, la fare una cosa inaspettata anche se solo una volta, o
fare continuamente la stessa cosa in posti e modi sempre differenti.
E' lontano dal progetto classico, perchè il progetto è, per adesso,
l'autorità.
Le forme emergenti e p2p sono, per quello che posso vedere io, l'unico modo
di affrontare questo strano scontro: fatto di routine e pianificazione e
immaginari concessi.
E non ho, tra l'altro, ben chiaro cosa sia il p2p in senso architettonico. E
intento un p2p "totale" come lo può essere la vita di una persona che cresce
in una favela, per esempio. Mi sembra troppo applicato alle fasi di
progettazione e pochissimo in quelle di formazione, in cui si forma
l'immaginario, o, almeno, l'immaginario iniziale.
Mettendo da parte per un secondo le caratteristiche delle singole persone,
mi manca la visione di come si possano attuare in maniera tendenzialmente
completa le pratiche del p2p "prima" del progetto.
In un modo simile a quello che avviene, chessò, con lo skateboard, il
parkour o, ancor più vicino, nelle pratiche del software open source, quando
queste non siano distratte da grandi interessi o non siano strumenti di
comunicazione piuttosto che pratiche reali.
Con lo skateboard è evidente, per esempio. Tu stesso apri dei discorsi con i
tuoi compagni di skateboard. Sono dei discorsi sovrapposti alla città, come
una realtà aumentata che prende in considerazione ogni luogo e oggetto della
città e prova a cambiarne uso e significato, o a crearne di aggiuntivi in
quei luoghi dimenticati o inosservati. Il discorso è la formazione. Il
discorso, e il seguito fisico sul tuo corpo, è "la lezione", in cui non ci
sono professori (in realtà ci sono, ma sono di tipo incredibilmente
differente, perchè il prof sta su una cattedra che hai anche tu, e rimane
nella condizione di prof solo finchè, in quell'istante magico in cui fai lo
skid perfetto su una ringhiera per poi atterrare in maniera incredibilmente
morbida e fluida sulla panchina di cemento e poi, scorrendo sul pavimento,
saltando a piedi uniti il secchio dell'immondizia e riatterrando con la
flessione delle ginocchia sulla tavola. In quell'istante magico in cui
diventi tu il prof, fino a prova contraria, in un dibatito prof/non prof che
è continuo e dinamico, e che è alla base della ricchezza e della bellezza di
quel che vedi quando guardi gli skateboardari che vanno in giro per la
città.
E questo vale per il parkour, per i graffiti e per le arti di strada. E per
le favela, magari con qualche fucile aggiunto, ma meno di quanti uno magari
non si immagini.

Ecco, forse una idea ce l'ho anche per l'educazione.

Le conferenze.

Io penso che le conferenze possano cambiare di molto il loro
uso/significato/consuetudine. Perchè nel contemporaneo mi sembrano la cosa
più vicina a quella che immagino come una "università nomade temporanea
autonoma ricombinante emergente". Persone che si incontrano in luoghi e
tempi diffeenti e mutevoli, in combinazioni diverse, sulle diverse
tematiche, e si raccontano delle cose.
Le conferenze potrebbero essere utilizzate molto bene.
Potrebbero diventare IL luogo e la modalità più interessante per
l'educazione e la formazione.
Architetture mobili e instabili.
E' per questo che non amo le conferenze che, alla fine, sono degli showcase
di progetti e prodotti. Non mi interessa. Dammi un pdf per quello. Alla
conferenza voglio che mi racconti una cosa, che me la spieghi per come la
vedi tu, e che poi possiamo parlarne e poi magari scriverne e attivarsi. E
poi salutarsi e continuare, per poi forse riincrociarsi su una nuova
tematica o sul next-step di quella precedente che, comunque, sarà
sicuramente presente in quel che racconterò, perchè la volta prima ho
imparato qualcosa, e pure tu.

E, come al solito, è un problema di architettura e di immaginario e di
potenzialità.

c'era un progetto molto bello, di David Benque, che racconta di cosa succede
quando le fabbriche diventano "desktop", con gli strumenti per il fabbing,
la sintesi dei materiali a portata di mano e la comunicazione digitale.  La
fabbrica o scompariva o diventava una specie di circo nomade: un tendone o
una roulotte che andava di città in città. Qui la fabbrica si chiama
fabbrica solo per capire di cosa si sta parlando, ma è un oggetto assai
differente, perchè ci succedono tante cose diverse e non è escluso che,
quando la fabbrica va via dallo spiazzo nella tua città dopo essercisi
fermata per un pomeriggio, non abbia una fabbrica anche tu, magari sulla tua
scrivania, o che tu non prenda zaino e fabber e non ti inventi qualcosa.

Cià!
xDxD
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