[aha] architettura, innovazione e qualche sconfitta

pAt alessio.chierico a gmail.com
Mer 22 Set 2010 02:02:43 CEST


Ciao xD...
il tuo discorso è molto chiaro è mi tocca particolarmente perchè fa in 
qualche modo parte anche della mia ricerca.
Chiaro che ormai penso siamo tutti abbastanza consapevoli di questo... 
qui...
Ma l'argomento non mi sembra mai trattato abbastanza, e mi sembra di 
importanza primaria.
Per fare un esempio un po stupido, ultimamente mi piace pensare che la 
natura dell'immagine
ha sempre in qualche modo le stesse peculiarità da sempre. Cambierà il 
modo, il mondo e i modelli di pensiero,
ma pensandoci, non è che un pittore del 1200 faceva dell'immagine 
qualcosa di diverso da un grafico
pubblicitario odierno. Ora... non che voglio banalizzare così la 
pittura... ma mi sembra un esempio buono
per dire che in millenni l'uomo ha assorbito, diviso e "criticato" 
(separato) il mezzo pittorico dall'immagine,
atterrando l'immaginario. Parlando di materiale o "materiale 
immateriale" mi chiedo oggi,
in qualche manciata di decennio, quanto siamo in grado di dire e di 
comprendere il digitale?
Oggi il digitale non è solo un mezzo per fare qualcosa, ma è "il" mezzo 
per fare qualcosa... anche un edificio...
Il digitale è un mezzo per modellare qualcosa, con cui modellare 
qualcos'altro...
Nel senso che partendo dallo 0 e 1, e passando tra tutti i linguaggi di 
programmazione, e i software per modellare,
e il modello di un architettura, di passaggi e linguaggi ce ne sono 
molti, e sono lontanissimi dalla materia prima: 0 e 1
Qui torna lampante il discorso di Pure Data... perchè un software di 
programmazione
(anche se non è in linguaggio macchina) applica una sua personalità  che 
spersonalizza l'autore?
(niente di originale si diceva) Immaginiamo se parliamo di Illustrator, 
Photoshop o After Effects... rabbrividisco...
ma se pensiamo poi all'utente finale? Seguendo quelle che sono "Le leggi 
della semplicità", citando John Maeda,
ci ritroviamo la home page di Google con un logo, un modulo per la 
ricerca e il tasto "cerca"...
tutto qui... nessuno si può neanche lontanamente immaginare cosa ci sta 
dietro: tecnicamente,
aziendalisticamente ecc.... fino ad arrivare veramente all'infinito...
La volontà di celare cosa ci sta dietro è ovunque, e è una 
caratteristica intrinseca della complessità dei linguaggi
che si stratificano. Altro esempio stupidissimo (sono quelli che mi 
piacciono di più)
è quella pubblicità del Kinder Cereali, dove lo sfigato di turno recita 
con voce ripugnate e da saputello
"non si sa mai cosa ci sta dietro" e il figo con la figa gli dice "ahhh 
abbiamo un filosofo qua..."
prendendolo per il culo e sottointendendo... magnati sto Kinder Cereali 
e senti quanto è buono
invece che pensare a ste stronzate e di annoiarci...
Quella pubblicità è un capolavoro... c'è implicita la volontà di 
separare il prodotto da chi lo consuma... chiaro,
e c'è anche implicita la costruzione di un immaginario nel quale: chi ci 
pensa troppo è uno sfigato.
L'esempio dell'architettura è lampante... perché stiamo parlando di 
strutture.
Recentemente mi sono messo un po a studiare lo structural film (di cui 
ci ho scritto anche un breve saggetto
e magari se qualcuno lo vuole glielo mando) e a parte tante deviazioni o 
se vogliamo, speculazioni artistiche,
c'è una cosa che mi ha attratto profondamente: la volontà di decostruire 
le caratteristiche intrinseche del cinema.
Hanno tagliato tutte le loro pulsioni narrative (secondo me non sempre) 
per far parlare il cineproiettore.
In Arnulf Rainer un film di Peter Kubelka, che oltre tutto non è 
definibile come artista dello structural film,
usando semplicemente il flckering è arrivato, probabilmente 
inconsciamente, all'archetipo del video:
la luce e la variazione.
Questo è l'atteggiamento che secondo me è interessante, la decostruzione 
del mezzo fino ad arrivare alla sua essenza.
Questa è la vera semplicità dove viene costruita la complessità... come 
la luce e la variazione per il video,
così lo 0 e 1 per tutta la catena della produzione digitale. Ed è in 
questo misero spazio che si costruisce
ogni immagine e ogni immaginario, risalendo alla fonte si riesce a 
pensare il "possibile" e si ha il modello mentale per prevedere e vedere 
ciò che invece probabilmente è.

abbasso l'iperrealismo : )



Alessio





Il 21/09/2010 23:45, xDxD.vs.xDxD ha scritto:
> Ho un problema.
> Oggi siamo andati all'Acquario Romano, la sede dell'Ordine degli 
> Architetti di Roma, alla presentazione/lancio di CitiVision Mag, un 
> freepress di architettura molto bello, con un occhio particolarmente 
> attento ai progetti degli architetti più giovani e con il preciso e 
> dichiarato intento di tentare di alzare il livello della discussione 
> sull'architettura contemporanea a Roma, e di trasformarla in un 
> dialogo più internazionale.
> Se da un lato ammiro molto l'impostazione del progetto e 
> l'atteggiamento con cui gli organizzatori lo pianificano ed eseguono, 
> dall'altro sono rimasto un po' atterrito dalla lecture dell'invitato 
> principale.
> Non ho nulla contro di lui, ovviamente: esprime dei concetti 
> interessanti, seppur molto centrati sulla forma. E l'inizio della sua 
> presentazione è stato anche molto interessante, con le sue analisi sul 
> linguaggio degli spazi pubblici e privati.
> E' solo che pian pianino, durante la conferenza, veniva insinuato 
> nella discussione un assunto che, per quel che penso e sento, non è 
> per nulla scontato. Piano piano, tra le descrizioni di un progetto e 
> l'altro, emergeva una tensione verso il futuro, verso l'innovazione, 
> verso "l'opportunità" che era incentrata su immaginari utopici e, a 
> tratti, degni dei più sfarzosi faraoni dell'antico Egitto.
> Venivano presentati progetti grandiosi, con cantieri sterminati che 
> duravano 5-6 anni, con centinaia di camion che trasportavano "robe" 
> gigantesche. Era inevitabile scivolare verso visioni di schiavi che 
> tirano enormi blocchi di pietra per costruire piramidi.
> Questi grandi progetti, a New York, in Germania, a Valencia e in tanti 
> altri posti, venivano presentati candidamente come le dimensioni più 
> avanzate della ricerca contemporanea, come le utopie che, creando 
> meraviglia, liberando l'immaginazione e "usando anche la dimensione di 
> gioco dell'Architettura", potevano modellare gli immaginari, creare 
> visioni sul futuro e, quindi, opportunità.
> Ma davanti agli occhi c'era una persona che presentava fiero delle 
> immagini di cantieri enormi, con centinaia di migliaia di pezzi di 
> impalcatura tirati su per costruire curve azzardate fatte di dozzine 
> di strati di materiali differenti, che contrattava tra istituzioni e 
> corporation globali del cemento, dell'acciaio, del legno per costruire 
> cose enormi in grado di "far fare una passeggiata suggestiva in cima 
> alla città, di mangiare in un buon ristorante con una vista 
> incredibile, di creare delle zone coperte e di ombra - presupposto 
> fondamentale per la fruizione dello spazio pubblico -, creando tre 
> livelli di utilizzo e interpretazione del territorio".  (cito a 
> memoria e in ordine sparso: mi scuserà l'architetto se sbaglio 
> qalcosa, e si senta pure libero di correggere, ovviamente)
> E, oltre ogni "ministero dell'amore" di orwell, venivano anche 
> decantate le caratteristiche di ecologia e sostenibilità delle 
> produzioni architettoniche.
> Ora: lo so. Le utopie *possono* essere utilizzate per creare 
> immaginari, per stimolare la fantasia, per abilitare la "fuga" che 
> spesso permette di avere nuove idee. La meraviglia, la suggestione, 
> l'"eccezionale" serve. Perchè se abito in un cubo di pietra e ne esco 
> solo per andare a lavorare in un altro cubo di pietra, muoio. E quindi 
> le cose eccezionali hanno un loro uso: possono essere utilizzare per 
> riinventare la realtà, creando visioni e spazi di espansione.
> Ma proprio non riesco ad identificare queste cose faraoniche con una 
> via praticabile. Mi sembrano più oggetti del potere. Le suggestioni 
> che mi fanno venire in mente sono quelle che rigurdano come 
> l'architetto, in quel momento, si debba sentire una specie di 
> semi-dio, con tutti quei camion, quei materiali, quelle enormi travi 
> d'acciaio che si innalzano al cielo, proprio come le ha disegnate, o 
> come le ha fatte disegnare ai suoi collaboratori, comunicando loro la 
> sua visione. Mi viene in mente quanto costino questi oggetti. Quanto 
> siano ogegtto di potere queste enormi cifre. Quanto siano oggetto di 
> contrattazione tra professionisti, istituzioni, costruttori, politici, 
> sindacati. E quanto siano belli nel disegno, ma di come sia poi ben 
> più misera la realtà, fatta di lavoratori in tuta arancione e casco 
> giallo, di stagisti che lavorano gratis, di poveracci con carta di 
> credito che provano a rimorchiare portando veline a mangiare aragosta 
> in cima ad un blob enorme a forma di fungo, e di come siamo cambiati 
> poco nelle nostre aspirazioni.
> Ecco: superuomini, in grado di avere potere, che si esprime con questi 
> enormi "cosi".
> Non che non siano belli o interessanti, ripeto. Sono interessanti come 
> usano il software, come usano i nuovi materiali, come riescano a 
> rendere reali cose che prima non c'erano e possibili cose che si 
> immaginano dopo aver visto il "coso".
> Non mi sembra un "dibattito contemporaneo", questo. Non mi sembra, 
> perchè ci sono cose più fondamentali nel contemporaneo, cose che hanno 
> più la caratteristica di essere "nodi". E riguardano probabilmente 
> maggiormente l'ambiente, il lavoro, il debito, e l'identificazione di 
> modelli che creino un po' di sostenibilità e che, con tutta 
> probabilità, non sono grandi come quei "cosi", ma sono più piccoli, 
> autonomi, mobili, "attorno" alla persona, empatici e temporanei. 
> Mentre invece queste utopie sono proprio il contrario.
> La cosa che mi colpisce di più, oltretutto, è collegata al linguaggio. 
> Che, come al solito, è "al contrario". Ma a questo siamo abituati, no? 
> "Innovazione" vuol dire mantenere lo stato delle cose, "futuro" vuol 
> dire passato, "sostenibilità ed ecologia" vuol dire fare un cantiere 
> gigantesco che dura 6 anni per produrre un mostro gigantesco con un 
> pannellino solare sopra, "dialogo" vuol dire avere amici nei posti 
> giusti per poter contrattare committenze ciclopiche, "cambiamento" 
> vuol dire solo velocizzare l'impresa diminuendo la burocrazia.
> La cosa più violenta la subiscono, come al solito, gli studenti, cui 
> vengono inculcati questi immaginari, come simbolo del successo.
>
> Salto in avanti: dall'altra parte, all'Opificio Telecom, c'era un 
> incontro sul "futuro di internet". Si parlava di App, le applicazioni 
> per i dispositivi mobili che stanno trasformando così rapidamente il 
> mercato di come si usa internet ed i suoi servizi.
> Le App sono molto belle, divertenti, accessibili e usabili. Hanno 
> delle belle interfacce. Sono divertenti, emozionanti, eccetera, 
> eccetera, eccetera.
> Ma hanno un enorme problema: eliminano la trasparenza dei protocolli 
> di internet, mettendo tutto in mano al service provider, sia dal punto 
> di vista di chi gestisce il marketplace delle applicazioni, sia da chi 
> le applicazioni le fa e commercializza.
> Vuoi il servizio? Scaricati l'applicazione e fregatene di come 
> funziona, di come gestisco le informazioni, di come gestisco la 
> sicurezza, di quanto ti spio te e i tuoi amici. Non c'è standard. Se 
> usi 10 app vuol dire che, in un modo o nell'altro, hai firmato 10 
> contratti su come gestire i tuoi dati, tutti differenti, tutti scritti 
> in linguaggi che non capisci, tutti testi che non leggerai mai. E poi: 
> fine della libertà di navigazione e di uso delle risorse di internet, 
> fine degli standard e protocolli aperti: con le app torna tutto in 
> mano ai service provider. Altro che innovazione: torniamo ai deliri di 
> America Online.
>
> Questo grande incontro è stato presentato nell'ambito dei programmi di 
> telecom italia sulle culture digitali. In dei luoghi quindi in cui si 
> parla di innovazione e di opportunità.
> Se ci fate caso sia questo che quello prima son due problemi 
> "architettonici". Di tipo differente. Di due architetture che si 
> compenetrano, nella città, tra cemento e informazioni.
> Proprio mentre Bernabè, da un lato, annuncia che la super-rete 
> wireless Telecom se la farà da sola, e deciderà da sola 
> come/quando/cosa farà come servizi, perchè "è sua responsabilità".
> E mentre continua la buffonata (che però funziona: attenzione! anche 
> se non lo dovesse vincere, il progetto ha creato quel che doveva 
> creare...) del Nobel per la Pace ad Internet.
> Proprio mentre continua il fiorire di iniziative di origine 
> "corporate" sull'imprenditorialità alla californiana, con tutti gli 
> immaginari che ne conseguono e senza le delicate alchimie che lì la 
> stanno facendo funzionare (per ora), con tutti gli incubatori di 
> impresa che ne conseguono (qui).
>
> Altra cosa in comune: tutte queste iniziative sono iper-frequentate. 
> In qualche modo stanno tutti "a caccia". Vogliono inventare la 
> prossima killer-app, il prossimo social network. Proprio come vogliono 
> diventare i prossimi archi-star.
>
> Senza pensare, però, che quelli che raggiungono quei ruoli sono ben 
> lontani dall'utopia, ed agiscono non nel modo "ingenuo", puro ed 
> accessibile che ci mostrano con la "visione", ma con ben più rodate 
> abilità contrattatorie, a suon di bilanci, investimenti incrociati, 
> accordi fatti al ristorante, strette di mano, e compromessi.
>
> Questo sfasamento del linguaggio concorre a creare la scomparsa della 
> rivolta, della reazione e, quindi, della reale innovazione e 
> trasformazione.
>
> In definitiva: cos'è l'innovazione, il cambiamento, la rivolta, la 
> trasformazione e la reinvenzione quando a definirne estetiche, 
> modalità, opportunità, ambizioni ed immaginari è un costruttore, una 
> corporation o un venture capitalist?
>
> bacieabbracci
> xDxD
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