[aha] architettura, innovazione e qualche sconfitta
francesco monico
francescomonico a gmail.com
Dom 3 Ott 2010 11:00:53 CEST
Trovo molto interessante e altresì irritante questa discussione, eh si
perché poi alla fine nessuno dice la verità, ovvero che di architetti di
valore, non solo formale ma anche etico, beh in Italia non ce ne è mica, poi
forse anche all'estero difettano, allora il problema è l'architettura stessa
perché alla fine è un (il) luogo della speculazione, della distruzione del
territorio giustificando la cosa con tutta una serie di superpippe e tirate
fatte da architetti stessi che si sa fanno esami di storia ridicoli, ma li
fanno?, di storia dell'arte altrettanto ridicoli, e forse di sociologia e di
antropologia. L'architetto diventa quindi un perfetto tuttologo prodotto
della cultura di massa, attenzione non un 'generalismo critico' nel segno
della (per me grande) tradizione classica e gentile, è una approssimazione
culturale che specula sulla bassa cultura e sul territorio.
Perché nessuno ipotizza o sostiene, che l'architettura ha fallito? Ha
fallito la mediazione tra la modernità (quella vera quella che inizia con la
scoperta dell'America) e la contemporaneità, e rischia di perdere nel nome
della pura speculazione e del gigantismo, la sfida del post? E' un fatto che
prima del generalismo i contadini sapevano costruirsi bellissime case,
baite, cascine, i marinai sapevano fare ottimi porti, rade, squeri, non
parliamo dei ponti degli ingenieri, che alla fine è più bello un ponte
bailey. Poi ci si accorge che l'architettura e il figlio design, che come la
trota segue le orme del padre, è diventata un partito politico, che si
atteggia a partito delle 'case oscure', nel nome della distruzione del
territorio e della cultura.
Ieri ero a prendere un aperitivo e gli architetti risplendevano nei loro
completi sartoria, cravatte e scarpe a mano, e mi sono sempre chiesto ma se
fanno gli architetti perché si vestono come se andassero in senato o peggio
in borsa? Mah....
Adesso in Accademia è cambiata la proprietà e gli architetti e i designer
hanno lanciato l'attacco alla direzione, i mezzi stupiscono per violenza e
per il livello. Ma perché? Ma avete mai sentito parlare del Design come
forma progettuale del tutto? Si vabbé ma almeno una grammatica specifica dei
vari tutti...no?
Certo a me interessa una cosa che non interessa (ancora) a nessuno, il
romanticismo americano, beh quando la Hudson River School dichiara "No more
sunset on Tivoli" non credo che si immaginasse i, danni che sono stati fatti
in Italia, la zona dei castelli romani dove devo per forza starci è passata
da essere forse una delle più belle zone del mondo a un obbrobrio in stile
assiro-laziale pauperista.
Che dire che questa volta Xd h aperfettamente ragione.
Il giorno 02 ottobre 2010 23:54, kilroy <ndp at bastardi.net> ha scritto:
> Rispondo a Alessio (Pat).
> La prima cosa che ti voglio dire è che non sono affatto stupito che nella
> piazza del bacio di Rossi si spacci. Nel corso dei miei quasi infiniti anni
> di studio ho trovato molti motivi per perdere altro tempo, il mio preferito
> è stato alzarmi a metà di un corso e andarmene per non più tornare, appena
> il professore di turno abbozzava un panegirico su Rossi (non ero il solo).
> C'è qualcosa nella "via italiana all'architettura" di profondamente morboso,
> un flirtare con una estetica di morte, con le tombe, le prigioni di Piranesi
> e tutto il resto, che fa si che questa gente faccia: A) degli straordinari
> cimiteri; B) delle altre architetture inevitabilmente simili a cimiteri.
> Tuttora il "rossismo" affligge gli studenti di architettura italiani che poi
> vanno all'estero in Erasmus, si sentono chiedere da ignari professori esteri
> qual'è l'architetto più amato dalle nostre parti, per poi basire quando
> sentono lo stesso nome da 20 anni. In certi casi il livello è patologico al
> punto che una mia amica è stata umiliata (l'umiliazione sembra fare parte
> della formazione in questo corpo di studi) con questo argomento: "lei
> signorina passerà il mio esame non prima che io sarò morto, e siccome io
> morirò a 56 anni, come Aldo Rossi, ha ancora molto da aspettare", stiamo
> parlando quindi di un signore che ha poco più di 40 anni e per qualche
> motivo suo ritiene che sarebbe disdicevole vivere più del suo mito. Il
> dibattito in Italia è artificialmente ingessato per consentire a queste
> cariatidi di mantenere le loro posizioni di dominio all'interno delle
> facoltà, l'architettura italiana attuale per fortuna è fatta in buona parte
> di gente che si è alzata dalla sedia al momento opportuno, non così i
> convegni e le discussioni, che spesso si estrinsecano in una gara a chi è
> più putrefatto. E' quindi inevitabile la pulsione di morte che si respira
> nella piazza del bacio, trasuda dalle architetture, e dai disvalori che esse
> esprimono.
> Ci si accorge che il funzionalismo è un altro mito, quell'idea cioè che
> proponeva la forma come risultato della funzione, form follow function
> appunto. E' un mito perchè stiamo assistendo a delle trasformazioni talmente
> radicali nelle destinazioni d'uso degli edifici (rimesse per sottomarini che
> si trasformano in musei o gasometri che si trasformano in edifici
> residenziali) da capire che tale regola è semplicemente falsa, ma questo non
> significa che la forma non sia determinante, significa piuttosto che non ci
> si può più nascondere dietro delle formule che fingono di automatizzare il
> processo decisionale nascondendosi dietro la funzione, dalla quale la forma
> dovrebbe emergere automaticamente (gli algoritmi in architettura funzionano
> di rado, tranne quelli di Makoto Watanabe). Le architetture di Rossi sono lì
> a ricordarci in negativo che la forma è importante, che il lato simbolico
> dell'architettura è quasi imprescindibile, se non altro perchè quando si
> sbaglia, la gente sta male.
> Voi Perugini siete doppiamente fregati, perchè quando qualcuno giustamente
> vorrà caricare di plastico quell'obbrobrio, verranno fuori tutti gli adepti
> del maestro a gridare al sacrilegio. Per capirci, Emma Bonino in Tv
> quest'anno ha più volte ricordato i rapporti del partito radicale con Aldo
> Rossi.
>
> Una proposta: assegnate anche voi la GHC, un'onorificenza di mia
> invenzione. La assegno direttamente con il pennarello nei manifesti
> altisonanti che continuò a trovare in facoltà, cose spiacevoli con scritto
> alternativamente "l'architettura italiana" o "la via italiana
> all'architettura", sotto il nome dell'organizzatore (noto per fare petting
> con i pilastri di mattoni) mi limito a scrivere in bella grafia: GEOMETRA
> HONORIS CAUSA. Entro 30 secondi un qualche studentello di Comunione e
> Liberazione lo strappa, incapace di resistere a cotanta mancanza di
> rispetto, il risultato è che dopo un po' i manifesti finiscono e i
> beccamorti si ritrovano a fare il convegno da soli.
>
> @ XDXD (presto arrivo con qualcosa per rispondere anche a te, sono
> altamente incasinato, anche a causa della mancanza di internet a casa : )
>
> Il giorno 29/set/2010, alle ore 12.35, pAt ha scritto:
>
> > Ciao Kilroy... ciao a tutti,
> > scusate, la mia è un po una divagazione...
> > Beh non avevi bisogno di conferma... infatti è proprio Rossi... ; )
> > Ti dico... da perugino io sono passato miriadi di volte sulla strada che
> > ci passa a fianco,
> > e quella roba, penso che c'è sempre stata da quando sono nato, o l'hanno
> > fatta che ero molto piccolo.
> > Per questo non mi è mai saltata significativamente all'occhio.
> > Non conosco l'architettura, ma verissimo, la volontà è metafisica, e a
> > me effettivamente
> > dà la stessa sensazione di un quadro di De Chirico... un senso di
> > desolazione...
> > se era questa l'intensione di Rossi... beh, c'è riuscito...
> > E' fantastico per come, forse anche per ragioni non dovute
> all'architettura,
> > (a parte la possibilità di avere molte vie di fuga ed essere vicino alla
> > stazione) la desolazione
> > ha preso ha preso forma nella vita di quel posto.
> > Qualche piccolo mercatino, o evento, ogni tanto provano a farlo, ma
> > essenzialmente
> > ci sono solo uffici, e non è mai un posto frequentato...
> > Ma la cosa più interessante è che nella piazza, che si chiama piazza del
> > bacio,
> > per tessere le lodi della onnipotente Perugina (anche perchè l'azienda
> > una volta era lì)
> > c'è da sempre uno spaccio di eroina molto famoso e apprezzato da tutti i
> > maggiori intenditori del centro italia.
> > Ci vengono veramente da tutte le regioni vicine ad assaggiare il
> > prodotto tipico, che sembra veramente prelibato.
> > Non a caso in Umbria c'è il più alto tasso di morti di overdose in
> europa.
> > A parte la divagazione nella divagazione... mi sembra interessante,
> > forse futile, forse causale,
> > il presunto legame tra l'architettura metafisica del posto e la vita
> > dello spaccio di eroina al suo interno.
> >
> > La stazione a cui ti riferisci è quella del Minimetrò... una buona e
> > recente scusa per spillare soldi all'UE,
> > ma a me sembra anche utile... ma diciamo pure che il perugino medio non
> > apprezza ne il Minimetrò,
> > ne le sue stazioni... però hai ragione architettonicamente hanno la loro
> > funzionalità, minimalismo,
> > e un estetica che per Perugia è veramente innovativa, senza tante
> > baroccaggini ne estetiche, ne di pretese.
> >
> > scusate, ma ho sentito tirare in causa il mio nostalgico
> > campanilismo.... ; )
> >
> >
> > Alessio
> >
> >
> >
> > Il 24/09/2010 13:25, kilroy ha scritto:
> >> Caro XDXD, ti risponde uno che dal primo giorno di facoltà di
> architettura si pone queste questioni (parlerò solo di architettura, non ho
> mai usato una app).
> >> In realtà non credo affatto che gli architetti siano tutti uguali e
> tutti mossi da questo gigantismo o dalla volontà di essere la prossima
> archistar.
> >> Quando ho cominciato io, a metà anni '90, si combatteva (battaglia non
> ancora vinta, i posti chiave nelle università sono gli stessi di 20 anni fa)
> contro il postmoderno strapaesano, contro le schifezze incommensurabili di
> Aldo Loris Rossi e compagni, contro un'idea nostalgica e conservatrice,
> totalmente fasulla di città, fatta di carinerie posticce, recupero del merlo
> guelfo e altre sonore porcate, false, ipocrite e del tutto distanti dalla
> realtà (basterebbe dire che più della metà degli edifici in questo paese è
> stato costruito dopo la guerra per capire quanto questa gente vivesse
> nell'isola che non c'è). Questa architettura è stata il massimo della
> fasullaggine, nata come risposta ad un modernismo mal digerito che ha
> prodotto troppa bruttezza e troppa alienazione, il post-modern italiano
> (parola che in architettura assume connotazioni diverse che in altri campi)
> fu come dire: il postmodern è localizzato e specifico delle nostre realtà,
> ricostruisce il nesso storico interrotto con le nostre radici, è su misura
> per i centri storici, è la via italiana all'architettura. Salvo poi
> esportare queste cacate in tutto il mondo.
> >> Almeno in America i seguaci di Venturi (un abisso intellettuale separa i
> nostri e i loro) sono arrivati a fare una "piazza d'italia" a New Orleans
> (Charles Moore), una sonora presa per i fondelli.
> >> Dopo questa sbronza di vani ascensore a forma di colonne corinzie (cfr
> Ricardo Bofill) è successo un fatto, due di quelli che erano considerati
> architetti postmodern, tanto di essere inclusi da Portoghesi nella "strada
> novissima" della Biennale, Frank Gehry e Rem Koolhaas, sono finiti anche in
> un altra mostra al MOMA, quella che sanciva la nascita del decostruttivismo
> (per me non c'è contraddizione, postmodern e decostruttivismo sono due facce
> della stessa medaglia, ma non in Italia).
> >> Lasciando stare Koolhaas che è un personaggio complicato, di
> intelligenza e cattiveria vertiginose (uno di quei geni che guardano tutti
> gli altri umani come pidocchi, ma geni restano) a livello di pubblico il
> cambio di paradigma l'ha portato Gehry, con quell'immane bignè glassato di
> titanio che è il Guggenheim di Bilbao, sul quale nei '90 omnitel e audi
> ambientavano le pubblicità. Con quell'edificio lì si sono rotti gli argini.
> Gehry è stato un visionario, ha preso un manifesto dell'architettura
> futurista di Boccioni (ritrovato nel '56) e l'ha messo in pratica sfruttando
> software di modellazione solida che non eran mai stati usati in architettura
> (Catia). Boccioni sosteneva che un giorno avremmo vissuto dentro enormi
> sculture e Gehry, che non nega di adorare Boccioni ha eseguito, diventando
> una superstar e continuando imperterrito ad eseguire cosi che sono dei
> Gehry, così come un Pollock è un Pollock. La nascita di un fenomeno del
> genere è parallelo al sempre più frequente branding delle città, Gehry fa
> dei loghi tridimensionali.
> >> Dopo 15 anni l'unione di scultura informale a scala gigante e software
> molto potenti ha creato una situazione in cui dal pericolo costante di
> scadere nel kitsch (rossi portoghesi e friends) siamo passati al pericolo
> costante di sprofondare nel trash (Libeskind you sucks!)
> >>
> >> Ora immagina che periodicamente io mi trovi di fronte alla stazione di
> Perugia ad aspettare, di fronte a me ho un orripilante aggeggio fuori scala
> progettato da Rossi (non ho bisogno di andare a cercare conferma, Rossi è
> inconfondibile), la solita piazza che nessuno frequenta, l'orologetto
> rotondo che nessuno guarda, la finestra morta... Rossi non è mai arrivato a
> capire che le città ideali rinascimentali e quelle metafisiche sono quadri e
> che a viverci dentro si sta di merda.
> >> Di lato ho invece la stazione della (non so come si chiami, è una specie
> di metro sopraelevata a cabina unica) di Jean Nouvel, l'edificio è
> appropriato e piacevole, nessun gigantismo, nessun guardami esisto, oh! E
> che cazzo! Strano ma vero, esiste anche chi, se gli chiedi una pensilina
> dove aspettare il mezzo pubblico, la realizza, non ci piove dentro, non
> richiama nostalgie e nemmeno magnifiche sorti progressive, fa la
> stazioncina, bontà sua.
> >>
> >> Jean Nouvel va per i '70, non ha bisogno di dimostrare un cavolo a
> nessuno, non ha neanche bisogno di assomigliarsi pedissequamente, ne di
> urlare, continua a fare sperimentazione tecnologica e i suoi lavori sono se
> non altro appropriati, non sono un manifesto di alcunchè, sono grandi quanto
> serve, pensati per quelli che li devono usare, così se deve fare un algido
> grattacielo per il centro di Tokio lo fa senza remore, se deve fare una
> folie parigina per attirare i turisti la fa, se deve fare uno spazio
> temporaneo per prendere il the (la serpentine di quest'estate) la fa e gli
> riesce molto bene.
> >> Siamo arrivati a questo dunque, uno come Nouvel che è in giro dalla fine
> dei '60, fa delle belle architetture perchè non gli serve più di dimostrare
> nulla, non c'è più un paradigma da rompere, non c'è più una generazione da
> superare, l'architettura post-ideologica è migliore di quella ideologizzata
> e risulta paradossalmente dirompente, perchè ci si sta bene dentro.
> >>
> >> Gli architetti sono tutti delle gran puttane, fa un po' parte del lavoro
> di gente, che a volerla infamare, ha in fondo anche il ruolo di fornire un
> plusvalore estetico alla sede delle banche, di giustificare lo stesso
> principio del progresso, gli architetti non possono accogliere la distopia
> tra i propri argomenti, tra le loro soluzioni non c'è mai "distruggo per
> liberare", c'è solo "distruggo per ricostruire". Anche uno come Yona
> Friedman (il più adorabile nemico interno che abbiamo nella categoria) è in
> fondo un costruttore.
> >>
> >> Ora questo secondo me è un bel momento per la storia dell'architettura,
> i giornali di settore non fanno altro che parlare d'interventi come quelli
> di Alejandro Araveda, o Giancarlo Mazzanti, le architetture più interessanti
> sembrano tutte legate a storie di riscatto (soweto, medellin bogotà, libano,
> new dehli), le archistar sono sempre meno interessanti e così gli edifici a
> forma di fungo, e anche nel primo mondo stanno tornando al centro gli
> uomini, i sensi, il piacere, l'architettura sta diventando femmina, per
> fortuna! Tu invece sei andato a vedere una conferenza tenuta da un individuo
> evidentemente fallocratico.
> >>
> >> Andiamo alla biennale, che anche lei quest'anno è femmina.
> >>
> >> kilroy
> >>
> >>
> >>
> >>
> >>> Ho un problema.
> >>> Oggi siamo andati all'Acquario Romano, la sede dell'Ordine degli
> Architetti di Roma, alla presentazione/lancio di CitiVision Mag, un
> freepress di architettura molto bello, con un occhio particolarmente attento
> ai progetti degli architetti più giovani e con il preciso e dichiarato
> intento di tentare di alzare il livello della discussione sull'architettura
> contemporanea a Roma, e di trasformarla in un dialogo più internazionale.
> >>> Se da un lato ammiro molto l'impostazione del progetto e
> l'atteggiamento con cui gli organizzatori lo pianificano ed eseguono,
> dall'altro sono rimasto un po' atterrito dalla lecture dell'invitato
> principale.
> >>> Non ho nulla contro di lui, ovviamente: esprime dei concetti
> interessanti, seppur molto centrati sulla forma. E l'inizio della sua
> presentazione è stato anche molto interessante, con le sue analisi sul
> linguaggio degli spazi pubblici e privati.
> >>> E' solo che pian pianino, durante la conferenza, veniva insinuato nella
> discussione un assunto che, per quel che penso e sento, non è per nulla
> scontato. Piano piano, tra le descrizioni di un progetto e l'altro, emergeva
> una tensione verso il futuro, verso l'innovazione, verso "l'opportunità" che
> era incentrata su immaginari utopici e, a tratti, degni dei più sfarzosi
> faraoni dell'antico Egitto.
> >>> Venivano presentati progetti grandiosi, con cantieri sterminati che
> duravano 5-6 anni, con centinaia di camion che trasportavano "robe"
> gigantesche. Era inevitabile scivolare verso visioni di schiavi che tirano
> enormi blocchi di pietra per costruire piramidi.
> >>> Questi grandi progetti, a New York, in Germania, a Valencia e in tanti
> altri posti, venivano presentati candidamente come le dimensioni più
> avanzate della ricerca contemporanea, come le utopie che, creando
> meraviglia, liberando l'immaginazione e "usando anche la dimensione di gioco
> dell'Architettura", potevano modellare gli immaginari, creare visioni sul
> futuro e, quindi, opportunità.
> >>> Ma davanti agli occhi c'era una persona che presentava fiero delle
> immagini di cantieri enormi, con centinaia di migliaia di pezzi di
> impalcatura tirati su per costruire curve azzardate fatte di dozzine di
> strati di materiali differenti, che contrattava tra istituzioni e
> corporation globali del cemento, dell'acciaio, del legno per costruire cose
> enormi in grado di "far fare una passeggiata suggestiva in cima alla città,
> di mangiare in un buon ristorante con una vista incredibile, di creare delle
> zone coperte e di ombra - presupposto fondamentale per la fruizione dello
> spazio pubblico -, creando tre livelli di utilizzo e interpretazione del
> territorio". (cito a memoria e in ordine sparso: mi scuserà l'architetto se
> sbaglio qalcosa, e si senta pure libero di correggere, ovviamente)
> >>> E, oltre ogni "ministero dell'amore" di orwell, venivano anche
> decantate le caratteristiche di ecologia e sostenibilità delle produzioni
> architettoniche.
> >>> Ora: lo so. Le utopie *possono* essere utilizzate per creare
> immaginari, per stimolare la fantasia, per abilitare la "fuga" che spesso
> permette di avere nuove idee. La meraviglia, la suggestione, l'"eccezionale"
> serve. Perchè se abito in un cubo di pietra e ne esco solo per andare a
> lavorare in un altro cubo di pietra, muoio. E quindi le cose eccezionali
> hanno un loro uso: possono essere utilizzare per riinventare la realtà,
> creando visioni e spazi di espansione.
> >>> Ma proprio non riesco ad identificare queste cose faraoniche con una
> via praticabile. Mi sembrano più oggetti del potere. Le suggestioni che mi
> fanno venire in mente sono quelle che rigurdano come l'architetto, in quel
> momento, si debba sentire una specie di semi-dio, con tutti quei camion,
> quei materiali, quelle enormi travi d'acciaio che si innalzano al cielo,
> proprio come le ha disegnate, o come le ha fatte disegnare ai suoi
> collaboratori, comunicando loro la sua visione. Mi viene in mente quanto
> costino questi oggetti. Quanto siano ogegtto di potere queste enormi cifre.
> Quanto siano oggetto di contrattazione tra professionisti, istituzioni,
> costruttori, politici, sindacati. E quanto siano belli nel disegno, ma di
> come sia poi ben più misera la realtà, fatta di lavoratori in tuta arancione
> e casco giallo, di stagisti che lavorano gratis, di poveracci con carta di
> credito che provano a rimorchiare portando veline a mangiare aragosta in
> cima ad un blob enorme a forma di fungo, e di come siamo cambiati poco nelle
> nostre aspirazioni.
> >>> Ecco: superuomini, in grado di avere potere, che si esprime con questi
> enormi "cosi".
> >>> Non che non siano belli o interessanti, ripeto. Sono interessanti come
> usano il software, come usano i nuovi materiali, come riescano a rendere
> reali cose che prima non c'erano e possibili cose che si immaginano dopo
> aver visto il "coso".
> >>> Non mi sembra un "dibattito contemporaneo", questo. Non mi sembra,
> perchè ci sono cose più fondamentali nel contemporaneo, cose che hanno più
> la caratteristica di essere "nodi". E riguardano probabilmente maggiormente
> l'ambiente, il lavoro, il debito, e l'identificazione di modelli che creino
> un po' di sostenibilità e che, con tutta probabilità, non sono grandi come
> quei "cosi", ma sono più piccoli, autonomi, mobili, "attorno" alla persona,
> empatici e temporanei. Mentre invece queste utopie sono proprio il
> contrario.
> >>> La cosa che mi colpisce di più, oltretutto, è collegata al linguaggio.
> Che, come al solito, è "al contrario". Ma a questo siamo abituati, no?
> "Innovazione" vuol dire mantenere lo stato delle cose, "futuro" vuol dire
> passato, "sostenibilità ed ecologia" vuol dire fare un cantiere gigantesco
> che dura 6 anni per produrre un mostro gigantesco con un pannellino solare
> sopra, "dialogo" vuol dire avere amici nei posti giusti per poter
> contrattare committenze ciclopiche, "cambiamento" vuol dire solo velocizzare
> l'impresa diminuendo la burocrazia.
> >>> La cosa più violenta la subiscono, come al solito, gli studenti, cui
> vengono inculcati questi immaginari, come simbolo del successo.
> >>>
> >>> Salto in avanti: dall'altra parte, all'Opificio Telecom, c'era un
> incontro sul "futuro di internet". Si parlava di App, le applicazioni per i
> dispositivi mobili che stanno trasformando così rapidamente il mercato di
> come si usa internet ed i suoi servizi.
> >>> Le App sono molto belle, divertenti, accessibili e usabili. Hanno delle
> belle interfacce. Sono divertenti, emozionanti, eccetera, eccetera,
> eccetera.
> >>> Ma hanno un enorme problema: eliminano la trasparenza dei protocolli di
> internet, mettendo tutto in mano al service provider, sia dal punto di vista
> di chi gestisce il marketplace delle applicazioni, sia da chi le
> applicazioni le fa e commercializza.
> >>> Vuoi il servizio? Scaricati l'applicazione e fregatene di come
> funziona, di come gestisco le informazioni, di come gestisco la sicurezza,
> di quanto ti spio te e i tuoi amici. Non c'è standard. Se usi 10 app vuol
> dire che, in un modo o nell'altro, hai firmato 10 contratti su come gestire
> i tuoi dati, tutti differenti, tutti scritti in linguaggi che non capisci,
> tutti testi che non leggerai mai. E poi: fine della libertà di navigazione e
> di uso delle risorse di internet, fine degli standard e protocolli aperti:
> con le app torna tutto in mano ai service provider. Altro che innovazione:
> torniamo ai deliri di America Online.
> >>>
> >>> Questo grande incontro è stato presentato nell'ambito dei programmi di
> telecom italia sulle culture digitali. In dei luoghi quindi in cui si parla
> di innovazione e di opportunità.
> >>> Se ci fate caso sia questo che quello prima son due problemi
> "architettonici". Di tipo differente. Di due architetture che si
> compenetrano, nella città, tra cemento e informazioni.
> >>> Proprio mentre Bernabè, da un lato, annuncia che la super-rete wireless
> Telecom se la farà da sola, e deciderà da sola come/quando/cosa farà come
> servizi, perchè "è sua responsabilità".
> >>> E mentre continua la buffonata (che però funziona: attenzione! anche se
> non lo dovesse vincere, il progetto ha creato quel che doveva creare...) del
> Nobel per la Pace ad Internet.
> >>> Proprio mentre continua il fiorire di iniziative di origine "corporate"
> sull'imprenditorialità alla californiana, con tutti gli immaginari che ne
> conseguono e senza le delicate alchimie che lì la stanno facendo funzionare
> (per ora), con tutti gli incubatori di impresa che ne conseguono (qui).
> >>>
> >>> Altra cosa in comune: tutte queste iniziative sono iper-frequentate. In
> qualche modo stanno tutti "a caccia". Vogliono inventare la prossima
> killer-app, il prossimo social network. Proprio come vogliono diventare i
> prossimi archi-star.
> >>>
> >>> Senza pensare, però, che quelli che raggiungono quei ruoli sono ben
> lontani dall'utopia, ed agiscono non nel modo "ingenuo", puro ed accessibile
> che ci mostrano con la "visione", ma con ben più rodate abilità
> contrattatorie, a suon di bilanci, investimenti incrociati, accordi fatti al
> ristorante, strette di mano, e compromessi.
> >>>
> >>> Questo sfasamento del linguaggio concorre a creare la scomparsa della
> rivolta, della reazione e, quindi, della reale innovazione e trasformazione.
> >>>
> >>> In definitiva: cos'è l'innovazione, il cambiamento, la rivolta, la
> trasformazione e la reinvenzione quando a definirne estetiche, modalità,
> opportunità, ambizioni ed immaginari è un costruttore, una corporation o un
> venture capitalist?
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