[aha] R: Re: R: Re: Su AHAcktitude: Proposta di una nuova cartografia della partecipazione
T_Bazz
t_bazz a ecn.org
Lun 20 Dic 2010 14:38:07 CET
Ciao,
sulla proposta lanciata qualche giorno fa, rispondo direttamente a
gadda, ricollegandomi anche alle altre osservazioni.
On 12/19/10 5:19 PM, gadda1944 at libero.it wrote:
> Non l'unicità, ma la singolarità è debole. Per fortuna. Nella sua fragilità
> unica e irripetibile risiede la sua forza. E non può essere "collettiva",
> altrimenti sarebbe una figlia (legittima o illegittima) di quell'opportunista
> hegeliano di Pierre Lévy - una variante acida e liquescente dei cori angelici
> di al-Farabi. Proviamo a sperimentare la sua caratteristica di "comunità" - non
> nel senso della Gemeinshaft tedesca e paranazista, ma nel senso dei "Commons"
> inglesi (magari non in variante negriana/hardtiana).
A mio parere non dobbiamo fermarci agli immaginari apparenti che l'idea
di scrittura collettiva di un documento puo' suscitare. Il punto e'
riflettere sull'idea di prendere posizione, questo significa sforzarsi
di mantenere la propria singolarita' anche e durante l'atto di
condividere il nostro pensiero. Siamo ben lontani dall'idea di scrivere
un manifesto (per fortuna), mentre dovremmo riflettere sul concetto di
partecipazione che anche l'atto di scrivere puo' mettere in gioco, ed e'
un concetto importante perche' ci permette pure di riflettere sulle
dinamiche di rete. Cerchiamo semmai di confrontarci sul come scrivere, e
se il concetto di scrittura, che e' poi anche lo specchio di una
metodologia politica, puo' essere criticizzato e deturnato.
Ci sono tante modalita' di scrivere: la storia dell'etnografia ci
ricorda che l'analisi sul campo e sulle pratiche di osservazione
dell'alterita' puo' dare vita a metodologie di narrazione e di pensiero
nuove. Metodologie frammentate e plurali, come gli stessi James
Clifford, George Marcus e Clifford Geertz ci hanno insegnato negli anni
ottanta, rifacendosi anche a una tradizione di etnografia surrealista.
Il punto e' chiedersi se e' possibile oggi creare un atto concreto di
scrittura che non sia monolitico, come invece purtroppo molte pratiche
politiche, anche di movimento, continuano ad essere. E come sia
possibile superare anche l'accademismo di molti teorici (Clifford
incluso), che comunque non si sono confrontati con il presente che
stiamo vivendo.
Chi l'ha detto poi che la scrittura non e' azione? Proprio oggi stavo
leggendo il bellissimo libro di Martin Jay, The Dialectical Imagination,
in cui si sottolinea proprio questo. Le attivita' della Scuola di
Francoforte sono state solo uno dei tanti esempi di una teoria critica
in cui l'azione pratica e la riflessione teorica sono riuscite a coesistere.
Non per niente gli scritti di Adorno, Benjamin, e molti altri esponenti
dell'Institut fuer Sozialforschung, sono stati presi ad esempio da molti
studenti negli anni Sessanta.
Del resto, era proprio Benjamin a scrivere, in Einbahnstrasse: "Chi non
puo' prendere posizione, resti in silenzio".
La mia proposta e' di prendere posizione, non fermandosi all'apparente
facciata dell'idea di scrivere un manifesto, che non ha nulla a che
vedere con cosa ho proposto. Siamo invece in grado di produrre un testo,
una narrazione, che rimanga plurale pur essendo coerente nella sua
unicita'? Non e' forse una vera sfida quella di trovare dei punti di
accordo in un momento come questo? E di andare oltre le "dinamiche di
orticello" che spesso vivono anche in questa lista? (come e' normale che
sia, del resto fa parte della stessa pratica politica...)
Non fermiamoci al punto che ci sentiamo di prendere posizione per
affermare la nostra pluralita', evitando pero' un confronto collettivo
che implichi soprattutto un atto di fiducia. A mio parere, il problema
di molti ambiti del movimento e' che non c'e' piu' fiducia, non solo nel
futuro perche' tutti i vari ideali sono straziati giorno dopo giorno, ma
anche fra i membri che ne fanno parte. Secondo me lo sforzo sta nel
creare un qualcosa che vada oltre le logiche di rappresentanza e le
dinamiche identitarie, ma che metta in crisi anche le nostre modalita'
(monolitiche? totalizzanti?) di pensiero e di azione. Oppure, che provi
a ricostruirle dopo la loro messa in crisi.
Quindi, la mia proposta e' di saltare il passaggio della mancanza di
fiducia, o il riduzionismo a pratiche non dette, e dare per assunto che
se stiamo qui in questa lista e' perche' condividiamo certe idee da
diversi anni. Che facciamo oggi pero' con queste idee?
Scusate, ma le pratiche/azioni hanno bisogno anche di riflessioni,
soprattutto quando abbiamo la possibilita' di vederci faccia a faccia. E
in questo senso forma e contenuto coincidono in un'immagine dialettica
(sempre parafrasando Benjamin, visto che siamo tutti in vena di citazioni).
Saluti,
T_Bazz
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