[aha] contributo di Franco Berardi al seminario di uninomade
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Thu Sep 11 19:53:49 CEST 2008
Vi posto un contributo scritto di Franco Berardi per il seminario di
uninomade che si tiene a bologna venerdi e sabato, dedicato alla crisi
politico-finanziaria internazionale. Per chi non lo conoscesse Uninomade
è una rete di autoformazione legata all'università.
Bifo scrive nell'email che ha inviato:"Contiene una proposta finale che
potrebbe interessarti"
OLTRE L'89
Nel settimo anniversario dell'undici settembre, possiamo forse affermare
che la storia del mondo sta uscendo definitivamente dalla sfera del 1989.
L'anno in cui crollò il muro di Berlino fu l'inizio del decennio
trionfale di un capitalismo espansivo e progressista e libertario.
Il dinamismo culturale degli anni Ottanta e Novanta mise in moto una
sorta di capitalismo di massa basato sull'alleanza tra capitale
finanziario ricombinante (venture capital, mercato azionario) e lavoro
cognitivo dell'innovazione (creative class, lavoro immateriale). E'
l'epoca delle dotcom.
Nutrimmo l'illusione che il general intellect avesse trovato la sua
incarnazione nella classe virtuale e che il capitalismo reticolare fosse
l'ambiente di una convivenza pacifica di lungo periodo.
I libri scritti in quel decennio da Fukuyama, Pierre Levy, Toni Negri e
Michael Hardt sono esempi di questa illusione della classe virtuale.
Ma negli stessi anni in cui sembrava costituirsi la nervatura di un
impero immateriale il corpo rimosso del mondo produceva veleni
identitari. La lunga umiliazione della Russia, il massacro neoliberista
della popolazione dell'ex impero sovietico si può leggere oggi in chiave
storica come una ripetizione del tragico errore compiuto dai francesi al
Congresso di Versailles del 1919. Allora i vincitori del primo conflitto
mondiale avevano sottovalutato gli effetti che nel medio periodo poteva
produrre l'umiliazione della Germania, dopo l'89 l'occidente ha
sottovalutato gli effetti di medio periodo che l'umiliazione della
Russia poteva produrre.
Ma quello non è stato il solo errore tattico dell'Occidente. La risposta
della presidenza petrolifera americana all'azione terrorista 911 è stata
l'inizio del crollo dell'egemonia americana sul mondo. Ormai è un fatto
acquisito, l'Impero, se mai è esistito (e non lo credo) ora è un
ricordo. La guerra che in forme diverse ma interdipendenti si estende
dalla Moldavia al Kashmir, l'Occidente la sta perdendo in ogni frammento
e nel suo insieme.
Quel che dobbiamo capire è la relazione tra fine dell'egemonia militare
dell'occidente collasso finanziario e recessione. La tesi che voglio
proporre è la seguente: il collasso finanziario è un aspetto e una
conseguenza della guerra persa dell'Occidente. E' vero, come ci ha
insegnato Sbancor, che la guerra infinita è stata lanciata dalle
corporation pesanti americane per contrastare la crisi finanziaria
dell'aprile 2000, ma è altrettanto vero che per moltiplicare i profitti
dell'Halliburton e qualche altro colosso dell'old capitalism la
presidenza petroliera americana ha destinato allo scacco matto
l'egemonia americana e il predominio occidentale.
La recessione che nessuno può ormai più esorcizzare è legata al declino
dell'egemonia militare dell'occidente. E quel che sembra essere entrato
in crisi non è un particolare settore del credito, ma il principio
dell'indebitamento Non si tratta di un particolare secondario:
l'indebitamento delle famiglie americane ha sorretto la crescita degli
ultimi trent'anni, ma ora l'esplosione della bolla dei subprime ha
innescato un processo che si sta estendendo alla bolla delle carte di
credito, e poi sarà l'intero sistema di iper-consumo delle popolazioni
occidentali che diverrà insostenibile.
LA GUERRA PERSA DELL'OCCIDENTE
Sette anni dopo 911 possiamo dirlo senza timore di smentita: l'Occidente
ha perduto la guerra, qualsiasi cosa succeda domani. Ma il problema
diviene ora un altro: può l'Occidente accettare di aver perduto la
guerra euroasiatica oppure dovrà ricorrere all'unica arma che possa
restituirgli egemonia, l'arma-fine-del-mondo, per dirla con Doctor
Strangelove?
Il gruppo dirigente del capitalismo pesante aveva bisogno della guerra
per uscire dalla crisi del 2000 e per rompere l'alleanza progressiva di
capitale finanziario ricombinante e lavoro cognitivo. Ma l'intelligenza
(il capitale cognitivo, il ciclo dell'informazione, e perfino i servizi
segreti) ha osteggiato la decisione bushista, piuttosto che farla
propria ha dovuto subirla obtorto collo. Nel regolamento di conti
interno al capitalismo globale, questa è stata la guerra dell'ignoranza,
e i risultati si vedono.
L'intero continente euroasiatico è oggi teatro di tante guerre distinte
che costituiscono un unico mosaico dal quale l'Occidente non può che
uscire morto. Non per ragioni di forza, ma di logica. Le corporation che
hanno portato lOccidente nella guerra infinita sono molto forti, ma
mancano di intelligenza. Se guardate l'incastro delle sette guerre
(guerra kashmira, guerra afghana, guerra interna all'esercito pakistano,
guerra iraqena, guerra israelo-libanese-iraniana, guerra caucasica,
guerra russo-baltico-polacca che verrà) vi rendete conto del fatto che
non è possibile vincere l'insieme della guerra per ragioni che non
dipendono dalla forza, ma dal principio di non contraddizione.
L'Occidente si è infilato in un vicolo cieco perché non è possibile
vincere una di queste guerre senza rafforzare il nemico della guerra
accanto, con il risultato che l'Occidente sta perdendo tutte le guerre
dello scacchiere.
Ora si parla di ritorno della guerra fredda, ma si tratta di un'ipotesi
ottimista.
La guerra fredda era basata sul principio della deterrenza e della
mutual assured destruction.
Ma in termini di teoria dei giochi la deterrenza funziona quando i
giocatori che si puntano l'arma sono due: campo socialista contro mondo
libero. Se aggiungete altri giocatori la deterrenza non funziona più,
perché ciascun giocatore deve guardarsi non dall'arma del suo diretto
avversario, ma dall'arma del terzo attore.
La guerra iniziata in Georgia con una plateale sconfitta dellOccidente
difficilmente potrà essere fredda, perché gli attori dotati dell'arma
totale non sono più due, ma tendono a moltiplicarsi.
FINO IN FONDO MA DOVE?
Da quando Nixon, nel 1971, dichiarò che il dollaro non rispondeva più
alle regole stabilite a Bretton Woods, gli Stati Uniti d'America hanno
potuto indebitarsi indefinitamente perché il dollaro stabiliva le sue
regole sulla base della forza militare. Parte delle risorse sottratte ai
creditori erano investite in armi da puntare alla tempia dei creditori
stessi per impedirgli di esigere il pagamento del debito.
Ora che l'egemonia americana vien meno quel gioco è finito. L'egemonia
militare americana è una finzione, e il mondo comincia ad esigere che il
debitore paghi, non solo quello che gli USA hanno accumulato negli
ultimi trent'ani, ma anche quello che l'Occidente ha accumulato negli
ultimi cinquecento anni.
Si tratta di un debito simbolico di proporzioni colossali. Ne fa parte
il genocidio compiuto dagli europei nel Nuovo Mondo, ne fa parte la
tratta di milioni di africani, ne fa parte il genocidio degli aborigeni
australiani, e la lista sarebbe ancora lunga. Pagare il debito vorrebbe
dire uscire dal ciclo della crescita capitalistica, rinunciare
all'iperconsumo, modificare profondamente la forma di vita delle
popolazioni occidentali. E questo appare improbabile.
Gli Stati Uniti potrebbero eleggere come presidente Barack Obama, ultima
speranza del ceto politico americano di liberarsi dall'isolamento. Ma
per quanto Obama possa essere la persona più progressiva, aperta,
democratica, gentile, intelligente e amabile che sia mai nata in terra
(e non ho motivi di dubitare che lo sia) sarà egli in grado di
convincere l'occidente a pagare il suo debito? Quando John Kennedy
lanciò la sua nuova frontiera, e promise che l'America avrebbe gettato
la sua energia in un progetto di aiuto internazionale verso i popoli
poveri, gli Stati Uniti erano una potenza economica vincente in
espansione, e godevano del prestigio e del credito guadagnato con la
vittoria nel secondo conflitto mondiale. Oggi non è la stessa cosa. Se
il prossimo presidente americano volesse lanciare una nuova frontiera
dovrebbe chiedere agli americani di rinunciare a consumare dieci volte
più risorse degli altri popoli della terra messi insieme. Può riuscirci?
O forse gli americani decideranno di puntare sul duo McCain-Palin (gli
ultimi sondaggi favorevoli a McCain lo fanno temere). Il popolo più
armato della terra potrebbe decidere di andare fino in fondo, pur di non
pagare quel debito.
Ma fino in fondo quanto in fondo sarà?
INSTABILITA' SENZA SOGGETTIVAZIONE
In altri periodi storici l'instabilità produceva effetti di
soggettivazione e di ricomposizione sociale, e preparava la strada alle
rivoluzioni politiche. Oggi non sembra così, e all'instabilità
corrisponde un effetto di desolidarizzazione crescente.
Il lavoro precarizzato non è in grado di farsi soggetto solidale. In
mancanza di una prospettiva di ricomposizione sociale, si accentuano le
tendenze verso l'arroccamento identitario.
Le società occidentali, poste di fronte all'assedio delle popolazioni
che in forme diverse rivendicano la restituzione del debito simbolico e
materiale, reagiscono, come vediamo, con un'onda montante di
nazionalismo di razzismo e di rabbiosa violenza.
Il nuovo ordine mondiale è la violenza di tutti contro tutti.
La civiltà sociale che le lotte del lavoro hanno costruito nel corso
degli ultimi due secoli è probabilmente destinata allo smantellamento,
se il processo continua con la rapidità degli ultimi anni.
Ridotto nel suo isolamento, ogni cittadino dell'occidente si rende conto
di non avere più alcuna autonomia perché solo accettando la dipendenza è
possibile mantenere i livelli di consumo che la civiltà sociale moderna
ha imposto. Ciascuno è costretto a correre senza alcuna speranza di
arrivare.
L'epoca che si apre è probabilmente quella della neobarbarie, la
barbarie di masse istupidite, torvamente agressive, disperate, simili
alla folla che Igmar Bergman mette sullo schermo, all'inizio e alla fine
de L'uovo del serpente.
CREARE ZONE DI RESISTENZA UMANA
C'è una qualche risposta alla solita ansiogena domanda: che fare?
Io rispondo di sì.
In un suo libretto dei primi anni '90 Hakim Bey parlava di temporary
autonomous zones (TAZ). Zone temporaneamente liberate nelle quali vivere
vita autonoma dal fanatismo economicista del capitale. Era una bella
idea, e ha funzionato per parecchio tempo. I centri sociali italiani
hanno funzionato come TAZ per tutti gli anni novanta.
Ma la realtà sociale che siamo destinati a vivere ha tinte più cupe di
quelle degli anni '90.
I governi che si sono succeduti negli anni duemila hanno portato a
termine un processo di distruzione delle strutture pubbliche e di
sottomissione brutale del lavoro.
Del sistema pubblico di formazione sono rimasti i ruderi, le rovine fumanti.
La ricerca universitaria è ridotta alla miseria. Nelle scuole medie un
esercito di precari, carichi di lavoro crescenti con salari di fame.
Le strutture pubbliche costruite dal lavoro e l'intelligenza di milioni
di lavoratori sono distrutte in modo sistematico
Negli uffici delle Poste il lavoro è raddoppiato da quando le Poste sono
state privatizzate.
Nelle ferrovie i treni arrivano in ritardo e cascano a pezzi perché i
governi di destra-sinistra hanno favorito la motorizzazione privata e
l'alta velocità e distrutto il sistema ferroviario che serve pendolari e
gente comune.
E per sovrapprezzo ai lavoratori viene appioppato l'insulto razzista di
fannulloni.
C'è un duplice lavoro da intraprendere: un processo di sottrazione e un
processo di contagio.
Sottrazione di zone territoriali dalla demenza distruttiva del capitale.
Zone di resistenza umana che funzionino come polo di attrazione di contagio.
Esperimenti di autogoverno nella catastrofe.
VIENI A BOLOGNA IL 23 SETTEMBRE
Abbiamo scelto Bologna per la creazione di una zona di resistenza su
scala metropolitana.
Per far questo abbiamo deciso di vincere le elezioni della primavera 2009.
Siamo partiti con un programma semplice:
inquinamento zero, ignoranza zero, ingerenza zero, ipersfruttamento
zero. Tolleranza mille.
Dettaglieremo questo programma in progetti realistici ed esemplari.
Naturalmente coloro che credono di conoscere il mondo sorrideranno di
tanta ingenuità.
Ma io li conosco quelli che credono di conoscere il mondo.
Sono degli imbecilli, dei cinici e degli infelici di cui ho pietà.
Io ho sessant'anni, e so che il mondo nessuno può conoscerlo, perchè non
c'è altro mondo se non quello che sappiamo creare da domani.
Il 23 settembre in una sala di Bologna si terrà il terzo incontro di
BOLOGNA CITTA' LIBERA.
Presenteremo i primi progetti della Giunta Virtuale che si sta costituendo.
Presenteremo la lista che andrà alle elezioni comunali della primavera 2009.
Spero che tu ci sia.
Spero che tu abbia tempo da dedicare a quest'ultima impresa, che sarà la
prima, per uscire dalla neobarbarie.
franco berardi
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