[aha] Il lastrico dell'inferno

gadda1944 gadda1944 at libero.it
Sat Aug 16 17:30:17 CEST 2008


E’ utile una discussione sulla scuola e la formazione in Italia in questo momento su questa lista? Può darsi di sì, ma (credo) a due condizioni: primo, che si ricordi che questa è una lista dedicata all'attivismo, all'hacking e alla dimensione sociale e pubblica dell'arte. Secondo: che si abbandoni la logica (legittima, figuriamoci, ma poco utile) della rivendicazione di quello che ognuno di noi ha fatto nella sua scuola, nei suoi corsi, tra i suoi studenti. Corollario: possiamo lasciar perdere i discorsi sulle “menti fuori dal comune”, le “menti più lucide”, le diritture morali delle persone e via dicendo? Saranno fatti con le migliori intenzioni, ma puzzano di retorica lontano un miglio: e sappiamo tutti qual è il luogo il cui pavimento è lastricato di buone intenzioni.

Si sarà capito che ho una critica da fare ai discorsi di Francesco Monico, ripresi con tanto entusiasmo dalla sua fan, giovane allieva della Naba. La critica è che mi pare totalmente assente un discorso (che invece, magari in in forma confusa, era presente nella lettera di Canevacci da cui è partita tutta la faccenda) sulle ragioni, la logica e il contesto dell’attuale situazione della scuola in Italia e nell’Occidente. Senza questo discorso, rischiamo di ridurre tutto a un "dibattito culturale", a uno scontro fra posizioni culturali, "professionalizzazione" contro "pensiero critico" (e dirò poi che cosa penso di questa mitica e misteriosa entità), e finiamo per convincerci che per raddrizzare la situazione basterà un po’ di “consapevolezza culturale” in più, qualche convegno ben preparato (sempre le buone intenzioni!), un’esaltazione dell’artista come coscienza critica della società (vecchia illusione, uno dei punti più deboli e pasticciati del pensiero di McLuhan, che però il suo allievo Derrick de Kerckhove riprende sempre con eccessivo – a mio parere – entusiasmo). 

Cosa sta succedendo allora nella scuola e nell'Università? Bisogna chiamare le cose col loro nome, bisogna capire quali forze sociali e quali mosse strategiche ci sono dietro, se no ci illuderemo che “cambiando cultura” si risolverà tutto. Ma sono i movimenti del capitale (dei capitali) quelli che contano. E' il capitale nella sua forma cognitiva e postfordista (i capitali cognitivi e...) che ha bisogno di un'università che formi della forza lavoro flessibile, preparata, esperta nelle nuove tecnologie e soprattutto pronta alla totale precarizzazione e alla totale subordinazione al processo di valorizzazione gestito da lui (da loro, dai capitali: dai padroni del software e del petrolio, delle materie prime alimentari e dell'intrattenimento). L’università è più importante che mai, per i suddetti signori, perché è uno dei posti in cui l’immaginario e il linguaggio testano le proprie forze, preparano i loro strumenti più sofisticati, si formano un’autocoscienza e una scatola di attrezzi. Ma oggi l’immaginario e il linguaggio sono diventati forze direttamente produttrici, valorizzabili, perché con l’aiuto delle tecnologie informatiche dall’immaginario e dal linguaggio si estrae direttamente plusvalore (cioè non solo “si fanno soldi”, ma si fa marciare *tutta* la macchina capitalista), e quindi non si possono lasciare alla mercé di un Canevacci qualsiasi: l’università deve diventare una delle articolazioni in cui marcia il processo di valorizzazione del capitale immateriale e la subordinazione sociale, politica e culturale delle moltitudini precarizzate. In modo che tutti siano contenti di lavorare per il capitale globale illudendosi di essere parte del “processo creativo”, di essere una “élite culturale”. Bella élite: partite iva che non riescono ad arrivare alla fine del mese, tessere del mosaico kitsch che è la cultura contemporanea, sfruttati che si credono imprenditori di se stessi. Il crollo della new economy non ha insegnato nulla a nessuno, e sulle sue ceneri ormai imperversa il Web 2.0.

Mi pare strano che Monico si stupisca che in Naba osteggino i suoi progetti di rinnovamento culturale. Lui sa benissimo chi è il padrone della Naba, e a chi deve rispondere la sua direzione: è un pezzo di una delle famiglie più potenti fra i costruttori di Milano, che sta affilando le armi per divorare milardi di euro dalla speculazione sulle aree interessate dal prossimo Expo 20015, con la mediazione di quel tristo figuro che è la sindaca Moratti, messa lì (con la benedizione delle masse milanesi beote) per gestire a livello politico gli interessi di palazzinari e petrolieri. Comunque, università private o pubbliche, poco importa: guardate com’è ridotto lo IUAV di Venezia, macchina da guerra per fare iscrivere studenti con il miraggio di lavorare “con i grandi architetti del mondo”. Buffonate.

Ma l’essenziale è che, se anche per assurdo passassero i più bei progetti di “rinnovamento culturale”, le cose non cambierebbero di una virgola. La macchina della cultura contemporanea è ormai così raffinata da tollerare anche l’esistenza di prospettive “critiche”, anche un certo grado di  di contestazione interna. Mi pare che l’insegnamento di Antropologia culturale a Roma, alla fine l’abbiano poi reintrodotto. Opporsi a questo progetto con iniziative ininfluenti (l’ennesimo convegno di studi) o con strumenti morti mi pare che sia autolesionista – o addirittura, anche a dispetto delle intenzioni dei promotori, che rafforzi il progetto stesso. Il cosiddetto “pensiero critico” era legato alle condizioni della società borghese classica, che lasciava comunque alla cultura uno spazio autonomo, sottratto alla logica direttamente economica: esso era legato alla possibilità di lasciare tra sé e l’oggetto della conoscenza una certa distanza. Col capitalismo cognitivo, con la fine della “distanza critica”, quel pensiero non c’è più. Esso è morto col Novecento e con le sue ideologie, liberalismo, comunismo, socialismo, pensiero sociale cristiano e chi più ne ha più ne metta. E' morto con la democrazia - vecchio mito anch'esso finito nel cestino, visto che con quel nome non si intende più che un rito elettorale totalmente vuoto e incomprensibile ai più. 

E allora? Voglio dire che l’elaborazione culturale non serve a niente? Certo che no. Certo che ci vogliono strumenti di analisi e di comprensione di quello che ci succede intorno. Certo. Questo cercano di fare quelli di noi che insegnano nelle università, per quello che vale e per quello che conta. Ma ci vogliono anche esperienze di frequentazione dei mondi virtuali, Second Life e il Web 2.0 e compagnia cantante. Anche se sappiamo, anzi tanto più in quanto sappiamo, che tutti questi sono ambiti e strumenti del capitale digitale per farci lavorare gratis (You tube e Myspace e Facebook e tutto il resto). 

Ma tutto questo, se vuole avere un po’ di senso, va collegato con un’esperienza di demistificazione e di corrosione alla base del mito dell’autoptomozione e dell’autoimprenditorialità, con una “pratica”, più che una “critica” dell’immaginario digitale. E soprattutto con le pratiche di alternativa e di lotta di quelli che per primi pagano sulla propria pelle le conseguenze di tutto questo ambaradan, e cioè gli studenti, che sono forza-lavoro qualificata in formazione, e che proprio nel loro periodo di formazione imparano ad accettare come “naturale” la precarietà, l’autoemarginazione, la miseria materiale e intellettuale. Lo|bo ha già ricordato qui le lotte dello scorso anno accademico degli studenti delle accademie (a cui non ho visto partecipare, a Milano, alcuno studente della Naba
).  Le accademie, come abbiamo letto, hanno problemi particolari rispetto a quelli delle università, e forse gli obbiettivi di quelle lotte non erano tra i più chiari, a volte erano addirittura regressivi: ma è da qui che bisogna partire, e dai tentativi di organizzazione dei lavoratori precari. E quanto all’arte, lasciamo perdere. Il mainstream dell’arte contemporanea si divide tra un filone decorativista (Vanessa Beecroft), uno ironico-dandy (Cattelan), uno catastrofista-menefreghista (Damien Hirst). Tanto basti per la fiducia che l’arte possa creare una nuova coscienza ecologico-planetaria. L’arte digitale non sta tanto meglio. Però il Critical Art Ensemble c’è e (se non lo mettono in galera) fa dei lavori egregi. E qui da noi c’è Serpica Naro, Molleindustria, qualche altra esperienza così. Poca roba, va bene, ma si comincia da qui. Più che dal rinnovamento dell’Università. Scusate la lunghezza,

gadda




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