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<div><b>Ghetto di Rignano, parte II: dopo le morti, le
menzogne<br>
</b><br>
Lo sgombero del Ghetto di Rignano si è concluso. Ieri le
ruspe hanno demolito le ultime baracche rimaste in piedi
dopo gli incendi. Sono arrivati, immediati, i tweet di
Michele Emiliano e di altri rappresentanti istituzionali:
lo sgombero è un successo, tutto è andato secondo i piani.
Evidentemente erano messi in conto anche i morti, e
comunque se la sono cercata, avendo rifiutato di andarsene
quando gli era stato ordinato…<br>
<br>
Nel frattempo emergono le dichiarazioni ufficiali della
Questura e della Regione rispetto a questioni che erano
ancora poco chiare negli scorsi giorni. La stessa Regione
infatti, sin dal 1 Marzo, sta dichiarando che le strutture
individuate possono ospitare tutti gli abitanti del
Ghetto, che giornali e cattivi informatori (tra cui noi)
sovrastimavano le presenze. Ad oggi, i dati della Questura
dichiarano ufficialmente che sono state spostate 340
persone nelle strutture dell’Agro di San Severo. A queste
si aggiungono le 60 già spostate la scorsa settimana verso
Casa Sankara e che ora si trovano all’Arena, e le circa
100/120 persone che ancora sostano nell’area del Ghetto.
Chi è rimasto nelle campagne intorno al Ghetto, più di 100
persone, perché ha rifiutato il trasferimento nelle due
strutture per le contraddizioni appena citate, dorme per
ora o in furgone o in macchina, o ammassato nei casolari
in pietra rimasti in piedi dopo lo sgombero. In totale,
quindi, più di 500 persone. Come prevedibile, nulla è
stato fatto per le donne, di cui nessuna è stata
trasferita nelle strutture della Regione e che nessuna
possibilità avranno di mantenere le loro forme di
sostentamento al di fuori del ghetto.<br>
<br>
E’ evidente, anche agli occhi della stessa Regione Puglia,
che la capienza delle strutture individuate non è in alcun
modo sufficiente. Infatti, nella struttura sita sulla S.S.
16, ridenominata spudoratamente “Casa Sankara”, al momento
alloggiano 180 persone. Per poterle ospitare tutte è stata
allestita una piccola tendopoli da 12 tende (nonostante la
stessa Regione negli scorsi mesi avesse sempre
assolutamente escluso di poter ricorrere a questa
soluzione). Chi in questo momento sta vivendo lì lamenta
in maniera decisa il fatto di essere lontano da tutto e da
tutti (infatti la struttura dista circa 10 km da San
Severo, il più vicino centro abitato). I gestori di Casa
Sankara inoltre non fanno entrare giornalisti, visitatori,
sindacalisti, dichiarando di aver paura che si possa
fomentare il malessere dei lavoratori lì presenti. Dicono,
infatti, che già ci sono state delle piccole rivolte, con
piccoli sabotaggi alle tende. Più che fomentare il
malessere, la paura è forse quella di documentare il
dissenso.<br>
<br>
All’Arena, l’altra struttura nell’agro di San Severo
adibita ad alloggio per gli sfollati, sono presenti più di
100 persone (in un edificio per cui il precedente progetto
che lo utilizzava denunciava, arrivati a 30 ospiti, il
congestionamento della struttura). Al momento qui arrivano
solo pasti freddi dalla protezione civile, manca l’acqua
calda, e si dorme in più di 10 persone a stanza. Inoltre
qui le persone non riescono ad andare a lavorare poiché
prive di trasporto per le campagne. La loro volontà,
ribadiscono, non è quella dell’ospitalità caritatevole: la
loro presenza è dovuta a necessità economiche, e quindi
all’esigenza di lavorare. A San Severo, inoltre, la
preoccupazione forte è lo scoppio di conflitti sociali
dovuti allo spostamento di centinaia di persone
‘immigrate’ nel centro del paese, dopo i molteplici
rifiuti avanzati negli anni dalle istituzioni sanseveresi
contro la costruzione di una tendopoli in città.<br>
<br>
La fotografia che possiamo restituire della situazione,
immediatamente dopo lo sgombero, ci dice intanto
dell’attivazione di un vero e proprio business
dell’accoglienza. L’esperimento è quindi chiaro, esportare
il sistema dell’accoglienza (enorme coacervo di
contraddizioni e fonte di lauti profitti) dai richiedenti
asilo anche a chi oramai è da anni sul territorio o
comunque da quel sistema è stato espulso. Con lo stesso
investimento economico in atto per accogliere gli sfollati
del Ghetto, si sarebbe potuto far fronte immediatamente ai
temi della casa e del trasporto che i lavoratori
rivendicano da anni. Il sistema del caporalato, inoltre,
utilizzato come giustificazione principale nello sgombero
coatto e immediato del Ghetto, rimane intatto come forma
di intermediazione attraverso la quale le persone
continuano a lavorare. Anche gli ospiti di Casa Sankara
continuano a servirsi dei furgoni dei caporali che li
passano a prendere all’esterno della struttura per poter
andare a lavorare. Va detto inoltre che, a circa un anno
dalla maxi-operazione della DDA di Bari, che portò al
sequestro con facoltà d’uso dell’area su cui sorgeva il
ghetto (facoltà d’uso poi revocata alla vigilia dello
sgombero), nessun elemento è emerso che possa far pensare
a risultati concreti in termini di indagini anti-mafia. A
quanto ci risulta, a nessuno dei lavoratori o delle
lavoratrici è stato chiesto di fornire elementi utili a
far emergere i responsabili del meccanismo di sfruttamento
del lavoro (agricolo e sessuale) – dove sono le prove che
‘al ghetto c’è la mafia’? Chi sono i responsabili? Ad
oggi, gli unici risultati dell’operazione anti-mafia,
oltre allo sgombero, sembrano essere stati le decine di
decreti di espulsione emessi da Questura e Prefettura
contro quei lavoratori che subiscono lo sfruttamento. Si
tratta, come spesso accade, di un discorso, quello sulla
‘mafia’, utile ad attivare la macchina dell’emergenza, una
macchina che non solo permette di generare profitti (chi è
la mafia, qui?!) ma anche di distribuire premi e
medagliette ai politicanti di turno, come nel caso di
Michele Emiliano.<br>
<br>
Evidentemente, queste menzogne e queste verità manipolate
sono utili a coprire gli avvenimenti di questi giorni. Lo
sgombero del Ghetto è stato condotto calpestando la
dignità delle persone che ospitava, esclusivamente a fini
mediatici e senza una reale volontà di risolvere
complessivamente i problemi che attanagliano chi lavora in
agricoltura e nella cura dei lavoratori agricoli. La
soluzione abitativa per tutti non è stata trovata, motivo
per il quale vengono allestite in fretta e furia tendopoli
e soluzioni tampone. Si combatte il cosiddetto sistema del
caporalato senza minimamente intervenire sull’intera
organizzazione della filiera produttiva, unico strumento
reale per poter garantire casa, contratti e trasporti, e
superare realmente qualunque forma di intermediazione tra
produttore e lavoratore.<br>
<br>
Vogliamo soluzioni reali e immediate. Nessuna speculazione
sulla pelle dei lavoratori!<br>
Non tollereremo altri sgomberi! Lotteremo ancora per
combattere questa situazione!<br>
<br>
Vogliamo casa, trasporti, documenti e contratti!<br>
<br>
Comitato Lavoratori delle campagne</div>
<div>Rete Campagne in Lotta<br>
<br>
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