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<DIV style="FONT-SIZE: 12pt; FONT-FAMILY: 'Calibri'; COLOR: #000000">
<P><FONT face="Times New Roman">di Daniela Padoan</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman"></FONT> </P>
<P><FONT face="Times New Roman">Brutti tempi, quelli in cui il <STRONG>diritto
d’espressione e di satira</STRONG>, per quanto estrema, vale per <EM>Charlie
Hebdo</EM> ma non per gli operai che manifestano in modo pacifico fuori dai
cancelli della fabbrica che li ha messi in cassa integrazione. Brutti tempi
davvero, se l’espressione della protesta deve essere pagata con un licenziamento
notificato dall’azienda e considerato legittimo dal giudice del lavoro, ovvero
dalla figura istituzionale chiamata a giudicare mettendo su pari piatti della
bilancia i potenti e gli inermi: da un lato – in questo caso – la
<STRONG>Fiat</STRONG>, dall’altro cinque operai ex cassintegrati che cercavano,
<STRONG>nel silenzio dei media e nell’indifferenza generale</STRONG>, di urlare
il proprio dolore per il suicidio di due compagni di cassa integrazione a zero
ore.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">E’ una storia che inizia nel 2008, quando – dopo
la <STRONG>ristrutturazione dello stabilimento automobilistico di
Pomigliano</STRONG> – la Fiat creò un centro logistico con sede a Nola dove
trasferì 316 lavoratori scelti in gran parte fra gli attivisti più
sindacalizzati. Il centro, mai operativo, si rivelò una sorta di deposito per
gli allontanati <EM>sine die</EM> dall’attività produttiva, tanto che gli operai
lo ribattezzarono “reparto confino”.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Da allora si registrarono tre suicidi, almeno
sei tentativi di suicidio e numerosi atti autolesivi. Il 5 febbraio 2014,
<STRONG>Giuseppe De Crescenzo</STRONG>, 43 anni, separato e padre di due figli,
in cassa integrazione da 5 anni, venne trovato impiccato nella sua abitazione di
Afragola. Poco più di tre mesi dopo, il 20 maggio 2014, l’attivista
cassintegrata <STRONG>Maria Baratto</STRONG> si tolse la vita squarciandosi il
ventre a colpi di coltello. Il giorno dei funerali di Maria Baratto, </FONT><A
style='href: "http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/04/fiat-tribunale-lavoro-niente-reintegro-per-operai-che-inscenarono-suicidio-marchionne/1749177/"'
target=_blank><FONT face="Times New Roman">i compagni di “confino” si distesero
per terra davanti ai cancelli, le maglie chiazzate di vernice rossa sul
ventre</FONT></A><FONT face="Times New Roman">. Una rappresentazione cruda, che
intendeva mostrare al mondo la realtà dei fatti.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Pochi giorni dopo, il 5 giugno 2014, le stesse
persone si raccolsero davanti ai centro logistico di Nola e alla sede Rai di
Napoli portando un fantoccio in pantaloni neri e maglioncino rosa che penzolava
da un cappio fissato a una rudimentale struttura di legno. Sul volto del
fantoccio avevano appiccicato la fotografia dell’amministratore delegato della
Fiat, sul maglioncino un “messaggio d’addio” con una <STRONG>richiesta di
perdono</STRONG> per le politiche aziendali e la preghiera di reintegrare nello
stabilimento di Pomigliano tutti i 316 deportati.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Come la rappresentazione di pochi giorni prima
aveva riprodotto il suicidio di Maria Baratto, questa metteva in scena
l’impiccagione di Giuseppe De Crescenzo, di cui quel giorno ricorreva il quarto
mese. Eppure, due settimane dopo la protesta, i cinque si videro recapitare una
<STRONG>lettera di licenziamento</STRONG> con l’accusa di aver messo in atto “un
intollerabile incitamento alla violenza”, oltre che aver provocato “gravissimo
nocumento morale all’azienda e al suo vertice societario”, tale “da ledere
irreversibilmente il vincolo di fiducia sotteso al rapporto di lavoro”. I
licenziati fecero ricorso, argomentando che nel reparto logistico la percentuale
di suicidi registrati nel 2014 (2 su 316) era 94 volte superiore alla media
nazionale (1 ogni 15mila abitanti), ma dopo circa un anno, il 28 maggio 2015, il
tribunale di Nola dichiarò legittimi i licenziamenti. Gli operai chiesero un
riesame della sentenza ma l’8 aprile 2016 il Tribunale di Nola confermò il primo
giudizio.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">La lettura delle sentenze procura la strana
sensazione della scomparsa dell’oggetto stesso della protesta: i morti non
compaiono, se non per generiche parole di <EM>pietas</EM>, non si rileva alcun
nesso tra suicidio e politiche del lavoro, e dietro un linguaggio tecnico e
apparentemente neutrale, si nomina come “patibolo” la struttura cui viene appeso
il fantoccio. Ecco che, con un rovesciamento simbolico, una protesta
comprensibilissima nel contesto in cui matura – per quanto esasperata nelle
forme – diventa <STRONG>motivo di licenziamento</STRONG>, con il risultato
paradossale di lasciare senza reddito altri cinque lavoratori cassintegrati, uno
dei quali da più di un mese non ha più una casa.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Nell’appello conto i licenziamenti d’opinione,
lanciato dagli operai di Nola e sostenuto da un gruppo di intellettuali e
artisti, tra cui <STRONG>Moni Ovadia</STRONG>, <STRONG>Erri De Luca</STRONG> e
<STRONG>Ascanio Celestini</STRONG>, si legge che “le recenti riforme del mondo
del lavoro hanno modificato le relazioni tra lavoratori e datori di
lavoro,<STRONG> indebolendo le tutele dei primi a favore dei secondi</STRONG>.
Allo stesso modo è cambiato radicalmente il diritto del lavoro. Con esiti che
rischiano di incidere sul più generale godimento dei diritti di espressione e di
critica sanciti dall’articolo 21 della Costituzione, e di annullare le tutele di
quell’autonomia e libertà di critica che sono i prerequisiti di qualsiasi
relazione sindacale”.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Il <STRONG>20 settembre</STRONG> si terrà presso
la Corte d’Appello di Napoli l’udienza decisiva, dopo la quale rimarrà solo la
Cassazione. Pochi giorni prima, la mattina del 16 settembre, a Napoli si terrà
una tavola rotonda per non lasciar soli i licenziati cassintegrati di Nola. Ci
saranno molti dei firmatari dell’appello, tra cui figurano il vicepresidente
emerito della Corte costituzionale <STRONG>Paolo Maddalena</STRONG>, il sindaco
di Napoli <STRONG>Luigi De Magistris</STRONG>, il filologo <STRONG>Luciano
Canfora</STRONG>, la scrittrice <STRONG>Valeria Parrella</STRONG>, il sociologo
<STRONG>Marco Revelli</STRONG>, l’antropologa <STRONG>Annamaria Rivera</STRONG>,
il parroco di San Felice di Pomigliano <STRONG>don Giuseppe
Gambardella</STRONG>. La loro lotta è la nostra, contro la progressiva erosione
della dignità del lavoro, della solidarietà, della libertà d’espressione. Tre
concetti che la nostra Costituzione reputa principali.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Per maggiori informazioni e <STRONG>firmare
l’appello</STRONG>, questo è il sito </FONT><A
style='href: "https://nolicenziamentiopinione.wordpress.com/"'
target=_blank><FONT
face="Times New Roman">nolicenziamentiopinione</FONT></A><FONT
face="Times New Roman">. </FONT></P></DIV></DIV>
<br /><br />
<hr style='border:none; color:#909090; background-color:#B0B0B0; height: 1px; width: 99%;' />
<table style='border-collapse:collapse;border:none;'>
<tr>
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