<div dir="ltr"><br><div class="gmail_quote"><br><br><div dir="ltr"><a href="http://heval.altervista.org/un-2-giugno-di-pace-camminando-con-dino-frisullo/" target="_blank">http://heval.altervista.org/un-2-giugno-di-pace-camminando-con-dino-frisullo/</a><br><br>
<h1>Un 2 giugno di Pace camminando con Dino Frisullo</h1>
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<span>Scritto il </span><a href="http://heval.altervista.org/un-2-giugno-di-pace-camminando-con-dino-frisullo/" title="3:29 pm" rel="bookmark" target="_blank">maggio 30, 2016</a><span> <span> by </span> <span><a href="http://heval.altervista.org/author/heval/" title="Visualizza tutti gli articoli per heval" rel="author" target="_blank">heval</a></span></span> </div>
<div><br></div><p style="text-align:justify"><i>Portare al centro della
politica gli ultimi, gli emarginati, gli impoveriti, i lavoratori, chi
lotta contro le ingiustizie, le mafie, la disumanità e la barbarie
delle guerre. Una “Repubblica democratica” non può mai essere
rappresentata da una parata militare</i></p>
<p><i> </i></p>
<p style="text-align:justify">L’Italia è una “Repubblica democratica”
recita l’articolo 1 della Costituzione Italiana. In democrazia (demos,
popolo; kratos, potere) il popolo dovrebbe essere sovrano, esercitando
il suo “potere” con strade civili e nonviolente, ripudiando decisamente
la legge del più forte e della sopraffazione violenta. La forza militare
è l’esatto opposto, il contrario più totale della democrazia. Essa è
depositaria della violenza più bruta, che cancella ogni ratio e dove
prevale solo l’arroganza e il ferro. L’esercito è sempre stato in ogni
dittatura elemento preponderante e decisivo per opprimere e imporre la
tirannia. Una democrazia non può quindi mai e poi mai esaltare la
violenza delle armi, la potenza del proprio apparato bellico. Essa
dovrebbe invece addirittura averne vergogna, in quanto la “necessità”
delle armi è una sua sconfitta, una sua resa. Esse sono la massima
esaltazione della “legge” del più forte, dell’arroganza bellica, della
disumanità. Una parata militarista del 2 giugno non potrà mai
“festeggiare” una “Repubblica democratica”.</p>
<p style="text-align:justify"><a href="http://heval.altervista.org/wp-content/uploads/2016/05/DinoFrisulloISicilianiGiovaniGiugno2013.jpg" target="_blank"><img src="http://heval.altervista.org/wp-content/uploads/2016/05/DinoFrisulloISicilianiGiovaniGiugno2013-320x453.jpg" alt="DinoFrisulloISicilianiGiovaniGiugno2013" height="491" width="347"></a></p>
<p style="text-align:justify">3 giorni dopo la “Festa della
Repubblica” ci sarà una nuova tornata di elezioni amministrative. Quello
che dovrebbe essere uno dei momenti più alti del vivere e agire
democratico ma che, troppo spesso, in una “politica” ostaggio di giochi
di Potere, lobby, interessi più o meno criminali, sovversivismo delle
elite dominanti, è invece la rappresentazione del peggio possibile. Ma
il 5 giugno è anche il giorno dell’anniversario della nascita e della
morte di Dino Frisullo. Scrisse Riccardo Orioles dopo la sua morte che
Dino appartiene alla storia più nobile e permanente della sinistra, di
coloro che erano “raramente a proprio agio nei palazzi” perché il loro
“ambiente naturale era la vita dei poveri, la strada”. Scrisse che “<i>per
riprendere il filo della lettura del mondo, c’è un solo modo: mettersi
dalla parte delle vittime. Guardare il mondo, anche il nostro, con i
loro occhi. Con gli occhi dei profughi, dei discriminati, degli
incarcerati, degli affamati. Ma questo non è possibile se, anche per un
solo attimo, non si condivide una parte della loro vita</i>”. Davanti a
coloro che si definiscono “di sinistra e democratici” (o anche
semplicemente democratici), ma poi accettano di essere amici di
imprenditori senza scrupoli, chiudono gli occhi su speculazioni e
devastazioni del territorio, proclamano alti impegni ma poi balbettano o
si distraggono se chi gli garantisce poltrone e prebende così ordina,
di fronte a “democrazie” che esportano armi, finanziamenti, bombe verso
dittature feroci e contro altri popoli, che erige muri e lager, che
semina odio e guerre tra ultimi e penultimi, che cancella diritti e
dignità delle classi meno abbienti, il filo della lettura di Dino è
l’unico da riprendere in mano, è l’unica strada per chi non si arrende
allo “stato di cose presenti”, alle oligarchie dei Potenti e alla
erosione costante della democrazia.</p>
<p style="text-align:justify">Oltre vent’anni fa Dino già capì il
carico di umanità che stava bussando alle porte dell’Europa. Umanità di
culture, popoli straordinari. Umanità calpestata, incatenata, oppressa
da guerre e non solo. Guerre realizzate con armi prodotte in Occidente,
in nome degli interessi di signori della guerra che siedono nelle grandi
assise mondiali e che in giacca e cravatta si presentano lindi e puliti
sulla ribalta mediatica occidentale. Puliti perché altri si sporcano le
mani di sangue per i loro interessi.</p>
<p style="text-align:justify">
</p><p style="text-align:justify"><a href="http://heval.altervista.org/wp-content/uploads/2016/05/dinofrisullotelefoni.jpg" target="_blank"><img src="http://heval.altervista.org/wp-content/uploads/2016/05/dinofrisullotelefoni-320x202.jpg" alt="dinofrisullotelefoni" height="271" width="430"></a></p>
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</p><p style="text-align:justify">
</p><p style="text-align:justify">
</p><p style="text-align:justify">La storia di Dino è la storia più
nobile dell’umanità, di chi in ogni epoca e in ogni latitudine ha
lottato nel nome degli ideali più nobili ed autentici, indignati,
quotidianamente, senza mai indietreggiare, senza mai dire “non mi
interessa”, senza mai lavarsi le mani ma anzi pronti a sporcarsele se
fosse possibile anche 25 ore al giorno. Le lotte di Dino sono antiche e
profonde. Sono le stesse lotte degli scioperi delle mondine
dell’Ottocento, dei senzatetto nei latifondi, di chi si è opposto alla
bestia nazifascista, degli operai nei primi decenni della rivoluzione
del capitalismo industriale. Sono le lotte di chi ha costruito e
percorsi strade degli ideali e dei valori democratici più alti, quelli
che una “Repubblica democratica” dovrebbe avere al centro e da cui
farsi, con totale esclusiva, animarsi.</p>
<p style="text-align:justify">E allora basta con cerimonie militariste
e retoriche intrise di un nazionalismo tutt’altro che democratico e
aperto al mondo. Il 2 giugno dedichiamolo a Dino, portiamo al centro
della politica gli ultimi, gli emarginati, gli impoveriti, i lavoratori,
chi lotta contro le ingiustizie, le mafie, la disumanità e la barbarie
delle guerre.</p>
<p style="text-align:justify">In ogni volto di kurdo che continua a
lottare per l’affermazione della propria esistenza, in ogni migrante che
giunge sulle nostre coste e viene rinchiuso nei CIE, in ogni famiglia
rimasta senza casa e prospettive nel futuro, potremo scorgere gli occhi
malinconici e appassionati di Dino Frisullo, nei loro passi i suoi.
Mille Alì sognano ancora l’Europa, innumerevoli Leyla dagli occhi “più
profondi del mare” vivono ancora nel Kurdistan in attesa del giorno in
cui avranno una patria e saranno liberi, sotto il cielo di Zako, nei
prigionieri assetati di vita nel deserto del Neghev, nel senza casa che
disperatamente vuol sperare nel futuro, nei lavoratori e in tutti coloro
che non si arrendono alla cancellazione dei propri diritti e della
propria dignità.</p>
<p style="text-align:justify">La democrazia la difendono coloro che,
da Idomeni a Ventimiglia, non si arrendono al respingimento e alla
disumanità delle “politiche europee” contro i migranti. Hanno dato un
alto esempio democratico i bengalesi che a Palermo si sono ribellati
alle mafie. Quelle mafie che si arricchiscono anche col caporalato,
presente in tante regioni italiane e alimentato anche da chi lucra sulla
disperazione di chi cerca di fuggire da guerre, miseria, dagli effetti
più nefasti della globalizzazione capitalista. E anche qua Dino ci ha
preceduto e ha alzato forte la voce della denuncia prima di moltissimi
altri. Un esempio su tutti: Narcomafie del settembre 1997, quando Dino
denunciò, documentando e fornendo dettagli, la “holding degli
schiavisti”. Sono dinamiche e fatti che abbiamo poi rivisto negli anni
denunciati da “Schiavi” e “Mare Nostrum” di Stefano Mencherini, dai
tanti dossier sul caporalato che negli ultimi anni associazioni,
movimenti e giornalisti con la schiena dritta hanno realizzato. E’ di
poco più di un mese fa l’ultima denuncia di Stefano Mencherini su Cesare
Lodeserto (<a href="http://www.stefanomencherini.org/ita/index.php?option=com_content&task=view&id=164&Itemid=1" target="_blank">http://www.stefanomencherini.org/ita/index.php?option=com_content&task=view&id=164&Itemid=1</a>
), è passato un anno (e 4 giorni) dallo sgombero con la forza a Milano
di una donna incinta di 7 mesi, costretta poi a dover ricorrere
urgentemente ad un ambulanza perché si era sentita male mentre la
buttavano fuori di casa, nel novembre scorso analoga sorte toccò anche
ad un bambino gravemente malato a Bologna, sono cronaca quotidiana gli
omicidi di donne che non hanno accettato il dominio e il possesso di un
“maschio”, intriso di quel barbaro e ripugnante maschilismo per il quale
le donne devono solo servire i loro desideri e valgono solo corpo.
Finché accadranno ancora questi fatti ci sarà solo da lottare e
impegnarsi per riparare e migliorare la democrazia e il mondo che ci
circonda. Non c’è altra strada. Altro che parate militare e cerimonie
piene di retorica a buon mercato …</p><span class="HOEnZb"><font color="#888888">
<p><i> </i><b>Alessio Di Florio</b></p><br></font></span></div>
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