<HTML><HEAD></HEAD>
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<DIV style="FONT-SIZE: 12pt; FONT-FAMILY: 'Calibri'; COLOR: #000000">
<DIV class=post-meta-top><FONT
face="Times New Roman"></FONT> </DIV></HEADER>
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<DIV class="post-content single-post-content"><FIGURE id=attachment_2004
class="wp-caption alignnone" style="WIDTH: 800px"><A
style='href: "http://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2016/04/call_monster_def.jpg"'><IMG
class="size-full wp-image-2004" alt="(disegno di gaia inserviente)"
src="http://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2016/04/call_monster_def.jpg"
width=800 height=600></A><FIGCAPTION class=wp-caption-text><FONT
face="Times New Roman">(disegno di gaia inserviente)</FIGCAPTION></FIGURE>
</FONT>
<P align=justify><FONT face="Times New Roman"><STRONG>I sociologi li chiamano
cattivi lavori.</STRONG> Nelle strade di una delle prime città italiane per
disoccupazione ed emigrazione c’è anche chi è disposto a difenderli. Sono più di
cinquecento e marciano verso Palazzo San Giacomo, la sede del Comune. A
sventolare le bandiere dei principali sindacati confederali sono gli operatori
<EM>inbound</EM> e <EM>outbound</EM> dei call center Gepin e AlmavivA Contact di
Napoli. L’inbound, nel gergo tecnico, è l’operatore che riceve le chiamate,
l’addetto H24 all’assistenza dei clienti. L’outbound, invece, è quello che ci
contatta per le offerte commerciali e a cui, nel novanta per cento dei casi,
chiudiamo gentilmente il telefono in faccia.</FONT></P>
<P align=justify><FONT face="Times New Roman"><STRONG>Gli operatori dei call
center</STRONG> lavorano alle dipendenze di aziende (outsourcee) specializzate
nella fornitura di servizi a diverse aziende committenti, pubbliche e private
(outsourcer): Vodafone, Enel, Eni, Inps, Wind, Telecom, Alitalia, Poste
Italiane, Ferrovie dello Stato e tante altre. La loro attività ha come fine
quello di creare utili sia per l’azienda committente che per l’azienda
appaltatrice.</FONT></P>
<P align=justify><FONT face="Times New Roman"><STRONG>AlmavivA Contact è una
delle dodici società</STRONG> del Gruppo AlmavivA e rappresenta il principale
outsourcee italiano di servizi di Customer Relationship Management. Impiega
circa ottomila lavoratori distribuiti tra le sedi di Milano, Palermo, Roma,
Catania, Napoli e altre città italiane. La settimana scorsa l’azienda ha
annunciato quattrocento esuberi nella sede di Napoli, mille e seicentosettanta
in quella di Palermo e novecentoventi in quella romana.</FONT></P>
<P align=justify><FONT face="Times New Roman"><STRONG>A Napoli ci sono circa
ottocentocinquanta lavoratori dipendenti,</STRONG> la maggioranza con un
contratto part time a tempo indeterminato, e un centinaio di lavoratori a
progetto assunti alcuni mesi fa. Alla notizia dei licenziamenti i rappresentanti
sindacali sono andati tra i lavoratori esortandoli a interrompere la prestazione
di lavoro. «Ci siamo sentiti presi in giro perché AlmavivA Contact, nel
comunicare questa decisione, non ha fornito motivazioni di tipo strutturale. Il
problema di AlmavivA non è legato, come si crede, alla carenza di commesse, ma
solo al profitto, che dovrebbe passare dall’attuale 9% al 20% richiesto
dall’azienda».</FONT></P>
<P align=justify><FONT face="Times New Roman"><STRONG>Giovanni ha
trent’anni.</STRONG> Lavora per AlmavivA da quando ne aveva venti. È membro del
fronte di opposizione interno al sindacato Cgil. Con altri compagni si è opposto
all’accordo sulla produttività proposto da AlmavivA nelle ultime convocazioni
nazionali, che prevedeva la possibilità per l’azienda di valutare la prestazione
individuale di ogni singolo dipendente. «Loro sostengono che devono risolvere il
problema del bilancio. Per risolverlo si può agire o sul costo del lavoro o
sulla produttività. Noi ci siamo opposti perché non volevamo incrementare
ulteriormente il controllo sui lavoratori. L’articolo 4 dello statuto dei
lavoratori vieta il controllo a distanza. Poi c’è un articolo del contratto
collettivo nazionale secondo cui i giudizi sul grado di soddisfazione del
servizio, che vengono richiesti al cliente alla fine di ogni conversazione,
devono confluire in un database e possono essere utilizzati solo per una
valutazione collettiva della prestazione di lavoro. Il datore di lavoro ha
quindi a disposizione solo i dati del team e mai quelli del singolo lavoratore.
AlmavivA vorrebbe, invece, introdurre la possibilità di ascoltare le chiamate
dei singoli operatori, sia live sia in differita, e utilizzare questi dati per
una valutazione quantitativa (tempo di conversazione, tempo di non
conversazione, ecc.) e qualitativa (disponibilità dell’operatore, comportamento,
chiarezza espositiva, ecc.) della prestazione di lavoro».</FONT></P>
<P align=justify><FONT face="Times New Roman"><STRONG>Tra i lavoratori aleggia
il sospetto</STRONG> che l’azienda voglia aumentare i margini di profitto
liberandosi di loro e assumendo nuovi addetti beneficiando dei vantaggi fiscali
previsti dagli ultimi interventi legislativi in materia di riforma del mercato
del lavoro; un insieme di provvedimenti che, prevedendo sgravi contributivi per
aziende che assumono con contratti a tempo indeterminato, ha generato una
concorrenza sul costo del lavoro tra le imprese che hanno assunto lavoratori
“prima” e “dopo” l’emanazione del Jobs Act. La condizione di vantaggio
competitivo di queste ultime è stata poi ulteriormente rafforzata dallo
spostamento dell’asse delle tutele dal lavoratore al datore di lavoro tramite
l’eliminazione dell’articolo 18.</FONT></P>
<P align=justify><FONT face="Times New Roman"><STRONG>«Per molti di noi il call
center</STRONG> – racconta Gigi – è iniziato come un lavoro transitorio e poi è
diventato il lavoro della nostra vita senza che ce ne accorgessimo. Quando sono
entrato ero molto giovane, frequentavo l’università e fui contattato a casa per
un colloquio. L’azienda mi assunse per tre mesi. Era il 2006, una fase di
espansione del settore. AlmavivA era un’azienda emergente. Nel 2008 fui assunto
con un contratto part time a tempo determinato svolgendo la mia mansione per il
servizio clienti della Vodafone. Dopo un anno decisi di passare al turno
notturno. Adesso sono sette anni che faccio assistenza notturna ai clienti della
Vodafone. Inizio alle 23:00 e finisco alle 7:00 del mattino. Siamo divisi in
piccole squadre, ognuna delle quali svolge una mansione diversa. Il team dei
lavoratori notturni è come una grande famiglia. Questo perché c’è molto
<EM>waiting</EM>: il termine tecnico utilizzato per indicare le fasce temporali
della notte in cui si è in cuffia ma non arrivano chiamate».</FONT></P>
<P align=justify><FONT face="Times New Roman"><STRONG>Al bar di piazza
Municipio</STRONG> incontro Michela. Beve il caffè in attesa che il corteo
riprenda la marcia in direzione di Palazzo Santa Lucia, la sede della Regione.
Indossa una delle cinquecento magliette nere con la scritta arancione “Almaviva
non si tocca”. «Ho cominciato facendo l’outbound per Infostrada con un </FONT><A
style='href: "http://co.co.co/"'><FONT
face="Times New Roman">Co.co.co</FONT></A><FONT face="Times New Roman">. e
riuscivo a guadagnare anche seicento euro al mese. Il lavorò durò un anno. Dopo
un po’, nel 2005, cominciai a lavorare a progetto e venivo pagata in base ai
contratti che facevo. Fu un periodo brutto perché passai da seicento a circa
duecento euro al mese. Era frustrante perché se non riuscivi a fare contratti
non guadagnavi nulla. Nel 2008 fui assunta da un’agenzia di lavoro interinale
che stipulò un contratto di somministrazione di tre anni con AlmavivA Contact.
Nel 2011 AlmavivA decise di assumere un numero consistente di lavoratori
interinali direttamente alle sue dipendenze e, fortunatamente, rientrai anche io
in queste assunzioni. Tutta la mia storia lavorativa, però, dal 2002 al 2011, è
andata persa. Nel senso che se avessi lavorato per otto anni alle dipendenze
della stessa società avrei potuto sicuramente ottenere scatti di anzianità e
passaggi di profilo. La mia anzianità di servizio, nonostante io lavori nel
settore dal 2002, è di soli cinque anni e quindi sarò tra le prime a essere
cacciate dall’azienda. Con AlmavivA ho un contratto part time da quattro ore e
guadagno sui settecento euro mensili. Se facciamo un po’ di straordinario
riusciamo a guadagnare qualcosa in più. Da una settimana sono in ferie perché
con questo clima non ce la faccio proprio a stare in cuffia, soprattutto in
questo momento».</FONT></P>
<P align=justify><FONT face="Times New Roman"><STRONG>A Palazzo Santa
Lucia</STRONG> i lavoratori della sede di Casavatore della Gepin Contact Spa
attendono che il governatore della Campania riceva i delegati sindacali. Il
colore giallo delle loro magliette con su scritto “Noi Gepin Contact” ricorda
quello di Poste Italiane, il loro principale committente.</FONT></P>
<P align=justify><FONT face="Times New Roman"><STRONG>Gepin Contact Spa</STRONG>
è una società del Gruppo Gepin. Il gruppo condivide con Poste Italiane, che è il
principale committente della sua società Gepin Contact Spa, la società Up Time
Spa, essendo quest’ultima partecipata al 30% da Poste Italiane e al 70% dal
Gruppo Gepin. Il meccanismo delle “societarizzazioni” è molto semplice e
costituisce l’essenza del gioco al ribasso sul costo del lavoro praticato nei
processi di outsourcing: una società, per evitare di assumere lavoratori
direttamente alle proprie dipendenze, ricorre alla creazione di una società
<EM>ad hoc</EM> cui affidare l’appalto per la produzione di determinati beni e
servizi. La durata del rapporto di lavoro dei dipendenti della società
controllata sarà legata, quindi, solo ed esclusivamente alla durata della
commessa e alla capacità della società di mantenere basso il costo del
lavoro.</FONT></P>
<P align=justify><FONT face="Times New Roman"><STRONG>«Due anni fa – racconta
Felice –</STRONG> il nostro amministratore delegato è stato arrestato per
bancarotta fraudolenta perché aveva fatto fallire una società. Poste Italiane,
che era il nostro principale committente, ha deciso così di toglierci le
commesse. Allo stesso tempo, però, la nostra azienda sta prendendo accordi con
il comune di Taranto per ottenere l’assegnazione di un sito e utilizzare i fondi
europei per aprire un nuovo call center che dovrà gestire una commessa
dell’Inps. Da noi dichiarano trecentocinquantadue esuberi e a Taranto aprono un
nuovo call center. Tutto ciò, ovviamente, sempre a spese dei lavoratori e dei
contribuenti, perché con le nuove assunzioni usufruiranno di incentivi e sgravi
fiscali che paghiamo tutti noi. Questa vicenda comporterebbe il fallimento
totale della mia famiglia perché sia io che mia moglie lavoriamo alla Gepin. Non
avrei nessuna alternativa, se non quella di emigrare, perché abbiamo due bambini
piccoli e il mutuo da pagare per altri vent’anni. Lavoriamo dal 2002 alla Gepin.
Non era il lavoro dei nostri sogni ma abbiamo fatto in modo che ci piacesse
perché alternative non ce n’erano. Ho portato avanti la famiglia per quattordici
anni, fino a quando abbiamo cominciato a perdere i pezzi per strada».</FONT></P>
<P align=justify><FONT face="Times New Roman"><STRONG>Dall’agosto del 2014 al
dicembre del 2015</STRONG> Gepin Contact Spa ha perso tutte le commesse di Poste
Italiane. Gli ultimi due lotti di una commessa sono andati a due società che si
sono aggiudicate l’appalto con un ribasso di 0,29 centesimi a telefonata. La
prima ha sede in un albergo della provincia di Salerno, la seconda è nelle mani
di un curatore fallimentare. <EM>(giuseppe
d’onofrio)</EM></FONT></P></DIV></DIV></DIV></DIV>
<br /><br />
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