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alt="Redazione di operai contro, vi invio un articolo del gennaqio 2015. P arla degli operai della FIAT di Melfi Un operaio FCA di Melfi di Massimo Brancati Saranno in trecento, […]"
src="http://www.operaicontro.it/wp-content/uploads/2015/04/melfi-sogno-620x350.jpg"
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<P><FONT face="Times New Roman"></FONT> </P>
<P><FONT face="Times New Roman">Un operaio FCA di Melfi</FONT></P>
<P class=testo_notizia><FONT face="Times New Roman">di Massimo
Brancati</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Saranno in trecento, tutti giovani e forti. Così
li vuole Fiat Chrysler Automobiles (Fca): diplomati, under 30, carichi di
entusiasmo e animati da spirito di sacrificio. Bando a quelli che guardano
l’orario, a chi spende energie più per i diritti che per i doveri. “Vade retro”
aspirante sindacalista, peggio se della specie Fiom – scomparsa dai radar
dell’ex Lingotto dopo la mancata firma sul contratto aziendale – Farneticante,
Intransigente, Ottusa e Miscredente. Ci sarà da lavorare. E tanto. Magari
dedicandosi alla catena di montaggio anche durante qualche week-end e di
notte.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Domani trecento operai entreranno per la prima
volta nello stabilimento Fca di San Nicola di Melfi (Potenza), facendo da
apripista ai mille nuovi lavoratori che la casa automobilistica assumerà, con
contratto a tempo determinato, grazie al successo sul mercato delle due auto
prodotte proprio in Basilicata, la Jeep Renegade e la 500X. La platea di chi
ambisce a vestire la tuta blu è sconfinata, dal momento che non sono previsti
steccati geografici (i lucani non hanno la priorità rispetto a candidati di
altre regioni) e la carenza di opportunità occupazionali è tale che anche solo
tre mesi di impiego (e di reddito) costituiscono una manna dal cielo.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Come sono lontani i 21 giorni della rivolta del
2004, i tempi della lotta operaia sui turni, sulle condizioni di lavoro,
sull’allineamento degli stipendi rispetto agli altri stabilimenti del gruppo.
Laddove ribollivano, fino a poco tempo fa, rivendicazioni di operai avviluppati
nei contrasti con il “padrone”, oggi campeggia un clima di ritrovato entusiasmo
sulla cenere di un lungo periodo di cassa integrazione e di prospettive funeree.
I balletti e i sorrisi su Youtube dei dipendenti Sata, a cui va la paternità
mediatica del tormentone “Happy”, hanno esorcizzato la paura spalancando le
porte all’ottimismo. Prima forzato, ora spontaneo. I lavoratori non saranno al
massimo della felicità, come canta Pharrell Williams, ma l’apertura di uno
spiraglio di futuro sul solco tracciato dal nuovo corso Fiat è un’iniezione di
fiducia per chi già lavora in fabbrica e per chi ambisce ad entrarci.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">L’attuale scenario è profondamente cambiato
rispetto a dieci anni fa, ma paradossalmente stiamo assistendo ad un ritorno al
passato: l’annuncio sulle assunzioni ha messo in moto un meccanismo che ha il
sapore del deja vu, con centinaia di giovani – come negli anni ’90, quando aprì
lo stabilimento Sata a Melfi – pronti a candidarsi per un lavoro nella
casa-madre o nell’indotto. Lunghe file davanti alle agenzie interinali in una
riedizione dell’assalto all’”astronave” dell’Avvocato, atterrata sulla piana di
San Nicola con un carico di speranza per il Sud del Sud. Oggi come allora, nella
terra del familismo amorale teorizzato da Edward C. Banfield (Bloomfield, 1916 –
Vermont, 1999), aleggia lo spettro della raccomandazione, del clientelismo, con
il curriculum vitae dei candidati da leggere in controluce per scorgere la
filigrana del padrino politico. La corsa allo sponsor pare sia già in atto, così
come il tentativo, spesso goffo, di salire sul carro di Marchionne da parte di
amministratori pubblici e affini. In tutto questo pullulare di commenti,
dichiarazioni, dati sulle assunzioni future, proiezioni sull’indotto e teorie
sulle possibili entrature c’è il rischio di mandare fuori giri il motore delle
aspettative. Che sono già alte, alimentate dalle dichiarazioni del manager
italo-canadese: “Le 1.000 persone porteremo nette a Melfi si trascineranno un
numero moltiplicatore da sette a dieci di altri posti di lavoro. Quindi parliamo
di un numero elevato di famiglie e di persone che ne beneficeranno”. Discorso
che non riguarda solo la Basilicata – dove il tasso di disoccupazione ha
raggiunto quota 16,6 per cento per un totale di 36mila senza lavoro – ma anche i
territori confinanti, a partire dalla Capitanata, uno dei principali bacini di
operai all’alba lucana della Fiat.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Un’alba che si ripete. Era il 21 ottobre del
1989 quando, in una villa della collina torinese, Cesare Romiti e Gianni Agnelli
parlarono del progetto dello stabilimento lucano che si concretizzò grazie ad un
investimento di 6.000 miliardi delle vecchie lire, di cui 1.400 stanziati dallo
Stato. Melfi doveva nascere per salvare l’azienda a cui gli economisti avevano
predetto morte certa. Cambiano i tempi e i protagonisti, ma l’azienda si
aggrappa di nuovo a Melfi per risollevarsi, alla gente del Sud sobria, laboriosa
che, negli anni ’90, contribuì a rendere la fabbrica lucana un modello
conquistando primati su primati: seconda in Europa per produttività, dopo la
Ford di Russelsheim in Germania, la più efficiente del gruppo con un tempo di
lavoro attivo di oltre il 93 per cento rispetto all’86 degli altri stabilimenti,
produttività per addetto di una settantina di auto l’anno, quattro-cinque volte
Mirafiori. Standard raggiunti con un livello di partecipazione intenso dei
lavoratori. Quell’intensità che oggi Marchionne chiede soprattutto ai nuovi
arrivati per vincere la sfida del mercato
globale.</FONT></P></DIV></DIV></DIV>
<br /><br />
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