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<DIV style="FONT-SIZE: 12pt; FONT-FAMILY: 'Calibri'; COLOR: #000000">
<H1 class=entry-title><FONT face="Times New Roman">operai fermi e mastrosimone
al nazareno – vergognati!</FONT></H1>
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class="post-76046 post type-post status-publish format-standard has-post-thumbnail hentry category-copertina category-lavoro-economia-a-finanza tag-deindustrializzazione tag-fiat tag-fiat-di-termini tag-indotto-fiat tag-metec tag-sicilia tag-termini-imerese"><IMG
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<H2 class=post><A
style='href: "http://www.dirittiglobali.it/2015/08/i-fantasmi-di-termini-sparite-con-fiat-120-imprese/"'><FONT
face="Times New Roman">I fantasmi di Termini sparite con Fiat 120
imprese</FONT></A></H2>
<H5 class=post>
<P><FONT face="Times New Roman">Nello stabilimento che avrebbe dovuto
trasformare l’economia siciliana ora ci sono solo addetti alla vigilanza e
cassintegrati per corsi di riqualificazione</FONT></P></H5>
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<DIV class=articleEyelets><FONT face="Times New Roman">TERMINI IMERESE. Davanti
ai cancelli di quella che fu la Sicilfiat oggi c’è un chiosco che vende panini.
Nel parcheggio sul mare che ospitava le auto dei dipendenti solo alcune tende
colorate dove trovano ristoro i bagnanti. L’area industriale, sospesa fra un
passato dai grandi numeri e un futuro incerto, è un deserto che brucia sotto la
canicola di agosto. Nello stabilimento-faro, quello che nel 1970 divenne simbolo
di una illusoria trasformazione dell’economia dell’Isola e creò una nuova specie
di dipendenti a doppio servizio (i cosiddetti “metalmezzadri”, insieme contadini
e operai), ci sono solo gli addetti alla vigilanza e un gruppo di impiegati in
cassa integrazione che seguono corsi di riqualificazione pagati dalla Regione.
Intorno ai 400 mila metri quadri dell’azienda, lungo l’ex via Gianni Agnelli
ribattezzata dai sindacati via Primo maggio, erbacce e rifiuti.</FONT></DIV>
<DIV class=articleTexts>
<DIV class=articleText><FONT face="Times New Roman">Basterebbe lo scenario a
parlare degli effetti della crisi da queste parti<U>. Basterebbero i ruderi
industriali che testimoniano di un indotto un tempo glorioso. Biennesud,
Universalpa, Tecnoimpianti, Clerpem, Ergom, Lear, Imam: rimangono i cartelli
ingialliti, non le aziende che vivevano del polmone Fiat e sono scomparse appena
il gigante torinese è andato via.</U></FONT></DIV>
<DIV class=articleText><FONT face="Times New Roman">Sono i numeri, però a dare
davvero il senso dello tsunami seguito all’uscita del Lingotto: nei primi venti
mesi dopo la chiusura dello stabilimento, avvenuta a fine 2011, il Pil della
Sicilia è sceso quasi dello 0,5 per cento, con perdite per oltre 825 milioni di
euro.</FONT></DIV>
<DIV class=articleText><FONT face="Times New Roman"><U>Termini Imerese, da sola,
ha perso 3.500 posti di lavoro e il 6,5 per cento di residenti</U>. Secondo i
dati di Unioncamere, nel Comune di Termini negli ultimi quattro anni sono
sparite 120 attività imprenditoriali. È come se la Fiat, in concorso con la
difficile congiuntura, avesse trascinato con sè tutto il resto.</FONT></DIV>
<DIV class=articleText><FONT face="Times New Roman"><U>Da sola, la Fiat di
Termini dava lavoro negli anni ‘ 80 a 3.200 addetti e altrettanti erano
impegnati nelle altre imprese del comprensorio. Il numero dei dipendenti diretti
era sceso a 1.900 al momento della chiusura della fabbrica. Oggi rimangono 700
“fantasmi</U>”, i cassintegrati presi in carico Da Blutec, la newco partorita
dal gruppo metalmeccanico Metac che fa capo a Roberto Ginatta, che – in un
accordo di dicembre con il governo e le parti sociali – si è impegnata a
rilevare lo stabilimento e a far ripartire la produzione entro fine anno,
utilizzando i 290 milioni messi a disposizione da Stato e Regione.</FONT></DIV>
<DIV class=articleText><FONT face="Times New Roman">E accanto ai “fantasmi” ci
sono le ombre: quelli che riguardano l’effettivo versamento da parte
dell’azienda di 18 milioni di capitale, sui 24 deliberati, e l’ulteriore
ricapitalizzazione fino a 100 milioni che doveva avvenire entro giugno. È stato
disdetto e non più convocato, al ministero per lo svuluppo economico, un tavolo
di verifica degli impegni.</FONT></DIV>
<DIV class=articleText><FONT face="Times New Roman">Linda Vancheri, ex assessore
della giunta Crocetta, prima di lasciare qualche giorno fa ha sollecitato una
nuova riunuione. «L’impressione è che ci sia qualche problema ma resto
ottimista. Moderatamente», dice la Vancheri. E i sindacati hanno già lanciato
l’allarme. <U>Domani una delegazione della Fiom si prsenterà al Nazareno per
chiedere chiarezza ai vertici del Pd (e del governo): </U>«La verità è che
l’accordo di dicembre sulla reindustrializzazione dell’area è ancora lettera
morta e noi vogliamo il rispetto degli impegni presi», afferma Roberto
Mastrosimone, leader delle tute blu anche lui in cassa integrazione. Ancora
viva, d’altronde, la delusione per la forzata rinuncia di una lunga sfilza di
pretendenti all’eredità della Fiat: Gianluca Rossignolo della De Tomaso, il
finanziere Simone Cimino, l’imprenditore del settore vivaistico Corrado
Cicolella (tutti finiti nei guai giudiziari). E ancora Massimo Di Risio (Dr
Motors), la svizzera Radiomarelli e Grifa. Era stato direttamente Matteo Renzi,
alla vigilia di Ferragosto di un anno fa, a dire davanti ai cancelli di Termini
«che non fare più macchine, qui, sarebbe una sconfitta». Di lì a pochi mesi la
svolta: via Grifa, ecco l’intesa con Metec sulla cui solidità finanziaria oggi
si solleva qualche interrogativo. Confermata da ambienti di governo: il Mise, si
apprende, sta lavorando per consilidare l’operazione con l’ingresso di un altro
partner al fianco di Blutec.</FONT></DIV>
<DIV class=articleText><FONT face="Times New Roman">A metà settembre se ne
saprà, ufficialmente, di più. «Ci abbiamo messo la faccia e manterremo gli
impegni», dice il sottosegretario Davide Faraone. Anche perché in ballo c’è il
futuro di altri 300 dipendenti di cinque aziende dell’indotto: 120 da maggio non
percepiscono l’assegno di cassa integrazione e centosettanta in
mobilità.</FONT></DIV>
<DIV class=articleText><FONT face="Times New Roman">Nel deserto di Termini
queste mille persone rimaste senza lavoro cercano ancora una strada. «Finora su
Termini si è solo giocato. Abbiamo assistito a una danza di imprenditori
interessati, più che al rilancio dell’area, a quei 300 milioni di capitale
pubblico», attacca Alessandro Albanese, presidente di Confindustria
Palermo.</FONT></DIV>
<DIV class=articleText><FONT face="Times New Roman">Ma in molti, ora, mettono
sotto accusa un modello di sviluppo superato, un’industria dell’auto nata coi
fondi pubblici e svanita come il sogno della chimica di Stato che nell’area di
Termini Imerese è rappresentato da uno scheletro verde, scrostato, visibile
dall’auostrada. In quest’angolo di Sicilia, in attesa della ripresa, si
sovrappongono le testimonanze dei
fallimenti.</FONT></DIV></DIV></LI></DIV></DIV>
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