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style='FONT-SIZE: small; TEXT-DECORATION: none; FONT-FAMILY: "Calibri"; FONT-WEIGHT: normal; COLOR: #000000; FONT-STYLE: normal; DISPLAY: inline'><FONT
size=2 face=Tahoma>slai cobas per il sindacato di classe </FONT></DIV>
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<H1 class=entry-title><A
style='href: "http://www.operaicontro.it/?p=9755730881"' rel=bookmark><FONT
face="Times New Roman">«Mi diceva sei una schiava». L’incubo di Erika, sfruttata
nelle serre e costretta a quattro aborti</FONT></A><FONT face="Times New Roman">
</FONT></H1>
<DIV class=entry-author><FONT face="Times New Roman"></FONT> </DIV>
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title="«Mi diceva sei una schiava». L’incubo di Erika, sfruttata nelle serre e costretta a quattro aborti"
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alt="Ragusa, il racconto di una bracciante rumena stuprata e sequestrata dal proprio datore di lavoro – Antonio Castaldo /Corriere TV All’alba manca uno spruzzo di notte. Dalla campagna ancora avvolta […]"
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<H2><FONT face="Times New Roman">Ragusa, il racconto di una bracciante rumena
stuprata e sequestrata dal proprio datore di lavoro<I> – Antonio Castaldo</I>
/<I>Corriere TV</I></FONT></H2></DIV>
<P><IFRAME height=340
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<P><FONT face="Times New Roman">All’alba manca uno spruzzo di notte. Dalla
campagna ancora avvolta nel buio una folla silenziosa si riversa nei viottoli
deformati dalle buche. Nelle serre di Vittoria, in provincia di Ragusa, si
comincia a lavorare presto la mattina perché alle 12 l’aria brucia e la
temperatura sfiora i 50 gradi. Poi qualcuno torna ai campi nel pomeriggio. E se
c’è da fare si sgobba anche 10, 12 ore al giorno. Sono per il 70% stranieri,
perché gli italiani costano di più. In tutto sono 13.240, 4.349 sono rumeni, e
di questi 1.800 sono donne. Le hanno chiamate «schiave delle serre», perché
oltre allo stipendio da fame, molto spesso subiscono ricatti, pressioni, spesso
vero e proprie molestie da parte di datori di lavoro che sentendosi al sicuro,
protetti dal silenzio dei campi e dalla condizione di totale subalternità delle
proprie vittime, si spingono in qualche caso fino alla molestia, o addirittura
allo stupro.</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Anche la giornata di Erika (nome di fantasia)
cominciava molto presto la mattina. E andava avanti per tutto il giorno, a
sgobbare sui filari di pomodori, tra le melanzane e i meloni. Poi la sera,
esausta, doveva subire l’arroganza del padrone: «Ero lì nella sua azienda da
quattro mesi. Aspettò di essere solo, che la moglie fosse lontana, in paese. E
così si approfittò di me». Ha più di 45 anni, il volto è consumato dalla fatica,
rigato dal sole. Eppure Erika conserva una sua dolcezza quasi adolescenziale.
Per sei anni ha subito in silenzio. Ha dovuto abortire quattro volte, lei vedova
e madre di sei figli rimasti in Romania, a cui mensilmente manda quasi tutto ciò
che guadagna: «Da lui mai un aiuto, mai neppure una parola di incoraggiamento.
Neanche un cane si tratta così». Per interrompere la gravidanza in tre casi è
tornata in Romania, un viaggio di 60 ore in pullman. La quarta volta si è dovuta
arrangiare da sola, con l’acqua calda, rischiando la vita. Una situazione che
forse l’accomuna alle altre 94 donne rumena che nel 2014 hanno deciso di non
portare a termine la gravidanza, un numero molto altro se si considera che gli
aborti tra le straniere in totale sono stati 454. «Mi è dispiaciuto tanto –
racconta – ma non potevo tenerli. Come facevo? Ho già altri bambini da
mantenere».</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Nelle campagne tra i comuni di Vittoria, Santa
Croce Camerina e Acate non esiste trasporto pubblico. Per ogni spostamento, per
le medicine, per l’assistenza legale, i braccianti stranieri dipendono dal
proprio datore di lavoro. Quello che si crea è un vincolo di assoluta
dipendenza. Psicologica ma anche e soprattutto fisica. «Pretendeva di
controllare ogni mio spostamento. Mi tempestava di telefonate se non mi trovava
nella mia stanza», spiega Erika.Una notte, esausta, ha tentato la fuga: «Da
allora non mi ha dato tregua, fino a quando mi ha ritrovata. Mi ha riportato
indietro e mi ha mostrato la sbarra di ferro con cui, mi ha detto, mi avrebbe
spaccato la faccia. La notte stessa sono scappata di nuovo, ma sono inciampata
nel filo di ferro che aveva teso proprio all’uscita della mia baracca e mi sono
ferita. Il giorno dopo, nella serra, mi ha visto dolorante. E senza pietà mi ha
riso in facciao: che fai, non lavori oggi? Mi ha detto»</FONT></P>
<P><FONT face="Times New Roman">Solo i carabinieri della compagnia di Ragusa
sono riusciti a salvare Erika dal suo padrone. Guidati dal tenente David Millul,
e grazie alla costanza del maresciallo Valenzisi, il comandante della stazione
che ha raccolto la prima informazione da una fonte confidenziale, hanno radunato
le prove e finalmente fatto irruzione nell’azienda dell’uomo, ora detenuto con
l’accusa di violenza sessuale e sequestro di persona. La vicenda di Erika, per
quanto estrema, non è probabilmente l’unica. I racconti di violenze e abusi
subiti nelle serre si rincorrono. Ma sono voci. Le denunce restano pochissime.
Ci sono state le inchieste sociologiche, i reportage dell’«Espresso» e
del</FONT><A
style='href: "http://27esimaora.corriere.it/articolo/i-festini-agricoli-e-gli-abortidelle-mille-schiave-romene/"'><FONT
face="Times New Roman">Corriere della Sera </FONT></A><FONT
face="Times New Roman">hanno acceso i riflettori su questa realtà. «La comunità
rumena è estremamente riservata», spiega Giuseppe Scifo, segretario della Flai
Cgil, e punto di riferimento «sindacale» per centinaia di braccianti a Vittoria
e dintorni. «Si tratta di una presenza creatasi negli ultimi anni – aggiunge il
sindacalista – Nei registri Inps del comune di Vittoria, nel 2006 erano
annoverate 30-40 lavoratori rumeni. Nel 2007 erano già 1200. Oggi, in tutta la
provincia, se ne contano 4.300». Chiusi, diffidenti nei confronti
dell’istituzione, difficilmente si aprono e raccontano i propri problemi. Per
avvicinarli la Cgil in collaborazione con una associazione che lavora proprio
nel campo dell’assistenza alle lavoratrici, ha attrezzato un pullmino che
attraversa i campi e accompagna le donne avanti indietro. E tra una buca e
l’altra, lungo le stradine polverose che irradiano questa immensa distesa di
serre, sono riusciti a prendere i primi, difficoltosi contatti con le
vittime.</FONT></P>
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