<div dir="ltr"><h1 class=""><span style="color:rgb(204,0,0)">CONTRO LA SCUOLA DEI PADRONI, CONTRO IL GOVERNO RENZI: UNA PRIMA RIFLESSIONE SUL MOVIMENTO DI MASSA DI QUESTE SETTIMANE</span></h1><p><img style="margin-right: 0px;" src="cid:ii_i9sz85ye0_14d63c8d4b1b1004"><br></p><p><span style="color:rgb(204,0,0)"><i>In queste settimane si è sviluppato, in modo imprevisto, e con
caratteristiche inaspettate, un vero e proprio movimento di massa contro
il DDL BUONA SCUOLA.
<br>Quel movimento che avevamo auspicato nell’autunno scorso (una volta
presentato il documento “la buona scuola”), quel movimento che abbiamo
invocato a febbraio-marzo (alla presentazione del DDL), si è
improvvisamente innescato nella fase finale dell’anno scolastico, nelle
settimane immediatamente precedenti all’approvazione stessa del DDL.</i></span></p><p><br></p><p class="">Un movimento di massa,
innanzitutto. I dati reali di partecipazione dello sciopero del 5 maggio
sono dati <b>MAI VISTI IN NESSUNO SCIOPERO DELLA SCUOLA</b>. Neanche dal
famoso movimento dei comitati di base a metà degli anni ottanta (tra
parentesi, quello dei comitati di base, organismi democratici di ogni
scuola composto da insegnanti di diversi sindacati e anche da non
iscritti; non dell’organizzazione sindacale di base “COBAS scuola”, che
nacque da quell’esperienza di massa raccogliendo solo una parte della
sua avanguardia). L’adesione il 5 maggio è stata intorno al 90% tra gli
ATA, sopra 80% nell’infanzia e nelle primarie, sopra il 70% nelle
superiori. Ma non solo. E’ stata fortissima la partecipazione alle
assemblee, il coinvolgimento di ampi settori di lavoratori e lavoratrici
nella preparazione dello sciopero: in moltissimi istituti si sono
approvati documenti e prese di posizione (quasi tutte chiedendo il
ritiro DDL); si sono fatte assemblee e incontri con genitori (elementari
in particolare); sono comparsi nei giorni precedenti striscioni e
manifesti all’ingresso degli istituti; sono stati preparati volantini
“di scuola”, autoprodotti, per spiegare le ragioni dello sciopero. Ed
ancora di più. Nei giorni successivi è stata massiccia l’adesione al
boicottaggio Invalsi. Nelle scuole primarie, il 6 e 7 maggio (i giorni
immediatamente successivi allo sciopero generale della scuola),
l’INVALSI è stato svolto nelle seconde e nelle quinte delle elementari:
oltre il 10% delle classi sono state coinvolte dallo sciopero. In molti
plessi sono state organizzate casse di resistenza informali, per
restituire parzialmente quanto perso dai colleghi/e coinvolti nello
sciopero in quanto somministratori INVALSI. In diversi istituti, su
sollecitazione della lotta in corso, molti o tutti i bambini sono stati
tenuti a casa (anche in scuole campione). Una dinamica ripetuta e
allargatasi il 12 maggio, nelle scuole superiori, con il coinvolgimento
di associazioni e collettivi studenteschi. Circa un quarto degli
studenti non ha partecipato ad Invalsi (per assenza studenti o per
sciopero docenti). Un numero probabilmente simile lo ha boicottato,
consegnando risposte inutilizzabili.
<br>E’ un dato enorme. Nessuna protesta contro questo sistema di
valutazione aveva ottenuto un tale successo: ha trasformato in senso
comune la critica alla standardizzazione ed alla valutazione, quando
sino a qualche settimana prima la maggior parte delle organizzazioni
sindacali la difendeva a spada tratta. La FLC CGIL, ad esempio, non ha
voluto sostenere formalmente questa lotta: pur essendo critica su alcuni
aspetti dell’Invalsi, la maggioranza dell’organizzazione, ed in
particolare la direzione del comparto scuola, è infatti favorevole alla
valutazione ed anche alla valorizzazione (cioè ad un monetizzazione
della valutazione, differenziando gli stipendi dei docenti). Pochi mesi
fa ha infatti presentato e fatto approvare dal Direttivo nazionale FLC
un linea generale sulla contrattazione, in cui per la prima volta si
proponevano strumenti di valutazione e di premio della didattica, non
individuali ma collettivi (“ai team migliori”: una proposta che non
limita, ma anzi peggiora la dinamica competitiva di questo strumento,
differenziando le classi e non solo i docenti). Temendo appunto che una
lotta diretta contro Invalsi incentivasse un senso comune contro
valutazione e valorizzazione, la FLC si è sempre rifiutata di
partecipare a queste forme di lotta. Eppure il grande coinvolgimento di
queste settimane nella lotta contro il DDL, ha costretto larghe parti
della FLC e dello stesso apparato a sostenere questa lotta, ed in alcune
occasioni anche a organizzarla.
<br>
<br>Al momento, questo movimento è costituito sostanzialmente di
lavoratori e lavoratrici della scuola. La partecipazione studentesca è
ancora sostanzialmente limitata e, considerando il periodo dell’anno,
probabilmente non avrà la possibilità di crescere prima
dell’interruzione estiva. A innescare il movimento sono state diverse
componenti. Da una parte il mega-piano di assunzioni dei precari,
ventilato dalla scorsa estate, è precipitato concretamente con numeri
più contenuti (100mila invece che 150mila) e con una chiara definizione
dei suoi confini (GAE e dintorni), rendendo quindi sempre più evidenti
l’esistenza di un’ampia fascia di esclusi (2/300mila persone nel
complesso, di cui almeno la metà con un orario significativo di lavoro).
Dall’altra parte, l’immagine della buona scuola si è focalizzata
sull’autonomia competitiva tra istituti (fondi privati, POF, ecc) e
soprattutto sul fortissimo accentramento di poteri nei dirigenti
(elaborazione del piano scolastico, chiamata diretta dei docenti,
gestione della valorizzazione stipendiale). Due elementi che hanno
permesso di catalizzare il malcontento in una diffusa rivolta di massa
contro l’impianto del DDL. Temendo la reazione di un universo scolastico
imprevedibile, Renzi aveva condotto due diverse azioni di esplorazione
del terreno. Nel corso dell’estate scorsa, aveva fatto avanzare da
sottosegretari e portaborse alcune ipotesi di aumento sostanziale
dell’orario di lavoro degli insegnanti a parità di salario. Dopo
assemblee, presidi e proteste in piena estate, la proposta è stata
velocemente sconfessata. In autunno ha avanzato una dichiarazione di
intenti, il piano scuola, riservandosi di concretizzare più avanti le
sue specifiche proposte di “riforma”. Nella consultazione farsa
organizzata dal MIUR, attraverso questionari on line e assemblee
territoriali con platee selezionate, è stato sorprendentemente abbattuto
l’elemento su cui si era concentrata la comunicazione del governo e
l’attenzione dei media (gli scatti di merito al posto dell’anzianità:
cioè la differenziazione strutturale degli stipendi). In primavera, dopo
una lunga e accidentata elaborazione nelle segrete stanze del governo,
la “punta di lancia” propagandista della” riforma” è stata quindi
sostituita con il preside-allenatore-mamager-sceriffo-sindaco. Il capo
della scuola. Lì ha innescato la reazione di massa del corpo docenti,
che i propri dirigenti li conoscono bene, ma che soprattutto hanno
compreso le conseguenze di questa controriforma nella vita concreta
delle scuole.
<br>
<br>Questa rivolta di massa contro l’impianto del DDL è stata colta
dalle burocrazie sindacali, rilanciata e fatta esplodere con lo sciopero
del 5 maggio. CGIL CISL UIL SNALS e GILDA, i sindacati maggioritari
della scuola, hanno avuto enormi responsabilità nell’accompagnare per
tutto il corso dell’anno il percorso della buona scuola. Nell’autunno
infatti hanno tracciato una valutazione articolata del primo “Piano
Scuola” presentato dal governo Renzi. Ad esempio la FLC CGIL, pur nel
quadro di “un’idea di scuola diversa dalla nostra”, pur in assenza “di
scelte strategiche per il diritto allo studio” e di qualunque
“attenzione per gli ATA”, pur in presenza di scelte “inaccettabili”
(regolazione per legge di orario e retribuzione; sostituzione degli
scatti di anzianità e blocco del contratto), ha riscontrato punti
positivi nel progetto avanzato, addirittura convergenti con proposte
della stessa FLC: superamento lavoro precario, istituzione di un
organico funzionale, estensione del tempo pieno, ecc. Conseguentemente a
questa analisi, questi sindacati non hanno indetto nessuno sciopero e
nessuna protesta sino a primavera, limitandosi ad assemblee, petizioni e
dichiarazioni alla stampa.
<br>Il governo Renzi, replicando l’atteggiamento e l’esperienza maturata
con il Job Act, davanti a questa titubanza ha radicalizzato
arrogantemente l’impianto autoritario della riforma. Ha rinunciato a
concentrarsi sulla differenziazione stipendiale, per focalizzarsi sulla
gerarchizzazione della scuola (il manager e la diversificazione fra
istituti). Nel mese di marzo e di aprile sono rapidamente cresciute le
prese di posizione, la partecipazione alle assemblee cittadine, la
rabbia e la richiesta di una risposta di lotta. Una crescita che è stata
annunciata e ripresa dai comitati, dalle strutture auto-organizzate,
dai sindacati di base e dalla sinistra CGIL (come quelli degli
autoconvocati a Roma, del comitato 3 ottobre a Milano, del manifesto dei
500 e dell’assemblea contro la buona scuola a Torino, del coordinamento
nella riviera toscana, ecc). Queste forze hanno lavorato per
l’esplosione della protesta, indicendo per prime lo sciopero del 24
aprile. Le burocrazie sindacali della scuola hanno però colto l’innesco
di questo movimento. Invece che soffocarlo, hanno deciso di rilanciarlo,
dandogli una forza di massa attraverso la convergenza sulla data del 5
maggio, in una data inizialmente prevista solo dai Cobas scuola.
<br>Uno sciopero ed un movimento che quindi, ad oggi, è diretto dalle
burocrazie sindacali, nel quadro di una fortissima partecipazione e
quindi di una fortissima pressione dal basso, unitaria e radicale.
Tant’è che oramai tutte le organizzazioni, almeno a parole, hanno dovuto
assumere nei fatti sia la protesta contro la valorizzazione (Invalsi),
sia la parola d’ordine del ritiro del DDL. E quindi, nonostante
propensioni e volontà a cercare accordi, hanno dovuto rifiutare il
terreno degli emendamenti del governo, chiedere un cambio di impianto ed
un decreto sui precari.
<br>
<br>Questo movimento è un movimento politico contro il governo. Questo
movimento infatti si è costruito su un terreno direttamente politico.
Contro Renzi e contro il PD di Renzi. Queste sono le parole d’ordine, i
cartelloni, gli striscioni diffusi nelle scuole. Un movimento di massa
che si è posto immediatamente e naturalmente su un terreno di
contrapposizione al governo. Perché questo movimento si è costruito
contro uno degli elementi cardine del programma del governo. Perché la
lotta è contro un progetto di scuola esemplificativo del nuovo profilo
radicalmente liberale del PD renziano (competizione, fondi privati,
centralità logica d’impresa). Perché il conflitto si è personificato
sulla figura di Renzi, per sua stessa volontà: lui si è voluto
identificare con la buona scuola e presentarla sempre in prima persona
(tanto che il nome pubblico del disegno di legge non è come al solito
“DDL Giannini”, dal suo primo presentatore formale, ma Buona scuola di
Renzi). Renzi è il suo governo, è il PD ed è la buonascuola. Non a caso
uno degli slogan più diffusi nella rete, nei social, nei passa parola è
“Sono un insegnante, non voto più PD”: una terreno di scontro
direttamente e chiaramente politico di questo movimento.
<br>
<br>Questo movimento ha una prospettiva incerta. I tempi
dell’approvazione parlamentare sono oramai stretti. Ancor di più, la
prossima fine dell’anno scolastico incombe come una chiusura forzata
dell’onda mobilitativa. In un contesto in cui la direzione del
movimento, nonostante le pressioni dal basso, è ancora saldamente nelle
mani delle organizzazioni sindacali maggioritarie. Cioè delle burocrazie
sindacali che stanno subendo radicalità e determinazione di questo
movimento (ritiro del DDL), oltre che alcuni degli stessi terreni di
lotta (Invalsi e blocco scrutini). Quello che è uno degli elementi di
forza del movimento, la sua unità, dimensione e compattezza, è
pregiudicato dal rischio della divisione per la capitolazione anche
improvvisa delle sue componenti più moderati e burocratiche (CISL
scuola, GILDA e SNALS), come successo anche recentemente con la Gelmini.
Capitolazioni a cui poi facilmente si accoda anche la FLC, in nome
dell’unità sindacale e della difesa del suo programma di maggioranza
sulla scuola (non così distante dall’impianto renziano, come appunto
indica la piattaforma contrattuale indicativa che abbiamo ricordato
prima).
<br>In questo quadro, faticano anche ad emergere terreni concreti di
lotta. Dopo l’Invalsi, si sta diffondendo il boicottaggio dei libri di
testo (entro il mese è necessario adottare i libri del prossimo anno
scolastico: in molti collegi docenti si stanno approvando documenti in
cui questo atto non viene compiuto). Una forma di lotta poco visibile e
comprensibile all’esterno del mondo della scuola, i cui effetti concreti
non sono evidenti in tempi brevi (colpisce le case editrici, ma nella
prospettiva di vendita il prossimo autunno), ma che ha il pregio di
mantenere viva nel corpo docente la mobilitazione.
<br>
<br>Il vero terreno di lotta che rimane, prima della tagliola estiva, è
il blocco degli scrutini. Una forma di lotta che ha oggi dimensioni
mitiche. Perché nel corpo docente rimane diffusa la memoria degli anni
ottanta (dei comitati di base e della loro lotta), quando con questo
strumento avevano alla fine ottenuto una vera vittoria: l’aumento
contrattuale più significativo della storia della categoria, il tetto
dei 25 alunni per classe, l’assunzione di 30mila precari. Grazie a
questa dimensione mitica, grazie all’inesistenza di altri terreni
immediati di conflitto, è diventata oggi orizzonte e parola d’ordine
diffusa della mobilitazione. Tanto che tutte le organizzazioni sindacali
la stanno riprendendo, persino quelle che l’hanno sempre combattuta,
dalla FLC CGIL alla UIL.
<br>Come terreno concreto di lotta, il blocco degli scrutini, è molto
più problematico. Innanzitutto sul piano delle norme. Nel 2010, in
occasione di una lotta indetta da Cobas, Unicobas e Gilda, la
Commissione di garanzia sul diritto di sciopero ha infatti dichiarato
illegittimo il blocco degli scrutini sulla base della Legge 12 giugno
1990, n. 146, che fu imposta proprio sull’onda dell’esperienza dei
comitati di base nel corso degli anni ottanta (articolo 1, “l’esigenza
di assicurare la continuità dei servizi degli asili nido, delle scuole
materne e delle scuole elementari, nonché lo svolgimento degli scrutini
finali e degli esami, e l’istruzione universitaria, con particolare
riferimento agli esami conclusivi dei cicli di istruzione”). La
Commissione si è basata anche sul contratto nazionale di lavoro della
scuola, siglato il 26 maggio 1999, “gli scioperi proclamati e
concomitanti con le giornate nelle quali è prevista l’effettuazione
degli scrutini finali non devono differirne la conclusione nei soli casi
in cui il compimento dell’attività valutativa sia propedeutico allo
svolgimento degli esami conclusivi dei cicli di istruzione. Negli altri
casi, i predetti scioperi non devono comunque comportare un differimento
delle operazioni di scrutinio superiore a 5 giorni rispetto alla
scadenza programmata della conclusione”.
<br>Ora, come ha dimostrato la vicenda dei trasporti in diverse realtà e
occasioni (Genova, Firenze, Milano, ecc), le norme antisciopero non
comportano l’impossibilità di condurre una lotta determinata e
prolungata. Soprattutto se un vasto fronte sindacale (a quel punto,
anche non totalmente compatto), la sostenesse. Ma il blocco dei
trasporti si concentra comunque su un numero ristretto di giorni, con
una fermata concentrata ed improvvisa di tutti i lavoratori e tutte le
lavoratrici, con un impatto esterno immediato e molto significativo (il
blocco di bus, tram, metro, ecc).
<br>Il blocco degli scrutini funziona invece in modo diverso: coinvolge i
lavoratori e le lavoratrici separatamente ed in tempi diversi (collegio
di classe per collegio di classe), su un periodo di diverse settimane,
risultando visibile sono nel tempo. Nella stessa esperienza degli anni
ottanta, il blocco non fu lanciato a fine anno scolastico, non fu
immediatamente visibile, ottenne un effetto solo nel tempo.
<br>La proposta del blocco degli scrutini, per sostenere una piattaforma
di lotta centrata sull’aumento immediato e per tutti dello stipendio
(lanciata da una scuola romana), fu avanzata sin dall’autunno 1987. Il
blocco iniziò poi concretamente a febbraio, nel primo quadrimestre,
scuola per scuola, a macchia d’olio. Ad anno scolastico aperto, e quindi
senza immediate conseguenze su alunni e famiglie. Fu rilanciato a marzo
dall’assemblea nazionale dei comitati di base. Esplose a maggio sulla
stampa e nel dibattito politico, con le reazioni del ministero
(commissari ad acta), le denuncie, le liste degli scioperanti fatte dai
presidi, i carabinieri nelle scuole e l’apertura di procedimenti penali.
Tocco a giugno 1987 un primo apice ed un primo successo, con il decreto
sui 25 alunni per classe. Poi arrivo l’estate. Nel settembre 1988 la
repressione giudiziaria fu sconfitta nei Tribunali (17.9.1987: “Il
blocco degli scrutini non è reato, ma una legittima protesta sindacale:
la preoccupazione creata può essere rilevante, ma da un punto di vista
giuridico questa agitazione non deve essere catalogata come
un'interruzione di pubblico servizio. Per questo va archiviata
l'inchiesta contro i docenti dei comitati di base romani. A sostenerlo è
il sostituto procuratore della Repubblica di Roma Giorgio Santacroce
che ha anche chiesto la contemporanea archiviazione degli esposti contro
le schedature degli scioperanti presentati dagli insegnanti dei
comitati di base sulla legittimità del blocco”). Nel corso dell’anno
scolastico successivo la lotta fu replicata con un andamento simile.
Appello di lotta in autunno, blocco a febbraio, scioperi e cortei
nazionali in primavera (si intrecciava con il rinnovo contrattuale della
categoria). Con la minaccia di un nuovo blocco alla fine dell’anno
scolastico, fu chiuso l’accordo nei primi di giugno 1988 con l’aumento
di oltre 500mila lire al mese. La lotta cioè durò sostanzialmente due
anni, il blocco iniziò a febbraio 1987 e fu condotto in ondate diverse, a
lungo tempo. Le possibilità concrete di condurre vincere la lotta sul
terreno del blocco degli scrutini sono quindi incerte. Il blocco degli
scrutini non è uno sciopero prolungato come nei trasporti. Ma questa
parola d’ordine raccoglie comunque due elementi importanti. Primo, ha
una profonda radice nella categoria, raccogliendo consenso e unità. Due:
porta avanti la lotta contro il DDL con una contrapposizione radicale
con il governo. Quindi dischiudendo per sua stessa natura una lotta di
lunga durata, se il governo non cede.
<br>Per queste ragioni, questa parola d’ordine deve esser oggi ripresa e
rilanciata nel movimento. Facendo nel contempo crescere la
consapevolezza e l’autorganizzazione del movimento. Come abbiamo
indicato nel documento conclusivo del CC del PCL dello scorso dicembre,
“per lo sviluppo della lotta di classe, l’elemento determinante non è
mai la vittoria del singolo conflitto, ma come questo è condotto”.
L’elemento decisivo dello sviluppo di questo movimento di massa non sarà
la vittoria sul DDL, ma la capacità di svincolarsi dalle direzioni
burocratiche dei sindacati (e dalle loro capitolazioni e divisioni),
facendo crescere la capacità di organizzare democraticamente la lotta.
Per questo è importante costruire in ogni territorio assemblee RSU o di
delegati/e, presentare il profilo radicale e di lunga durata della lotta
(compreso il blocco degli scrutini), costruire un’assemblea nazionale e
rappresentava di delegati e delegate delle scuola: per decidere lo
sviluppo della lotta, per definire democraticamente una piattaforma di
lotta, per non ridurre questa lotta ad un inutile ed episodico
sfogatoio.
<br>
<br>Il movimento della scuola in corso è una lotta politica contro il
governo, in una dimensione di massa e non di avanguardia. Un movimento
in difesa della scuola pubblica, contro una scuola di classe, contro
un’impostazione liberale e padronale della formazione. Per questo il PCL
non è solo al suo fianco: è parte del movimento di lotta, avanzando
all’insieme dei lavoratori, delle lavoratrici, delle componenti e delle
organizzazioni di questo movimento le sue analisi, le sue proposte, il
suo contributo.</p>
<h5 class=""><span style="color:rgb(255,0,0)"><font size="4">Partito Comunista dei Lavoratori</font></span></h5><p><img style="margin-right: 0px;" src="cid:ii_i9sza22l1_14d63ca31a06e674" height="141" width="141"><br></p><p><a href="http://www.pclavoratori.it"><font size="4">www.pclavoratori.it</font></a> - <a href="mailto:info@pclavoratori.it">info@pclavoratori.it</a><br></p></div>