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<DIV class=entry-photo><IMG title="Le fortunate di Melfi"
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<H3 class="post-title entry-title"><FONT face="Times New Roman">fonte:</FONT><A
style='href: "http://www.fiom-cgil.it/web/comunicazione/zoom-articoli-e-commenti/670-zoom-articoli-e-commenti-1/2067-le-fortunate-di-melfi"'><FONT
face="Times New Roman">http://www.fiom-cgil.it/</FONT></A></H3>
<DIV class=post-header><FONT face="Times New Roman">Da qualche settimana è
iniziata la sperimentazione dei nuovi turni alla Fca di Melfi ed è già possibile
descrivere una situazione tutt’altro che felice per noi donne. Si lavora 6
mattine, dalle 6 alle 14, da lunedì a sabato; poi si riattacca domenica sera
alle 22, per 4 notti di seguito; poi due giorni di riposo, 3 pomeriggi di lavoro
(compresa una domenica), due giorni di riposo, 3 notti di lavoro, due riposi e
altri 4 pomeriggi di lavoro. Finalmente una domenica di sosta, ma lunedì alle 6
si ricomincia daccapo. E’ come vivere in un continuo cambio di fuso orario. Già
i primi 10 giorni ci hanno sfinite, le ore in fabbrica si trascorrono in piedi
davanti a una catena sempre più veloce perché, grazie al “sistema migliorativo
Ergo uas”, tutto il materiale ci arriva direttamente in postazione su carrellini
trainati dai robot automatizzati che spesso perdono pezzi per strada o si
fermano e non vogliono saperne di ripartire. Loro non sentono le minacce dei
capi, decidono di non lavorare più e così è se vi pare. Le operazioni sono tutte
cronometrate e le postazioni saturate; in teoria dovremmo star ferme ad
assemblare comodamente tutto ciò che ci arriva ma in realtà si cammina, anzi, si
insegue la linea e ci si “imbarca”, ossia ci si allontana sempre di più dai
confini della postazione disegnati sul pavimento. Basta un qualunque imprevisto,
una vite sfilettata o un semplice starnuto, per rendere spasmodica la risalita.
A volte ci paragoniamo ai salmoni e speriamo che non ci attenda la stessa sorte.
Quando si avvicina la pausa c’è il conto alla rovescia dei minuti e scherzando
ci chiediamo cosa riusciremo a fare in quei 10 minuti: andiamo al bagno, fumiamo
o mangiamo qualcosa? Magari potremmo fare la fila davanti al bagno mangiando il
panino, nella peggiore delle ipotesi almeno una cosa l’avremo fatta! I bagni
sono pochi rispetto al numero delle persone, così anche i distributori di caffè
e merende circondati da sei o sette sedie – pochissime – a creare una piccola
area relax; le file sono lunghe e il caffè conviene dividerlo con uno o due
colleghi. Abbiamo chiesto più bagni o qualche minuto in più di pausa: qualche
capo spiritoso ci ha suggerito di non bere per ridurre le esigenze fisiologiche.
Chi trascorre la pausa in postazione si appoggia ai cassoni o si siede su una
cassettina vuota e, anche se non si potrebbe fare, mangia qualcosa. I primi
dieci giorni consecutivi di lavoro sono stati devastanti, avevamo i polsi, i
polpastrelli e tutti i muscoli indolenziti. I due giorni di riposo li avremmo
dedicati alle faccende di casa, in teoria, ma la stanchezza era tanta e non
siamo riuscite a fare tutto. Al rientro in fabbrica avevamo la sensazione di non
esserne mai uscite, nessuna di noi è riuscita a realizzare tutti i propositi in
quei due giorni e qualche capo, sempre più spiritoso, ha suggerito di mettere
“un aiuto in casa”… Magari che si occupi anche dei nostri affetti? No grazie!
Seguire i bambini e aiutarli nei compiti è un’altra impresa: durante il turno di
pomeriggio non riusciamo quasi a vederli, mentre con i turni di mattina e notte
cerchiamo di recuperare e di dare il massimo. A volte tentiamo di colmare
l’assenza facendo loro dei regali, oppure siamo eccessivamente tolleranti, altre
volte invece ci si arrabbia per poco o niente a causa del nervosismo e della
stanchezza. Sono molti i casi di coniugi che si sono separati e lavorano in
squadre diverse per far sì che uno dei due sia a casa in assenza dell’altro, ma
con la nuova turnazione ci ritroviamo a fare anche due turni diversi nella
stessa settimana e se uno dei coniugi è stato posizionato sulla linea di
produzione della Grande Punto, dove si lavora una settimana di mattina e una di
pomeriggio, capita di ritrovarsi nello stesso turno per cui bisogna cercare una
persona affidabile che accudisca i bambini in nostra assenza e che abbia la
possibilità seguire questi nuovi orari. Intanto sono arrivati i nuovi assunti,
tanti ragazzi e ragazze che potrebbero avere l’età dei nostri figli; alcuni
hanno iniziato con entusiasmo, altri con rassegnazione: tutti hanno portato una
ventata di freschezza e di novità. I loro giovani volti sono già segnati dalle
occhiaie, spesso l’auto dell’infermeria passa per soccorrerli, qualcuno ha già
mollato, qualcun altro è stato più fortunato e si trova a svolgere un lavoro
meno faticoso. Lavorare con questi ragazzi in difficoltà mette una grande
tristezza e la voglia di aiutarli in qualche modo, ma non poterlo fare ci da un
senso di impotenza. E’ opinione comune che noi topolini di questo grande
laboratorio siamo fortunati: a Melfi si lavora! E in effetti ci sentiamo stanche
e indolenzite ma anche fortunate. Viene da chiedersi se non sarebbe più giusto
ripartire questa “grande fortuna” con altri operai, diminuendo le ore di lavoro
e aggiungendo altri turni come hanno fatto i nostri colleghi tedeschi in
passato, con ottimi risultati. Siamo come i salmoni che risalgono la corrente
quando cerchiamo di recuperare la postazione; siamo i robot instancabili che non
devono conoscere le festività; siamo i topolini di un nuovo esperimento. Siamo
le fortunate operaie di Melfi.</FONT></DIV>
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<H1 align=center><A
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face="Times New Roman">Le fortunate operaie di
Melfi</FONT></A></H1></DIV></DIV></DIV></DIV></DIV></DIV></DIV></BODY></HTML>