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<p>Ciao,sotto trovate l'intervento di Resistenze Metropolitane all'iniziativa del 21/12 in Conchetta sulla situazione in Medio Oriente.</p><p>Pubblichiamo il nostro intervento sulla situazione in Siria e Iran.</p>
<p>La guerra è l’arma a cui il capitale ricorre quando la caduta
tendenziale del saggio di profitto diviene ingestibile con i
tradizionali strumenti di controllo. Non può sfuggire quanto sia stretto
il vincolo che lega la politica guerrafondaia imperialista e l’evidente
crollo strutturale del sistema in atto.<br>
Eppure, ciò che sembra assente nella nostra analisi (e quando diciamo
nostra ci riferiamo a tutti coloro che lottano per il superamento del
capitalismo) e nella nostra pratica politica, è proprio la saldatura tra
questi due elementi. Manca la capacità di stabilire un nesso
strutturale fra i due aspetti e di derivarne una valutazione strategica
complessiva. Quando, anche all’interno dei nostri documenti, ci
interroghiamo sulle ragioni della debolezza storica che caratterizza
oggi la teoria e la pratica del movimento rivoluzionario italiano,
ebbene questo elemento ci balza prepotente agli occhi e ci appare in
tutta la sua portata.<br>
Oggi non può sfuggirci, eppure ci sfugge, che la crisi e le risposte
antipopolari che i padroni orchestrano da mesi per far fronte ai loro
debiti, sono il terreno principale (ci verrebbe da dire: l’unico) su cui
sviluppare la nostra lotta. Non può sfuggirci, eppure ci sfugge, che
pur esistendo diversi fronti su cui far convergere la nostra militanza,
il punto di partenza (ovvero la critica del capitale) e il punto di
approdo (il suo superamento) sono le uniche tappe ineluttabili a cui
riferirci.<br>
Ecco cosa scrivevamo poche settimane fa in un altro nostro documento:<br>
“Per quanto ci riguarda, salutiamo con favore quei compagni che
ritengono necessario rimettere in discussione la loro pratica e le loro
priorità a favore di nuove e più incisive iniziative. Noi per primi
riteniamo che la possibilità del rilancio di una prospettiva
rivoluzionaria, nasca proprio dalla capacità di porre le proprie
convinzioni nell’arena di un serrato confronto dialettico, che punti a
sintetizzare le diverse esperienze, sensibilità e analisi.<br>
Troppe volte ci siamo riempiti la bocca criticando le tendenze all’autoreferenzialità, per poi riprodurla noi per primi.”<br>
E ancora:<br>
“Sembra che, in difetto di una visione strategica e complessiva della
crisi in atto, ci si rifugi in pratiche e logiche puramente
rivendicative, dove la questione dei diritti assume un valore centrale.
La rincorsa delle pratiche sindacali e delle lotte sociali espresse nel
Paese, sembra ormai la cifra predominante nella prassi e nella teoria
delle "avanguardie" di classe. La rivendicazione del salario, della
difesa del territorio; la lotta contro le manovre finanziarie, contro i
loro presupposti antipopolari, contro gli attacchi ai diritti dei
lavoratori, lungi dall’essere un “semplice” passaggio tattico nella
complessiva lotta contro il capitalismo, rappresentano in realtà la
visione dello scontro prevalente nel corpo antagonista.<br>
Un iperattivismo che spesso non solo non colma alcuna frattura tra
cosiddetti “parolai” e cultori della pratica, ma che si inserisce di
fatto in un quadro di compatibilità col sistema per i contenuti
riformisti delle lotte e per il loro naturale sbocco.<br>
La radicalità di una lotta non è elemento sufficiente per renderla
alternativa al sistema. Se i contenuti della pratica non si sviluppano a
favore di una teoria rivoluzionaria, assisteremo a un progressivo
indebolimento di quella specifica lotta, al suo svuotamento politico e,
nel peggiore dei casi, al suo riassorbimento nell’alveo istituzionale.
Quante lotte hanno avuto questa parabola? Quante volte, anche di fronte a
importanti avvenimenti nazionali e internazionali, abbiamo assistito a
fiammate tanto potenti quanto effimere?”<br>
Ebbene, a distanza di qualche tempo da quelle parole, scritte in
occasione del fallimento dello sciopero generale autoconvocato del 6
settembre, esse ci sembrano quanto mai attuali e azzeccate.<br>
La risposta del movimento italiano alla guerra imperialista e alle
aggressioni militari a paesi sovrani, ultimo in ordine di tempo quello
alla Libia, confermano totalmente la valutazione appena esposta. Ancora
una volta abbiamo assistito a brevi fiammate di indignazione che hanno
avuto la durata che intercorre tra una vertenza e l’altra, senza (ci
tocca ripeterci) comprendere la natura strategica complessiva che lega
tra loro questi eventi.<br>
Addirittura siamo stati costretti ad assistere, nel caso della Libia, a
gruppi politici dell’”estrema sinistra” che salutavano con favore i
ribelli monarchici libici. L’abbandono di una visione materialista della
storia, non può che far sorgere approcci idealistici e manichei tanto
simili a quelli che cercano di disegnare abiti rivoluzionari addosso ai
vari Milosevic, Saddam e Gheddafi (che pur ci ispirano maggiore simpatia
di tanti apologeti del “movimento”).<br>
In realtà, l’inconsistenza e le dissennatezza di certe astruse posizioni
sono oggi al vaglio di chiunque voglia almeno provare ad aprire gli
occhi, mentre purtroppo le bombe vere se le sono prese sulla testa
ancora una volta i popoli di un Paese neanche troppo distante da noi.<br>
Noi crediamo che il 2012 ci consegnerà due nuovi conflitti, che per
portata e vastità, faranno impallidire l’intervento libico. Siria e Iran
sono nel mirino della NATO. Ma Siria e Iran possono contare su un
sistema di alleanze e su una potenza militare (soprattutto nel caso
dell’Iran) che renderà il conflitto foriero di sviluppi imprevedibili,
anche e soprattutto per la funzione e il destino dello stato fascista
israeliano.<br>
Tuttavia la guerra è già iniziata. La macchina mediatica occidentale
prepara da anni il terreno (questa volta per loro assai tormentato) per
l’attacco. Ma se provassimo a leggere tra le agenzie non allineate e tra
le righe degli stessi organi d’informazione dei padroni, ci
accorgeremmo di come il conflitto sia concretamente già in atto da
qualche mese. Omicidi mirati e bombardamenti aerei sono ormai una
pratica consolidata che Israele non riserva più solo a Gaza, ma che
utilizza con frequenza anche in Iran. Intanto, la guerra diplomatica si
scalda e le navi americane hanno già varcato lo stretto di Suez
dirigendosi verso le acque territoriali siriane, lasciando preludere i
prossimi sviluppi.<br>
In Italia, ancora una volta, arriviamo divisi a questo ennesimo
appuntamento con la guerra imperialista. Sono tanti conto che,
all’interno del movimento antagonista, sostengono la lotta del popolo
siriano e iraniano contro i propri despoti politici, tracciando un
parallelo tra le singole rivolte in atto nelle piazze arabe. Stabilendo
così che non vi sono differenze sostanziali tra quanto accaduto in
Tunisia e in Libia (o evitando di approfondire la questione), tra quanto
sta avvenendo in Egitto o nelle città delle monarchie del golfo, e
quanto succede oggi in Siria e Iran. Alimentandosi, di fatto, di
propaganda occidentale ed esponendosi al rischio del ridicolo. Vi
ricordate la blogger siriana lesbica che poi si scoprì essere un soldato
americano? O la ragazza torturata e smembrata dalle forze di sicurezza
di Assad che ricompare qualche tempo dopo viva e vegeta raccontando che
era semplicemente scappata di casa? Evidentemente, i padroni sanno bene
su quali leve far presa per scatenare lo sdegno tra le fila del popolo
di sinistra.<br>
Non ci sfugge il fatto che lo scontro in questi Paesi sia duro. Che la
repressione faccia il suo corso mietendo vittime e ingiustizie. Ma
crediamo che le contraddizioni vadano affrontate una alla volta e che in
questo momento la contraddizione principale è quella rappresentata
dall’attacco NATO/Israele che si profila all’orizzonte e che spazzerà
d’un sol colpo ogni differenza, ogni tendenza centrifuga, ogni volontà
rivoluzionaria presente a quelle latitudini. Ogni spina nel fianco
dell’imperialismo, ogni ostacolo che trova sul suo cammino è un
patrimonio che va difeso, anche quando non ha la forma, il colore o le
parole d’ordine che noi vorremmo.<br>
L’indignazione non basta. In Tunisia i moderati islamici sono al potere.
La Libia è tornato a essere un protettorato occidentale. In Egitto i
militari massacrano nelle piazze. Nelle monarchie del golfo è in corso
una carneficina con il beneplacito della NATO.<br>
Noi crediamo che si debbano anticipare i tempi, per creare un movimento
capace nuovamente di portare la questione della guerra e della crisi al
primo punto dell’ordine del giorno. Quei popoli hanno avuto il coraggio e
la forza di alzare la testa e di buttarsi nella lotta. Questo è il più
grande insegnamento che riceviamo da loro.</p>
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