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Conviene riconoscerlo perché altrimenti si rende un pessimo servizio a tutti i lettori, sorpresi come tanti - ieri mattina - dal blocco pressoché totale dei mezzi pubblici a Roma, Venezia, Milano e in molte altre città minori; o dalla chiusura di un'infinità di uffici pubblici in tutta Italia.<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>Merito dello sciopero generale indetto da quattro sindacati di base (Usb, Snater, Slai Cobas e Unicobas), anche se la prima organizzazione - nel corteo che ha attraversato Roma - è sembrata di gran lunga la più rappresentativa (l'unica peraltro che venga fuori da un processo di unificazione). Quattro sigle, a ricordare che ognuna ha un suo perché nel passato, anche se diventa sempre meno chiara la ragione - in questo futuro già iniziato - della persistente differenziazione. Comunque sia, la mobilitazione ha dato risultati inattesi. Nemmeno il fatto che la Cgil avesse all'ultimo momento revocato lo sciopero ha impedito che i trasporti si fermassero; le metro, soprattutto. Persino all'Atac di Roma, di recente inzeppata di centinaia di «parenti e amici» degli ex An («ma li hanno messi tutti in ufficio, mica a guidare un autobus», spiegavano ridendo gli autisti in piazza).<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>Il trasporto pubblico è del resto il settore dove il successo o meno di uno sciopero può esser misurato senza troppe incertezze o guerre dei numeri; più complicato è farlo nel pubblico impiego, nei servizi dove bisogna mantenere comunque «livelli minimi» spesso vicini alla normale operatività (come la sanità, per esempio), o tra i «lavoratori socialmente utili» che ormai vengono tenuti ogni anno sull'orlo del baratro a causa dei continui tagli alla spesa. Si potrebbe dire che in fondo è normale, proprio questi sono i settori dove i sindacati di base hanno scavato la propria nicchia o elevato una trincea abbandonata dai «confederali» (i cui dirigenti sono spesso diventati - dalla sera alla mattina - manager di aziende municipalizzate).<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>Ma significativa e visibile era comunque anche la presenza operaia (delegazioni Fiat sono arrivate da Mirafiori, Pomigliano, Cassino). Mentre donne e uomini dei servizi più dimenticati facevano di tutto per ricordare la propria condizione innalzando scope, camici, palette. I vigili del fuoco hanno costituito come sempre il lato «inattaccabile» del corteo, mantenendo un ordine di sfilata spesso estraneo ad altre categorie. Importante la presenza dei lavoratori Alitalia - in carica o cassintegrati - i primi a sperimentare sulla propria pelle quel trucco infame delle newco che poi ha tracimato nel «modello Marchionne».<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>Un corteo fatto solo di lavoratori; «stabili» o precari, qui non si fa differenza. Gli studenti del movimento, infatti, saranno impegnati oggi in altre manifestazioni. Altre figure sociali sono quelle che vengono faticosamente organizzate dai «blocchi metropolitani» - senza casa, precari, immigrati in via di regolarizzazione, ecc - una sorta di «sindacato metropolitano» che va prendendo forma e consistenza là dove le modalità classiche del fare sindacato mostrano la corda.<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>Un tratto che unisce tutte queste diversità però esiste e viene rivendicato con forza: «non abbiamo e non vogliamo avere niente a che spartire con i maneggioni della politica o dei sindacati ufficiali; qui non si scambiano i diritti di tutti con i privilegi di una burocrazia ristretta». È un altro mondo. Quello delle periferie e dei capannoni, degli uffici o dei servizi, spesso precarissimo. Girano quasi di forza sulla strada che porta al Senato. I poliziotti in borghese si ritirano dietro i blindati chiusi a testuggine, più intelligenti dei politici che li comandano, ormai. Lo sfogo è molto simbolico: tende da campeggio vengono tirate o issate sopra i furgoni della polizia, a simboleggiare quelle in piazza Tahrir, al Cairo, simbolo della rivolta di questi mesi nei paesi arabi. Qualche petardo «per farsi sentire da quelli lì dentro» e poi via, per chiudere una bella giornata nel teatro senza eguali di Piazza Navona. I tempi cambiano, i soggetti in campo pure.<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal><o:p> </o:p></p><p class=MsoNormal>I PRECARI METROPOLITANI<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>«Noi, insindacalizzabili contro tutti i poteri» Tende e lanci di rosso<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>di Ylenia Sina<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal><o:p> </o:p></p><p class=MsoNormal>Ad animare la giornata dello sciopero generale dei sindacati di base ieri per le strade di Roma non c'erano solo migliaia di lavoratori. Dietro allo striscione dei Blocchi Precari Metropolitani centinaia di «insindacalizzabili»: precari, attivisti dei movimenti per il diritto all'abitare, migranti, senza reddito, rom che hanno portato in piazza «la rabbia contro una precarietà che ormai non è più solo lavorativa ma di vita» denunciano dal Bpm. «Per rovesciare questa quotidianità e generalizzare il più possibile lo sciopero» hanno voluto essere presenti a fianco del sindacato tradizionale per rivendicare reddito, casa, welfare, per opporsi alle privatizzazioni e alla rendita, per difendere i beni comuni.<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>All'urlo di Kifaya, il «basta» che ha dato forza alle rivolte egiziane, mentre la coda del corteo si allontanava da Termini, a essere colpiti dalle uova colorate di rosso dei Blocchi Precari Metropolitani sono stati proprio i simboli dei poteri forti, sui posti di lavoro così come nelle città, che si trovano lungo via Cavour. Prima le sedi di Cisl e Uil «che stringono accordi con Confindustria sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici di questo Paese», poi una filiale dell'agenzia immobiliare Pirelli Re. Quindi Tecnocasa. Infine «un saluto anche alla rendita immobiliare» e la facciata di un enorme palazzo vuoto, prima di proprietà pubblica, poi della Fimit e ora in mani private pronte a «valorizzarlo».<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>«Quella che è scesa in piazza oggi è una parte di città arrabbiata e stanca della crisi e della precarietà alla quale ci hanno condannato, stanca della svendita del patrimonio pubblico e della privatizzazione dei beni comuni, stanca di essere senza casa a fronte di migliaia di palazzi vuoti», spiega Paolo Di Vetta del Bpm mentre, nei pressi del Senato, venivano aperte una ventina di tende da campeggio, simbolo con il quale la piazza arrabbiata e meticcia dei sindacati di base ha assaltato i blindati a difesa dei palazzi del potere. Tende che hanno ricordato la grave emergenza abitativa che colpisce l'Italia, in primis la Capitale, ma hanno anche voluto affermare come «il percorso verso la nostra piazza Tahrir è un orizzonte e uno spazio politico che può accendersi con rabbie diverse e plurali». «Non un passaggio estetico - continua Paolo Di Vetta - ma una gesto di rottura con il modello di sviluppo con il quale vogliono governare questo paese».<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>Un vero e proprio dies irae, giorno della rabbia, come l'ha chiamato il Bpm, sfociato in una piazza Navona piena di gente e di bandiere dei sindacati di base. Una giornata che per il «sindacato metropolitano» «è una tappa importante di un percorso di lotta che non si fermerà qui» perché una piazza come quella di ieri «conflittuale, senza governi amici e che oggi, e non nel futuro, rivendica quei diritti che ci vengono negati nel presente è anche la nostra piazza».<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal><span style='color:#1F497D'><o:p> </o:p></span></p><p class=MsoNormal><o:p> </o:p></p></div></body></html>