<!DOCTYPE HTML PUBLIC "-//W3C//DTD HTML 4.0 Transitional//EN">
<HTML><HEAD>
<META content="text/html; charset=windows-1252" http-equiv=Content-Type>
<META name=GENERATOR content="MSHTML 8.00.6001.18999">
<STYLE></STYLE>
</HEAD>
<BODY bgColor=#ffffff>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">Buonissimo pezzo di un
osservatore privilegiato di università e dintorni.</FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">Magari la rottura dell'«equilibrio
tra capitale e lavoro raggiunto dalle socialdemocrazie europee» è avvenuta anche
per le spallate operaie... Il passaggio al postfordismo e al
neoliberismo non è leggibile solo come una marcia trionfale e senza
resistenze del capitale che, non dimentichiamolo, è sempre un rapporto. Anzi,
l'odierno capitalismo cognitivo vede una crescente autonomia e potenza del
lavoro. Insomma, la partita è sempre aperta...</FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">e</FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2><BR><FONT face="Microsoft Sans Serif"></FONT></FONT></DIV>
<H1><A
title="Permanent Link to La Riforma Gelmini e la fine della Storia dell’Università di massa"
href="http://www.gennarocarotenuto.it/14725-la-riforma-gelmini-e-la-fine-dellrsquouniversitagrave-di-massa/"
rel=bookmark><FONT size=5 face="Microsoft Sans Serif">La Riforma Gelmini e la
fine della Storia dell’Università di massa</FONT></A></H1>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV class="entry singleentry">
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">Ha ragione Mariastella Gelmini a
celebrare l’approvazione della sua riforma dell’Università come “la fine del
Sessantotto”. Con questa espressione però la ministro non intende quello che
ogni buon conservatore associa al cosiddetto Sessantotto: antiautoritarismo,
antimilitarismo, liberazione sessuale, rottura della morale borghese, equilibrio
nel conflitto tra capitale e lavoro.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">No, per Mariastella Gelmini il
Sessantotto<INS dateTime=2010-12-23T17:33 cite="mailto:Gennaro">
</INS>rappresenta innanzitutto un aborrito “egualitarismo”, da combattere con le
armi dello sfuggente concetto di “meritocrazia” che la nuova legge si propone di
incarnare. La Riforma di oggi è “la fine del Sessantotto” in quanto fine di quel
fattore cardine di coesione e perequazione sociale rappresentato dall’Università
di massa che Berlusconi e Tremonti, attraverso Gelmini, si erano promessi di
eliminare.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">di </FONT><A
href="http://www.gennarocarotenuto.it"><FONT size=2
face="Microsoft Sans Serif">Gennaro Carotenuto</FONT></A></P>
<P><SPAN id=more-14725><FONT size=2
face="Microsoft Sans Serif"></FONT></SPAN></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">L’equilibrio tra capitale e lavoro
raggiunto dalle socialdemocrazie europee si protrasse per tutto il decennio
successivo finché il primo, con la spallata thatcheriana, non prevalse sul
secondo. La svolta neoliberale e neoconservatrice, che in Italia prese la forma
simbolica della “marcia dei 40.000” prima e del berlusconismo poi, oggi,
trent’anni dopo, è tra i fattori che stanno determinando la caduta di coesione
sociale che è alla base dell’eclisse dell’Occidente. La Riforma Gelmini
approvata oggi dal Senato è quindi epocale perché è il compimento di un lungo
percorso che rompe in Italia un altro equilibrio fondamentale: quello tra la
Costituzione, che ancora elementi, come il diritto allo studio, di forte
perequazione sociale in un’economia di mercato, e gli interessi delle classi
dirigenti. Gli ottimati pensano di incarnare il “merito” per censo e con Gelmini
hanno l’occasione, nel tardo neoliberismo incarnato dal governo Berlusconi, di
rafforzare e rinnovare privilegi antichi. Quindi, al contrario di quanto dice il
ministro, solo i figli dei farmacisti continueranno a fare i farmacisti, i figli
degli architetti gli architetti e i figli dei baroni… i baroni. Ciò perché la
riforma Gelmini rappresenta la caduta dell’architrave democratico della nostra
società rappresentato dall’Università di massa come percorso di ascensione
sociale prima precluso ai più, poi dalla fine degli anni ‘60 aperto a tutti (che
roba Contessa!), da oggi di nuovo ristretto.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">I numeri parlano chiaro. Alla metà
degli anni ‘60 gli studenti universitari in Italia erano 400.000. Oggi sfiorano
i due milioni. Riscontriamo dati simili per tutti i nostri paesi di riferimento,
la Francia, la Germania, la Gran Bretagna. Nell’Europa occidentale, nel
quarantennio che ci separa dal “maggio francese” il numero delle persone che
hanno potuto spendere sul mercato del lavoro un titolo universitario è
quadruplicato. Ovvero: con l’Università di massa i figli del popolo vanno
all’Università, senza Università di massa i figli del popolo, anche i capaci e i
meritevoli, ne sono esclusi.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">Prima di proseguire, allora, è bene
che il lettore si interroghi se i propri studi universitari sarebbero stati
possibili se fosse nato una generazione prima. Basta interrogarsi sulla propria
classe sociale di provenienza e sul percorso formativo dei propri genitori per
avere un’approssimazione di risposta. Basta dare </FONT><A
href="http://cercauniversita.cineca.it/php5/docenti/cerca.php"><FONT size=2
face="Microsoft Sans Serif">un’occhiata</FONT></A><FONT size=2
face="Microsoft Sans Serif"> al registro del personale docente universitario, in
particolare dei 27.000 ricercatori. Altro che “parentopoli”! Nella maggior parte
dei casi troverete cognomi umili (vogliamo dire proletari?) che per la prima
volta nella storia accedono alla docenza universitaria. Lo stesso l’Università
di massa ha garantito in altri campi, dalla medicina all’avvocatura. Che
l’operaio abbia visto il proprio figlio dottore non vuol dire che i dottori di
oggi siano migliori di quelli di ieri. Vuol dire che lo studiare come privilegio
elitario, sia pure in un contesto dove permangono mille problemi, è stato
abbattuto da quell’Università egualitaria della quale oggi Gelmini rivendica lo
scalpo.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">L’Università di massa della quale si
celebra il funerale era figlia della lotta generazionale e di classe per
permettere ai molti di sfuggire sia a un lavoro subalterno che a una
subalternità culturale. Tale destino subalterno aveva cominciato ad essere
superato quando la costruzione delle nazioni dopo la Rivoluzione francese aveva
teorizzato e praticato l’educazione di massa come passaggio ineludibile per il
benessere della società. In Italia però, con la riforma Gentile, della quale
Gelmini si considera erede, in epoca fascista, l’avviamento al lavoro subalterno
di chi non apparteneva alla classe dirigente era rigidamente incanalato fin
dalla pre-adolescenza e solo nel periodo dell’odiato Sessantotto le masse
ruppero gli argini e conquistarono il diritto a studi e carriere
superiori.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">Certo, l’ultimo quarantennio ha
mostrato tutte le difficoltà della costruzione di un modello democratico di
Università. Gli studenti che provengono dalla classe lavoratrice beneficiano di
meno opportunità e stimoli di quelle offerte dalle famiglie borghesi. Hanno in
casa biblioteche meno capienti, hanno fatto meno viaggi, visitato meno musei.
Sono stati meno sorretti nelle difficoltà e più portati all’abbandono degli
studi. Allo stesso modo un’Università che ha bisogno di circa centomila docenti
tra strutturati e precari non può garantire lo stesso livello medio di didattica
di un’università elitaria. I saperi di massa si sono per loro stessa natura
massificati e in qualche caso sviliti. Arrivano alla laurea studenti con basi
culturali traballanti che faranno ben poco con il “pezzo di carta”. Ciò non è un
bene ma l’unica alternativa sostenibile, come sa per esempio il cancelliere
Angela Merkel, è continuare a investire in educazione, borse di studio, aiuti,
che permettano di liberare le forze di ragazzi altrimenti destinati
all’abbandono. Alla logica del “merito” teorizzato da Gelmini e supportato dal
taglio del 90% delle borse di studio, che comporta lo stigma del “demerito”, va
contrapposta la logica del sostegno a chi ne ha bisogno come unica possibilità
di progresso della società.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">E’ vero, l’Università di massa è
piena di sclerosi e di malfunzionamenti, difetti, sprechi e si basa su un
modello piramidale dove il servilismo rende di più del pensiero critico. Ma la
risposta non può essere quella neo-elitaria della Gelmini e di Francesco
Giavazzi, mai osteggiata seriamente dal centro-sinistra. Valgano due dettagli
per tutti: il citato taglio anticostituzionale del 90% delle borse di studio e
l’allungamento di ulteriori sei anni del precariato per accedere ai ruoli
universitari. Questo domani porterà ad un ingresso molto oltre la soglia dei 40
anni. Chi ne sarà colpito non saranno i figli della classe medio-alta, che
possono con crescente difficoltà pagare, o quelli della classe dirigente, che
già oggi vanno a studiare all’estero come nella miglior tradizione dei paesi
sottosviluppati.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">Chi ne sarà naturalmente colpito
saranno quegli studenti vittime del “demerito indotto” dalle loro condizioni
sociali e che si interrogano quotidianamente se vale la pena continuare a
studiare rispetto ai sacrifici che ciò comporta. Chi si beneficerà
dell’allungamento ulteriore del precariato universitario voluto dalla Gelmini
con i contratti da ricercatore a tempo determinato, saranno i figli di
professori, i figli della classe dirigente. E’ questa la vera parentopoli! La
vera parentopoli, la parentopoli sociale rafforzata dalla Gelmini, è quella del
classismo del quale è intrisa la vita universitaria a ogni livello e del quale
se ne comprendono i meccanismi solo dall’interno. Lo scandalo non si gioca sui
cento metri piani di un concorso più o meno combinato. Si gioca sulla lunga
distanza di una maratona dove i capaci e i meritevoli, anche se in testa alla
corsa, vengono costretti ad abbandonare per mancanza di acqua prima di un
traguardo posto ogni giorno più lontano.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">Sbagliano dunque gli studenti che
temono la “privatizzazione” dell’Università. In Italia tutte le privatizzazioni
si sono sempre fatte con soldi pubblici e non è questo il caso. Il progetto
continentale, che possiamo far partire dal “processo di Bologna” del 1999 è
quello della dismissione dell’Università di massa per preservarne solo gli spazi
elitari. E’ quello di un’Università che autoriducendosi esce dalla sfera del
diritto allo studio per entrare nel mercato come “public company” e dalla quale
pertanto sono espulsi quelli che nell’Università cercavano un luogo per sfuggire
ad un destino sociale di subalternità. Nel 2020, quando la riforma Gelmini sarà
a pieno regime e il blocco del turn-over avrà impedito la sostituzione dei
quadri entrati in ruolo nei primi anni ‘80, l’Università pubblica avrà docenti
solo per 5-600.000 studenti con la conseguente espulsione dei tre quarti degli
studenti attuali. Un bel risparmio per il quale oggi incroceranno i calici
Gelmini, Giavazzi e Tremonti.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">È un risparmio che nasconde il
disinvestimento nel paese nel suo complesso che torna ad essere identificato
nella propria classe dirigente escludendo tutte le altre. La riforma Gelmini
accelera dunque un processo che costituisce un salto indietro (graduale,
mascherato) di 50 anni, ai numeri dei primi anni ‘70, nel quale un numero
limitato di clienti-studenti troveranno soddisfazione alle loro esigenze di
imprenditoria individuale. Tutto il resto, tutto quanto non smerciabile, sapere
critico, cultura, dovranno essere marginalizzati in piccole nicchie perché, per
i criteri di economicità e di profitto con i quali funzionerà l’Università
“public company” non c’è posto per loro come non c’è posto per quelle classi
popolari e medio-basse che in questi 40 anni avevano beneficiato dell’Università
in un processo di ascensione sociale.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">Il problema è che se il modello su
cui si basa la Riforma Gelmini poteva essere vendibile 15 o 20 anni fa, al
momento di auge del modello neoliberale, è palesemente antistorico oggi che la
crisi ne mette a nudo l’impraticabilità. Oggi chiunque ha avuto occasione di
confrontarsi con gli studenti sa che questi non lottano per sfuggire solo ad un
destino subalterno ma anche per sfuggire ad un modello di sviluppo capitalista
che ha eretto la precarietà come nuova, più avanzata e più pervasiva forma di
costringerli a tale subalternità nonostante gli studi universitari. Se oggi un
titolo universitario non garantisce più progressione sociale la risposta del
governo è quella di indurre a rinunciare all’educazione superiore chi
acquisirebbe un titolo svalutato. Al contrario la richiesta degli studenti è di
una politica che riqualifichi e renda nuovamente spendibili tali
titoli.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">Venti anni fa si poteva ancora far
finta di non esserne coscienti, ma oggi è evidente che la precarietà non è solo
un miglior modo di controllo sociale, di coercizione sindacale e di
massimizzazione degli utili ma anche l’unica maniera di creare lavoro che questo
modello di sviluppo riesce a concepire. Paesi come l’India, in grado di laureare
700.000 ingegneri l’anno, sanno che dai grandi numeri si può scremare
l’eccellenza. L’Italia (e pezzi dell’Europa) sta scegliendo un cammino opposto,
convogliando decrescenti risorse su numeri via via più ristretti che tornano a
coincidere con le élite tradizionali. Dal rifiuto della riforma Gelmini all’
“intuizione” di un destino subalterno e precario che ha portato gli studenti, a
Londra come a Parigi come a Roma, a scendere in piazza, all’elaborazione di un
modello alternativo di Università e di società che rimetta al centro, in una
società dei saperi rivalorizzati, la lotta all’esclusione, il passo è ancora
lungo. Per colmarlo ci vorrebbe la politica.</FONT></P>
<P class=postAuthorLink><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">Gennaro
Carotenuto su </FONT><A href="http://www.gennarocarotenuto.it"><FONT size=2
face="Microsoft Sans Serif">http://www.gennarocarotenuto.it</FONT></A><FONT
size=2 face="Microsoft Sans Serif"> </FONT></P></DIV>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </P>
<P><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </P></BODY></HTML>