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<DIV>Niente di che, lo giro per documentazione.</DIV>
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<H2 id=ctl00_mainContent_titlenews>Marco Revelli: «Postpolitici e arrabbiati,
figli di un sogno interrotto»</H2>
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<H3 id=ctl00_mainContent_subtitlenews class=sottotitolo>intervista di Tonino
Bucci</H3>
<P><IMG hspace=15 alt="" vspace=5 align=left
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width=175 height=139><IMG alt=""
src="http://liberazione.it/uploads/FCKeditor/image/manifestazione-studenti.jpeg"
width=0 height=0>Chi sono gli studenti scesi in piazza l'altro giorno? E chi
sono gli operai che hanno partecipato alla manifestazione delal Fiom del 16
ottobre? Operai e studenti, sembra la riedizione del biennio '68-'69, ma forse è
solo un'analogia superficiale. L'impressione è che si stia affacciando sulla
scena pubblica una nuova generazione, cresciuta in piena epoca berlusconiana, in
regime di pensiero unico e che oggi sperimentano il fallimento del grande sogno
del benessere e dell'individualismo trionfante. Ma con quale rappresentazione di
sé? Quella che un tempo si chiamava "coscienza di classe" non è determinata solo
dalle condizioni sociali o dal proprio ruolo nella produzione, è anche un
prodotto della storia, delle culture e degli stili di vita. Ne parliamo con
Marco Revelli, storico e sociologo, docente all'università del Piemonte
Orientale.</P>
<P><STRONG>Qual è la soggettività di questo movimento, nuovo, oltre che il primo
sorto nell'epoca della crisi? </STRONG><BR>Trovo insopportabile il modo in cui
in questi giorni si è discusso del movimento degli studenti e delle varie forme
di insorgenza che si stanno manifestando. E' un atteggiamento banalizzante,
privo di curiosità e di interrogazione. Tutti pronti a scandalizzarsi per il
minimo gesto di devianza come se ci muovessimo in un ambiente
politico-istituzionale perfetto, corretto, eticamente inappuntabile Non ci sto a
buttare la croce addosso agli studenti, a fare le pulci col microscopio. Ma cosa
importa se gli studenti hanno letto tutti gli articoli della riforma Gelmini
oppure no? Detto questo, trovo che questo sia un movimento post-politico. Non so
neppure se sia un movimento. Sicuramente è un comportamento massificato per quel
che riguarda gli studenti, ma non solo. Ci sono anche i migranti che salgono
sulle gru o gli operai di Pomigliano che si ribellano ai ricatti. E' un pezzo di
società che fa da sé, che ha staccato la spina, che ha capito che le dinamiche
politico-istituzionali e la propria vita sono due mondi separati. E' un
movimento che si misura con l'inedita durezza della vita contemporanea mentre
tutto il resto della società si muove dentro la bolla della narrazione della
società del benessere. Sono il prodotto della fine dello sviluppo e lo sanno.
Questo li rende diversi da tutti i soggetti collettivi novecenteschi che stavano
dentro il progetto dello sviluppo. Questi nuovi movimenti abitano il declino. I
protagonisti di martedì erano in gran parte minorenni che non sono
decodificabili con nessuna delle chiavi dell'analisi politica e sociale
precedente. Sono i figli del benessere interrotto, la generazione futuro zero.
Ma questo valeva anche per Genova, solo che allora, alle spalle, c'era
l'accumulazione politica precedente. Questi hanno invece un linguaggio inedito,
non hanno neppure Che Guevara sulle bandiere. Sono il prodotto della seconda
Repubblica e della tabula rasa di tutte le culture politiche. Faccio un esempio.
Qui a Torino il Politecnico è sempre stato una scuola di elite e un luogo
d'ordine. Sfornava gli ingegneri che si formavano dentro l'orizzonte della
grande impresa e ne assumevano i codici di funzionamento. Erano i custodi del
sapere del grande capitalismo. Bene, oggi il Politecnico è il più radicalizzato.
Ho sentito parlare ricercatori e ingegneri, sembrava di ascoltare gli operai di
Mirafiori degli anni Ottanta. Forza lavoro utilizzata in un grande ciclo
improvvisamente privata di diritti e orgoglio.</P>
<P><STRONG>Una proletarizzazione dei lavoratori
intellettuali...</STRONG><BR>Esattamente, una forza lavoro che si trova
proiettata in un segmento periferico. I ragazzi che si laureano al Politecnico
descrivono uno scenario di deprivazione di ruolo sociale, di status, di
controllo sulla propria vita. E questi sono la elite. Davanti all'aula magna,
l'altra mattina, c'era uno striscione con la scritta: "Ci avete tolto troppo,
adesso rivogliamo tutto". C'è la tragica verità, sono stati davvero deprivati di
tutto, gli abbiamo lasciato un mondo senza futuro. Ma è anche un'affermazione
irrealistica, perché non esiste un luogo dove puoi riprenderti quello che ti
hanno tolto. Le risorse sono evaporate nei grandi circuiti finanziari globali,
sono delocalizzate. Insomma, esprimono una domanda sulla propria identità. Chi
siamo?</P>
<P><STRONG>Per costruire un blocco sociale bisogna anche conseguire qualche
risultato. Come possono essere efficaci i movimenti nello scenario attuale di
una democrazia oligarchica? </STRONG><BR>E' un movimento post-politico, ma non
pre-politica...</P>
<P><STRONG>Il conflitto, oggi, ha una sua politicità per il fatto stesso di
esistere, no?</STRONG><BR>Non dobbiamo pensare che il conflitto sia pre-politico
per cui sarebbe compito di quelli che vedono più lontano offrire la prospettiva
perché il conflitto possa elevarsi alla dimensione nobile della politica. La
dimensione della politica di oggi è trasversalmente ignobile, con punte di
degrado nella destra. E' una dimensione in cui rischi di perderti. Certo ci sono
delle eccezioni, ma sono mosche bianche. Lo spettacolo che si è celebrato
l'altro giorno alla Camera e al Senato non è il luogo che possa fare da sponda
al movimento. E' il deserto dei tartari. L'efficacia di questo movimento non
passa per la sua capacità di salire alla politica, ma consiste nel fatto stesso
d'esistere. Oggi è già una cosa enorme che i movimenti esistano come corpi che
riempiono le strade.</P>
<P><STRONG>Cosa possiamo fare se non custodirli nella loro capacità
d'esistere?</STRONG><BR>Se lo tocchi muore, è delicato, è fragile. E' stata
fatta un'operazione di rappresentanza politica del movimento di Genova col
risultato di frammentarlo in mille rivoli. Il loro esistere indifferenziato - i
negriani direbbero come "moltitudine" - sarà pure un linguaggio disarticolato,
se vogliamo, ma testimonia la propria irriducibilità al discorso ufficiale, alla
narrazione dominante. Come evolverà? Non so dirlo. La crisi può generare esiti
imprevedibili in una società che si è costruita sul mito dell'opulenza e del
consumo. L'impoverimento può anche produrre rancore e odio.</P>
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<P class=meta><STRONG class=date><SPAN class=hide>in data:</SPAN>17/12/2010
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