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<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">Una proposta riformista sì, ma di
buon riformismo, del vecchio garantista Stefano Rodotà.</FONT></DIV>
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href="http://www.umbrialeft.it/approfondimenti/internet-diritto-costituzionale-proposta-arriva-senato-sul-web-dibattito"><FONT
size=5 face="Microsoft Sans Serif">Internet diritto costituzionale: la proposta
arriva in Senato. Sul web dibattito</FONT></A></H1>
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<DIV class=timenews><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">17/12/2010 -
10:54</FONT></DIV>
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face="Microsoft Sans Serif">ROMA - La proposta del giurista Stefano Rodotà, un
articolo 21bis della Costituzione per sancire il diritto di accesso a internet,
è approdata in Parlamento. È contenuta nel disegno di legge 2485 presentato da
16 senatori, primo firmatario Roberto Di Giovan Paolo del Partito Democratico.
“Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di
parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di
ordine economico e sociale”. Questo il testo, frutto di un accurato lavoro che
ha coinvolto anche il professor Tullio De Mauro. Secondo questa impostazione,
internet dovrebbe diventare un diritto fondamentale, un corollario tecnologico
necessario per il pieno dispiegarsi della libertà d'espressione e del diritto ad
essere informati, che sono poi le due “facce” dell'attuale articolo 21. E per
rendere effettivo questo diritto, diventa indispensabile un intervento pubblico
finalizzato, per forza di cose, a colmare il digital divide, il divario
digitale, ovvero le distanze nelle possibilità di accesso alla rete tra
cittadini italiani più o meno serviti da connessioni a banda larga, più o meno
alfabetizzati all'utilizzo delle tecnologie informatiche. Il testo del 21bis è
stato presentato il 29 novembre a Roma, nel corso di un dibattito svoltosi
all'interno dell'Internet Governance Forum, versione italiana dell'assise Onu
che annualmente riunisce attorno a tavoli di lavoro tematici i diversi
stakeholders, portatori di interessi (cittadini, enti locali, università e
imprese) coinvolti nell'utilizzo e nello sviluppo della rete. La rivista Wired
Italia ha lanciato una petizione on line a sostegno dell'iniziativa, fortemente
voluta dal direttore del magazine, Riccardo Luna. Lo stesso Rodotà, sul sito
dell'associazione Articolo 21, ha provato a rispondere alle critiche che sul web
non sono mancate. C'è chi la ritiene un'operazione di marketing, chi il primo
passo verso un pericoloso interventismo statale. Chi, con argomentazioni più
sostanziate, sostiene che la Costituzione italiana vada già bene così com'è, e
che se le prescrizioni attuali non bastano, non si capisce perché un altro
articolo dovrebbe tradursi in un beneficio concreto. In questo caso, si fa
riferimento all'articolo 3 e ad una sua lettura estensiva. Tra gli ostacoli,
economici e sociali, che la Repubblica dovrebbe rimuovere poiché “impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, oggi c'è
anche l'accesso a internet. Stando così le cose, a cosa servirebbe un altro
articolo ad hoc? “Il fatto che in Italia si possa già fare riferimento a norme
costituzionali o ordinarie non è considerazione di per sé risolutiva – scrive
Rodotà - Al contrario, abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a continue
incursioni che considerano Internet come un territorio dove si possano mettere
impunemente le mani, nella sostanza negando proprio che si tratti di materia già
accompagnata da una adeguata copertura costituzionale. Se la proposta di un
articolo aggiuntivo spingerà ad una reinterpretazione dell’art. 21 e ad una
estensione della garanzia costituzionale, non sarà un risultato da poco”. C'è
allora la volontà di affrontare il problema del divario digitale, stabilendo
dunque il ruolo attivo del soggetto pubblico per colmare carenze
infrastrutturali che impediscono a molti cittadini di poter usufruire della
banda larga, ovvero di una connessione decente ad esempio a interagire con la
pubblica amministrazione. Ma non si tratta solo di questo. E' la stessa rete a
dover essere tutelata, da chi sembra non essersi accorto della sua valenza in
quanto “precondizione della cittadinanza, dunque della stessa democrazia. E, in
questo modo, si fa emergere anche l’inammissibilità di iniziative censorie”.
Dunque, internet come diritto costituzionale, di rango superiore, per evitare
leggi come il decreto Pisanu. Una legge nata con finalità antiterroristiche
sulla regolamentazione delle connessioni senza fili, che con l'introduzione di
una serie di obblighi di carattere burocratico, di fatto costituisce un grosso
ostacolo alla diffusione del wi-fi, tanto che lo stesso ministro dell'Interno,
Roberto Maroni ha promesso di volerlo abolire. Ma anche internet come diritto
costituzionale per rendere inammissibili proposte come quella inserita nel
disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche. Una proposta per ora
bloccata che puntava ad estendere il diritto di rettifica, oggi previsto per la
stampa, a tutti i siti informatici. In pratica una mannaia sui blog, sul nuovo
giornalismo partecipativo e non professionale, e quindi sul pluralismo delle
fonti informative e implicitamente sulla libertà d'espressione e sul diritto ad
essere informati. Iniziative simili sono già state attuate in altri paesi
europei, come la Finlandia, la Grecia e l'Estonia, e in questa direzione va
anche un recente pronunciamento del Conseil Constitutionnel, la Corte
Costituzionale in Francia. E tuttavia la realtà italiana ha esigenze specifiche.
Il contesto storico e politico nel quale si inserisce questa integrazione della
legge fondativa dello Stato, è fondamentale, come sottolineato dall'avvocato
esperto di diritto in rete Guido Scorza: “Le leggi – ha scritto Scorza sul suo
blog - non sono principi filosofici o teoremi astratti avulsi dallo spazio e dal
tempo ma, rispondono - o dovrebbero rispondere - alle esigenze ed ai problemi
della comunità che attraverso esse si intendono governare […] L’Italia ha più
bisogno di internet che la più parte dei Paesi occidentali perché in Italia
l’informazione è meno libera è più dipendente da pochi grandi centri di potere
economico-politico che altrove”. Molto chiaro, e dal punto di vista di chi
scrive, molto condivisibile. I tempi per l'eventuale approvazione della legge
non saranno brevi, visto che, trattandosi di una legge costituzionale, è
necessaria una doppia lettura di Camera e Senato. Insomma, il traguardo è molto
lontano. Certo è che un risultato è già stato raggiunto: il dibattito, perlomeno
sul web, è aperto e non si può dire che non sia un bene.</FONT></DIV>
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