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<DIV style="FONT: 10pt arial"><FONT face="Times New Roman"><FONT size=3>Certo,
malgrado questa ripassata, Chomsky concede ancora qualche credito a Obama,
se solo la popolazione da "spettatrice" diventasse "partecipe". Ma se la
popolazione fosse davvero protagonista, non avrebbe neanche bisogno di
lui né di qualunque altro funzionario del capitale.</FONT></FONT></DIV>
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<DIV style="FONT: 10pt arial"><FONT face="Times New Roman">Sent: Thursday,
November 18, 2010 4:25 PM</FONT></DIV>
<DIV style="FONT: 10pt arial"><FONT face="Times New Roman">Subject:
[Geopolitica] Chomsky</FONT></DIV>
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<P><FONT size=3 face="Times New Roman"><FONT size=2>Cr*,<BR><BR></FONT>Un
bilancio in rosso per Obama <BR><BR>Autore: Chomsky, Noam <BR><BR><EM>Il
giudizio severo del grande intellettuale statunitense sulla politica del
presidente USA: troppo debole con i poteri forti. Il manifesto , 18 novembre
2010 <BR><BR><BR>Una Casa Bianca ostaggio dei supporter del neoliberismo.
Anticipiamo brani da «America, no we can't», il saggio che il noto linguista ha
dedicato alla politica statunitense, all'interno del quale analizza i primi due
anni della presidenza democratica <BR></EM></FONT></P>
<P><FONT size=3 face="Times New Roman"><EM><BR></EM>L'azione più importante di
Barack Obama prima di assumere la carica è la scelta dello staff dirigente e dei
consiglieri. La prima scelta è stata per la vice-presidenza: Joe Biden, uno dei
sostenitori più tenaci dell'invasione in Iraq tra i senatori democratici, da
lungo tempo addentro al mondo di Washington, che vota coerentemente come i
compagni democratici - sebbene non sempre, come quando ha portato allegria negli
istituti finanziari appoggiando un provvedimento per rendere più difficile agli
individui cancellare i debiti dichiarando la propria condizione di insolvenza.
<BR><BR>Il primo incarico post-elettorale è stata la nomina cruciale del capo di
gabinetto: Rahm Emanuel, anch'egli uno dei più strenui sostenitori
dell'invasione in Iraq tra i deputati democratici e, come Biden, buon
conoscitore di Washington. Emanuel è anche uno dei maggiori beneficiari dei
contributi di Wall Street alla campagna elettorale. Il Center for responsive
politics riferisce che «è stato il massimo beneficiario, tra i rappresentanti,
dei contributi per la campagna del 2008 provenienti da fondi a rischio, società
private con capitale di rischio e le maggiori società finanziarie e di
assicurazione». Da quando è stato eletto al Congresso nel 2002, «ha ricevuto più
soldi da singoli e da comitati di sostegno elettorale nel mondo degli
investimenti e delle assicurazioni che da altri settori dell'industria»; che
sono anche quelli che hanno dato i contributi più consistenti ad Obama. Il suo
compito era quello di controllare il modo in cui Obama affrontava la peggiore
crisi finanziaria mai verificatasi dagli anni '30, per la quale i suoi
finanziatori e quelli di Obama condividono ampie responsabilità. <BR><BR>La
sinistra ai margini <BR><BR>In un'intervista di un editorialista del Wall Street
Journal ad Emanuel fu chiesto che cosa avrebbe fatto la nuova amministrazione
Obama riguardo alla «leadership democratica al Congresso, piena di baroni di
sinistra con il loro proprio programma»; che contempla il taglio delle spese per
la difesa e le «manovre per applicare esorbitanti tasse sull'energia per
combattere il riscaldamento globale»; per non parlare dei pazzi totali che in
Congresso si trastullano con i risarcimenti per la schiavitù e simpatizzano
anche con gli europei che vogliono mettere sotto processo l'amministrazione Bush
per crimini di guerra. «Barack Obama si opporrà», ha assicurato Emanuel al
giornalista. <BR><BR>L'amministrazione sarà «pragmatica», schiverà i colpi degli
estremisti di sinistra. <BR>L'esperto di diritto del lavoro e giornalista Steve
Early ha scritto che «durante la campagna elettorale, Obama ha detto che
appoggiava fermamente l' Employee free choice act, una riforma legislativa sul
lavoro, a lungo attesa, che dovrebbe essere parte integrante del piano che ha
promesso per stimolare l'economia». Tuttavia, quando Obama presentò i suoi
massimi consiglieri economici al momento dell'insediamento «e parlò dei passi da
fare per dare una "scossa" all'economia (...) la legge di riforma non faceva
parte del pacchetto». <BR><BR>Continuando a passare in rassegna le nomine di
Obama, il suo Transition board, l'équipe che si occupa di introdurre i nuovi
incaricati nel governo, fu guidato da John Podesta, capo di gabinetto di
Clinton. Le figure di punta della sua équipe erano Robert Rubin e Lawrence
Summers, entrambi entusiasti della deregolamentazione, il principale fattore
scatenante della crisi finanziaria attuale. Come segretario del tesoro Rubin ha
lavorato duramente per abolire la legge Glass-Steagall, che aveva separato le
banche commerciali dagli istituti finanziari esposti ad alto rischio.
<BR><BR>Conflitto di interessi nello staff <BR><BR>La stampa economica esaminò i
documenti del Transition economic advisory board di Obama, che si riunì il 7
novembre 2008 per definire le linee di intervento sulla crisi finanziaria.
L'editorialista di Bloomberg News, Jonathan Weil concluse che «molti di loro
dovrebbero ricevere immediatamente una convocazione in tribunale come persone
informate sui fatti, non un posto nel circolo ristretto di Obama». Circa metà
«ha avuto incarichi fiduciari in società che, in qualche misura, o hanno
bruciato i loro bilanci o hanno contribuito a portare il mondo al collasso
economico, o entrambe le cose». È plausibile pensare che «non scambieranno i
bisogni della nazione per gli interessi dei loro consoci?» Weil ha anche
precisato che il Capo di gabinetto Emanuel «era amministratore alla Freddie mac
nel 2000 e 2001, mentre la finanziaria commetteva frodi in bilancio». <BR>La
preoccupazione primaria dell'amministrazione è stato il tentativo di arrestare
la crisi finanziaria e la parallela recessione nell'economia reale. Ma c'è anche
un mostro nell'armadio: un sistema sanitario privatizzato notoriamente
inefficiente e scarsamente regolato, che minaccia di mettere in difficoltà il
bilancio federale se la crisi persiste. La maggioranza della gente è da lungo
tempo a favore di un servizio sanitario nazionale, che dovrebbe essere molto
meno costoso e più efficace, come prove comparative (e molti studi) dimostrano.
<BR><BR>Appena nel 2004, qualunque intervento del governo nel sistema sanitario
era descritto sulla stampa come «politicamente impossibile» e «privo di sostegno
politico» - che vuol dire: contrastato dalle compagnie di assicurazione, dalle
grandi aziende farmaceutiche e da altri che contano, qualunque cosa ne pensi la
popolazione, del tutto irrilevante. Nel 2008, tuttavia, prima John Edwards, poi
Obama e Hillary Clinton, hanno avanzato proposte che si avvicinavano a quello
che la gente ha a lungo desiderato. Queste idee ora hanno un «sostegno
politico». Che cosa è cambiato? Non l'opinione pubblica, che resta come era
prima. Ma nel 2008 i settori di potere più potenti, in prima fila l'industria,
era arrivata a riconoscere che subivano gravi danni dal sistema sanitario
privatizzato. Di conseguenza, la volontà popolare comincia ad avere «sostegno
politico». Lo spostamento ci dice qualcosa sulle disfunzioni della democrazia e
sulle lotte che si prospettano. <BR><BR>Quello che è accaduto dopo dice ancora
di più. <BR>Obama ha abbandonato subito l'opzione popolare e sensata
dell'assistenza medica da parte di un unico ente, che aveva detto di voler
appoggiare. Ha anche raggiunto un accordo segreto con le aziende farmaceutiche
secondo il quale il governo non avrebbe «negoziato il prezzo dei medicinali e
non avrebbe richiesto rimborsi addizionali» a seguito delle pressioni delle
lobby e contro l'opinione di un netto 85 per cento della popolazione. Una
«opzione pubblica» - nella sostanza l'opzione di «medicare per tutti» - rimase,
ma fu sottoposta ad un intenso attacco in base alla motivazione, interessante,
che gli assicuratori privati non sarebbero stati in grado di competere con un
piano governativo efficiente (pretesti più sofisticati non erano meno bizzarri).
Nel giugno 2009 il 70 per cento della popolazione era a favore del piano,
nonostante l'instancabile e spesso isterica opposizione di gran parte del
settore assicurativo. <BR><BR>Due mesi dopo, l'articolo di fondo di Business
Week era titolato: «Le assicurazioni sulla salute hanno già vinto: come United
health e Rival carriers, manovrando dietro le quinte a Washington, hanno
modellato la riforma sanitaria a loro beneficio». Il settore assicurativo «è
riuscito a ridefinire i termini della discussione sulla riforma in misura tale
che non contano i dettagli del voluminoso progetto di legge che il Congresso
manderà al presidente Obama l'autunno prossimo, il settore riemergerà ancora più
redditizio (...) i manager delle assicurazioni dovrebbero sorridere di piacere».
<BR><BR>A metà settembre, quando i progetti di legge stavano arrivando sul
tavolo del Congresso, il mondo degli affari manifestò il suo appoggio alla
versione della Commissione finanze del senatore Max Baucus, che aveva lavorato
«in stretto contatto con i gruppi imprenditoriali», più che con altri, si dice
con approvazione. Le proposte della Camera furono respinte perché non
sufficientemente a favore dei gruppi affaristici. Il presidente della Business
Roundtable definì la proposta della Commissione finanze del Senato «molto in
linea» con i suoi principi, specialmente per il fatto che «non richiede la
creazione di un piano pubblico». <BR><BR>Una riforma dimezzata
<BR><BR>Naturalmente nessuna vittoria basta di per sé. Perciò, mentre la lotta
per la riforma del sistema sanitario paralizzò virtualmente il Congresso alla
fine del 2009, le lobby affaristiche iniziarono una grande campagna per ottenere
ancora di più, e ci riuscirono. L'opzione pubblica fu alla fine «fatta
naufragare» insieme con un connesso «medicare buy-in» che avrebbe permesso alle
persone di 55 o più anni di avere il servizio sanitario nazionale. A quel punto
la gente era a favore dell'opzione pubblica dal 56 al 38 per cento e il Medicare
buy-in in percentuale anche maggiore, tra il 64 e 30 per cento. Il sondaggio che
mostrava questi risultati fu reso pubblico, ma i fatti furono omessi: il titolo
diceva «Sondaggi: la maggioranza non approva le leggi per il servizio
sanitario». L'articolo lascia l'impressione che la popolazione si unisca
all'attacco della destra contro il coinvolgimento del governo nell'assistenza
sanitaria, assalto condotto dagli interessi affaristici, contrari a quello che
proprio il sondaggio rivela e che altri sondaggi mostrano da decenni. <BR><BR>E
che hanno continuato a mostrare nel 2010. Un sondaggio della Cbs reso pubblico
l'11 gennaio ha rilevato che il 60 per cento degli americani non approvava il
modo in cui il Congresso stava affrontando il problema del sistema sanitario. Le
cifre dettagliate mostrano che, tra quelli che sono contro il modo in cui la
proposta regola il rapporto con le compagnie di assicurazione, la grande
maggioranza pensa che non si spinga abbastanza avanti (il 43 per cento di «non
abbastanza», contro il 27 per cento di «troppo»). L'assistenza sanitaria è stata
una questione cruciale nelle elezioni al senato nel Massachusetts nel gennaio
2010, in cui ha vinto il repubblicano Scott Brown. Tra i Democratici che si sono
astenuti o hanno votato per Brown, il 60 per cento pensava che il programma
sanitario non si spingeva abbastanza avanti (l'85 per cento di quelli che si
astennero). Tra gli astenuti e i democratici che hanno votato per Brown, circa
l'85 per cento era a favore dell'opzione pubblica. <BR><BR>In breve, l'evidenza
mostra che in realtà cresceva la rabbia popolare contro il progetto di legge
sulla sanità di Obama, prima di tutto perché era troppo limitato. <BR>Mentre il
settore finanziario aveva tutte le ragioni per sentirsi soddisfatto dei
risultati ottenuti dopo gli sforzi per far eleggere il suo uomo, Obama, la
storia d'amore ha cominciato a volgere alla fine nel gennaio 2010, quando Obama
ha deciso di reagire al montare della rabbia popolare contro gli «stipendi
d'oro» per i finanzieri, mentre altri erano impantanati in una «triste strada
tutta in salita per i lavoratori». Ha dunque adottato una «retorica populista»,
criticando le enormi gratifiche per chi era stato salvato dall'intervento
pubblico, e proponendo anche delle misure per limitare gli eccessi delle grandi
banche (inclusa la «regola Volcker», che avrebbe in parte ristabilito la legge
Glass-Steagall, impedendo alle banche commerciali con garanzia governativa di
usare i depositi per investimenti a rischio). La punizione per la sua deviazione
è stata rapida. <BR><BR>In nome del libero mercato <BR><BR>Le grandi banche
hanno annunciato con rilievo che avrebbero spostato i finanziamenti verso i
repubblicani, se Obama avesse insistito con i discorsi sulla regolazione e la
retorica contro i finanzieri. <BR><BR>Obama ha capito il messaggio. In pochi
giorni ha informato la stampa economica che i banchieri sono bei «tipi»,
scegliendo Dimon e il presidente Lloyd Blankfein della Goldman Sachs come
persone degne di lode e, per rassicurare il mondo degli affari, ha spiegato:
«Io, come la maggior parte del popolo americano, non provo invidia per chi ha
successo e ricchezza», nella forma delle enormi gratifiche e profitti che fanno
infuriare la gente. «Fanno parte del sistema di libero mercato», ha continuato
Obama; e non sbagliava, considerato il modo in cui il «libero mercato» è
interpretato nella dottrina del capitalismo di stato. <BR><BR>Osservazioni come
queste suggeriscono un interessante esperimento mentale. Che cosa sarebbe il
contenuto del «marchio Obama» se la popolazione dovesse diventare «partecipe»
piuttosto che semplice «spettatrice dell'azione»? È un esperimento degno di
essere tentato, non solo in questo caso, e c'è qualche ragione per supporre che
il risultati potrebbero indicare la via per un mondo più sensato e decente.
<BR><BR>singolarità qualunque<BR></FONT><A
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