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<BODY bgColor=#ffffff>
<DIV><FONT face="Times New Roman">Non ho una grande considerazione di Dino Erba.
Gli riconosco un'impeccabile coerenza di militante comunista internazionalista e
una notevole mole di buoni lavori, ma detesto la sua cattiva abitudine di
tagliare discorsi con l'accetta su persone, eventi e questioni di cui non
possiede una sufficiente conoscenza.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face="Times New Roman">Come ho detto altre volte, credo però negli
"innesti", per cui si può prendere ciò che si ritiene "buono" in un autore,
senza per questo accettarlo in toto. Questa cronologia delle avventure razziste
e colonialiste italiane, scandita dalle forti manifestazioni di resistenza e di
rifiuto dei militari coinvolti e soprattutto dei proletari italiani, mi sembra
adatta a una simile operazione.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face="Times New Roman">In appendice, Erba riporta un articolo de "il
programma comunista" del 1961, quando ben pochi, "a sinistra", in
Europa si esprimevano con tanta nettezza ed erano capaci di analizzare i più
sottili dispositivi di assoggettamento delle popolazioni colonizzate. L'uso
disinvolto e ripetuto del termine "negro" è di gran lunga preferibile alle
ipocrisie della political correctness, che sarebbe sopraggiunta almeno una
decade dopo. Ricordo inoltre che in qualche lettura giovanile - non so stabilire
ora se di Malcolm X o di Stokely Carmichael - si spiegava come la
parola che in bocca ai bianchi razzisti era insultante, pronunciata dagli stessi
neri era elemento di costruzione di una soggettività di resistenza e di
antagonismo.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face="Times New Roman">Il ricorso alla nota opera dell'ondivago Renzo
Del Carria era quasi inevitabile, considerando la povertà della storiografia di
movimento su molte decadi di storia italiana.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face="Times New Roman">L'input è venuto ancora una volta dai compagni
del Circolo Giancarlo Landonio.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face="Times New Roman"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Times New Roman">enrico</FONT></DIV>
<DIV><FONT face="Times New Roman"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Times New Roman"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Times New Roman"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Times New Roman"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=1>----- Original Message ----- </FONT></DIV>
<DIV style="FONT: 10pt arial">
<DIV style="BACKGROUND: #e4e4e4; font-color: black"><FONT size=1>From: </FONT><A
title=circ.pro.g.landonio@tiscali.it
href="mailto:circ.pro.g.landonio@tiscali.it"><FONT
size=1>circ.pro.g.landonio@tiscali.it</FONT></A><FONT size=1> </FONT></DIV>
<DIV><FONT size=1>To: </FONT><A title=spartacok@alice.it
href="mailto:spartacok@alice.it"><FONT size=1>spartacok@alice.it</FONT></A><FONT
size=1> </FONT></DIV></DIV>
<DIV><FONT size=1><BR></FONT></DIV><FONT size=1><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-WEIGHT: bold"><SPAN
style="FONT-SIZE: 14pt"> CIRCOLO
DI INIZIATIVA PROLETARIA GIANCARLO LANDONIO</SPAN></SPAN> </FONT><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-WEIGHT: bold">
<P style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt" class=MsoNormal align=center><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: bold"><FONT
size=1>VIA STOPPANI,15 -21052 BUSTO ARSIZIO –VA-</FONT></SPAN></P>
<P style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt" class=MsoNormal align=center><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: bold"><FONT
size=1>(Quart. Sant’Anna dietro la piazza principale)</FONT></SPAN></P>
<P style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt" class=MsoNormal align=center><SPAN
style="FONT-SIZE: 14pt"><FONT size=1><SPAN
style="COLOR: black; FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: bold"> -a
poca strada dall'uscita autostrada A8 Laghi–</SPAN> <SPAN
style="FONT-SIZE: 14pt" class=Apple-converted-space> </SPAN> <SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: bold"> </SPAN></FONT></SPAN></P>
<DIV style="MARGIN: auto 0cm" class=footnotes align=center><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: bold"><FONT
size=1>e-mail:<SPAN style="FONT-SIZE: 14pt" class=Apple-converted-space></SPAN>
</FONT><A style="FONT-FAMILY: arial,sans-serif; TEXT-DECORATION: none"
href="mailto:circ.pro.g.landonio@tiscali.it" target=_blank><SPAN
style="FONT-FAMILY: Times New Roman; FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: normal"><FONT
size=1>circ.pro.g.landonio@tiscali.it</FONT></SPAN></A></SPAN></DIV>
<DIV style="MARGIN: auto 0cm" class=footnotes align=center><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-WEIGHT: bold"><FONT
size=1>---------------------------------------------------Archivio
documenti</FONT></SPAN></DIV>
<DIV style="MARGIN: auto 0cm" class=footnotes align=center><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-WEIGHT: bold"><FONT
size=1></FONT></SPAN> </DIV>
<DIV style="MARGIN: auto 0cm" class=footnotes align=center><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-WEIGHT: bold"><FONT
size=1></FONT></SPAN> </DIV>
<DIV style="MARGIN: auto 0cm" class=footnotes align=center><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-WEIGHT: bold"><FONT
size=1></FONT></SPAN> </DIV>
<DIV style="MARGIN: auto 0cm" class=footnotes align=center><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-WEIGHT: bold"><FONT
size=1></FONT></SPAN> </DIV>
<DIV style="MARGIN: auto 0cm" class=footnotes align=center><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-WEIGHT: bold"><FONT
size=1></FONT></SPAN> </DIV>
<DIV style="MARGIN: auto 0cm" class=footnotes align=center><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-WEIGHT: bold"><FONT
size=1></FONT></SPAN> </DIV></SPAN><SPAN style="FONT-WEIGHT: bold"><FONT
face="Times New Roman"></FONT>
<DIV><BR><FONT face="Microsoft Sans Serif"> <BR><BR></FONT><SPAN
style="FONT-SIZE: 14pt"><FONT color=#ff0000 size=4
face="Microsoft Sans Serif">Le guerre dell’imperialismo italiano: lotte
proletarie e prospettiva internazionalista<BR><BR>Granuli di “altra storia” di
fronte all’impotenza dell’odierno movimento contro la
guerra</FONT></SPAN></SPAN><FONT face="Microsoft Sans Serif"><FONT color=#ff0000
size=4> </FONT></FONT></DIV>
<DIV><FONT face="Microsoft Sans Serif"><FONT color=#ff0000
size=4><STRONG></STRONG></FONT></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Microsoft Sans Serif"><FONT color=#ff0000
size=4><STRONG></STRONG></FONT></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Microsoft Sans Serif"><FONT color=#ff0000
size=4><STRONG></STRONG></FONT></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Microsoft Sans Serif"><FONT color=#ff0000
size=4><STRONG></STRONG></FONT></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Microsoft Sans Serif"><FONT color=#ff0000
size=4><STRONG></STRONG> </DIV>
<DIV><BR></FONT><BR><SPAN
style="FONT-STYLE: italic; FONT-WEIGHT: bold">Relazione letta da D.E. al
Convegno "Italiani brava gente", Torino 10-11-12 novembre 2006, iniziativa
promossa dal Centro di documentazione "Porfido" di Torino e dalla Libreria
"Calusca City Lights" di Milano</SPAN><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">.</SPAN></FONT><A style="FONT-WEIGHT: bold"
name=more-10436141></A><BR><BR><FONT size=2
face="Microsoft Sans Serif">Affrontando questo argomento, c’è il rischio di
cadere in facili dichiarazioni edificanti, infarcite di buone intenzioni, di
cosmopolitismo, di solidarietà fra i popoli e così via ... per finire con le
ormai stinte bandiere arcobaleno esposte alle finestre delle nostre città ...
All’esposizione delle “buone intenzioni”, contrapponiamo i FATTI, cercando di
capire QUANDO, COME e PERCHÉ il proletariato italiano si sia opposto alle
imprese coloniali della borghesia. E, su questa base, individuare le
implicazioni politiche e (se possibile) teoriche, per una prassi tendenzialmente
rivoluzionaria. Per stabilire, infine, la sua attualità. <BR><BR><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Natura del colonialismo italiano</SPAN> – Descrivendo
il colonialismo italiano, Amadeo Bordiga affermava: “Le imprese coloniali
dell'Italia borghese, giunta in questo campo buona ultima tra i poteri
capitalistici, hanno sempre avuto violenti riflessi nella politica interna del
paese e sollevato contrasti tra i partiti, fatto che in altri stati di più
possente industrialismo produttivo non si è così nettamente verificato. Ma non è
l'analisi economica e sociale dell'imperialismo moderno che vogliamo qui
seguire. Le prime armi degli oltremaristi italiani furono fatte verso il 1880
con concessioni di basi nel Mar Rosso da parte di altre potenze, e i primi fatti
militari con sapor di forte agrume si ebbero nel 1886-87 quando si vide a Dogali
e altrove che gli abissini erano bellicosi e modernamente forniti da industrie
europee, e quindi per aver colonie ci volevano spedizioni armate e tributi di
soldi e di sangue.”(1) <BR><BR><SPAN style="FONT-WEIGHT: bold">Motivi
dell’opposizione popolare</SPAN> – Possiamo completare le affermazioni di
Bordiga, osservando che, nel suo complesso, il colonialismo italiano favorì
cerchie estremamente esigue: le gerarchie militari, la grande industria legata
alle commesse militari, alcuni ambienti finanziari e piccole cricche
affaristiche. Connotazione che accompagna tutta l’epopea coloniale italiana,
dagli scandali di Massaua del 1891 a quelli delle banane somale del 1960(2). Per
i proletari italiani, le imprese coloniali ebbero effetti assolutamente
negativi: a partire dal peggioramento delle condizioni di vita, causato dal
maggior carico fiscale, usato per finanziare gli interventi (per es. i dazi
sulle farine). Le guerre coloniali si risolvevano il più delle volte in un bagno
di sangue; infine, le condizioni della truppa erano sempre bestiali. Non
stupisce, che i proletari italiani, all’avventura oltremare preferissero i
disagi e le incertezze dell’emigrazione, che in quegli anni di fine Ottocento
iniziava a crescere. Per questo motivo, anticolonialismo e antimilitarismo sono
strettamente legati. A cavallo tra Ottocento e Novecento, nell’esercito e nella
marina militare avvennero numerose ribellioni, culminate a volte con l’uccisione
e il ferimento di ufficiali.<BR><BR>In Italia, il colonialismo non ebbe mai una
significativa base sociale, che consentisse la formazione di un vero e proprio
“partito” coloniale, paragonabile a quelli che sorsero in Inghilterra e in
Francia. In questi Paesi, l’epopea coloniale fu esaltata, seppur con diversi
accenti, da scrittori allora assai popolari, come Kipling e Loti. Al confronto
con l’Inghilterra, la Francia, ma anche con l‘Olanda e la Germania, il
colonialismo italiano appare misera cosa, motivo per cui sono ancor più
ripugnanti le sopraffazioni che esso commise contro le popolazioni
assoggettate.<BR><BR>Fatte queste premesse, vediamo a grandi linee come il
proletariato italiano abbia vissuto l’epopea coloniale. <BR><BR><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Occupazione di Massaua</SPAN> - Nel dicembre 1885, con
l’occupazione del porto di Massaua, iniziò la penetrazione italiana verso
l’Abissinia, facendo salire notevolmente la spesa militare. <BR>- 1884-1885,
agitazioni agrarie nel Mantovano (La boje). <BR>- Il socialista Andrea Costa nel
1885 in Parlamento richiede con forza il richiamo delle truppe dall’Africa e si
oppone con coraggio alle avventure coloniali del governo di centro-sinistra di
Agostino Depretis. <BR>- Il 23 agosto 1885, a Milano un grande raduno della
sinistra radical-democratica chiede il ritiro delle truppe inviate in Africa.
<BR><BR>All’indomani della <SPAN style="FONT-WEIGHT: bold">sconfitta di
Dogali</SPAN> (26 gennaio 1887) Andrea Costa lanciò la parola d’ordine “Né un
uomo, né un soldo per l’Africa”, che venne fatta propria dal movimento operaio.
La sconfitta di Dogali trasferì per la prima volta la protesta anticoloniale
alle aule del Parlamento e alle Piazze, mostrando il nesso tra imprese coloniali
e politica interna antisociale.(3) <BR><BR>Il 3 febbraio 1887, Costa rinnovò con
coraggio la sua condanna del colonialismo, presentando in Parlamento un ordine
del giorno in cui si affermava che “il prestigio militare e l’onore della
bandiera sono i soliti pretesti con cui tutti i governi cercano di far passare
le loro imprese criminali o pazze”. Rifiutando il voto alla richiesta del
governo di un nuovo credito per inviare in Africa nuove truppe, Costa lanciava
una parola d’ordine destinata a diventare celebre: “(...) per continuare nelle
pazzie africane noi non vi daremo, ripeto, né un uomo, né un soldo ”(4). Fu
denunciato, condannato e costretto ad un nuovo esilio in Francia. <BR><BR><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Scandali di Massaua</SPAN> - Nel 1891, gli eccidi, gli
espropri e le usurpazioni di terre, avvenuti a Massaua, suscitarono scandalo
negli ambienti radical-democratici borghesi. Da parte loro, i socialisti
italiani manifestarono alcuni cedimenti politici e teorici sulla questione
coloniale, a partire da Antonio Labriola, offrendo spunti che saranno poi
ripresi dal fascismo. Una doverosa messa a punto venne da Turati, che scrisse un
articolo su “Critica Sociale” (In difesa dell’onore dei briganti), in cui
stabiliva il nesso tra gli eventi africani e la sanguinaria realtà dello
sfruttamento capitalistico in Italia. <BR><BR>Sul piano sociale, il 1891 fu un
anno caldo per l’Italia: avvennero 131 scioperi. Il 13 febbraio 1891, a Bologna,
e il 23 febbraio a Roma, si svolsero manifestazioni operaie di protesta contro
gli alti costi della politica coloniale.(5)<BR><BR>L’ulteriore occupazione di
territori appartenenti all’Etiopia, fortissimamente voluta dal governo Crispi
(1893), fu accompagnata da intense proteste popolari. Nel frattempo, a
Genova il 14 agosto 1892, era stato fondato il Partito dei Lavoratori, che
l'anno successivo, al congresso di Reggio Emilia, assunse il nome di Partito
socialista. Nel 1893-1894, in Sicilia si diffuse il movimento contadino dei
Fasci, sedato solo con i rigori dello stato d’assedio. Nel maggio 1898 a Milano
scoppiò la rivolta contro la miseria, repressa dalle cannonate di Bava Beccaris.
Questi due importanti episodi fanno da cornice a quanto avvenne con la sconfitta
di Adua. <BR><BR><SPAN style="FONT-WEIGHT: bold">Adua, 1° marzo 1896</SPAN> –
Quando, ai primi di marzo del 1896, si diffuse la notizia della disfatta di
Adua, le manifestazioni popolari scoppiate da un capo all’altro d’Italia,
sfiorarono l’insurrezione vera e propria, «ma il partito socialista ne restò del
tutto estraneo, incapace di dare al proletariato una qualsiasi guida o un
semplice indirizzo alle manifestazioni istintive. Le masse popolari scendevano
nelle strade e confluivano nelle piazze al grido di “Viva Menelik” ed “Abbasso
Crispi”, mentre il presidente del consiglio veniva bruciato in effigie. Gli
scontri con la polizia si susseguivano ovunque e i prefetti non trovavano niente
di meglio da fare che barricarsi all’interno dei loro palazzi presi d’assalto
dalla folla». Una descrizione della tensione sociale e allo stesso tempo della
incapacità del partito socialista di prendere la direzione delle masse ci è data
da Turati che su “Critica Sociale” scriveva: «Non è chi non abbia sentito, per
una buona settimana, un vento schietto di rivoluzione soffiare sul paese.
Basterebbero gli ammutinamenti nelle caserme non osati punire in quei giorni, e
le diserzioni a drappelli dei nuovi chiamati, e le proteste nei municipi e le
grandi manifestazioni del popolo fraternizzante coi militi e questi con lui;
basterebbero questi fatti a dire sulla polarizzazione degli animi (...) non
manca se non chi sappia imprimergli direzione rapida e precisa per vedere
instaurato un governo provvisorio e repubblicano».(6) <BR><BR>[<SPAN
style="FONT-STYLE: italic; FONT-WEIGHT: bold">Gli spettri di Adua</SPAN> - <SPAN
style="FONT-STYLE: italic">Recentemente, il piccolo episodio di Nassyria (12
novembre 2003), ha evocato gli spettri di Adua, come possiamo notare dallo
scritto del colonnello Giuseppe Governale</SPAN>. </FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><BR><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">Adua - I perché di una
sconfitta</FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Microsoft Sans Serif"><FONT size=2><BR>(...) Queste le
osservazioni sul fatto d'arme. <BR>Altre considerazioni possono svolgersi
sull'accoglienza dei nostri soldati al loro rientro in Italia, caratterizzata,
purtroppo, da una certa ostilità non solo della gente abilmente sobillata dalla
stampa e da gruppi sociali e politici contrari per motivi diversi all'avventura
coloniale, ma anche dell'ambiente militare che, evidentemente, iniziava ad
accusare i primi sintomi di quel "complesso di Adua", che lo avrebbe
accompagnato fino alla campagna mussoliniana del 1935-36. Per mesi, i giornali
si occuparono della "disfatta di Adua", mentre le dimostrazioni dell'opinione
pubblica contro la guerra furono violente, con vere e proprie esplosioni di
collera. Ai moti partecipò, senza distinzioni di categorie sociali, buona parte
della popolazione. In quasi tutte le città si organizzarono comizi e raduni,
dimostrazioni studentesche e proteste di operai. Alla stazione ferroviaria di
Pavia, per impedire la partenza di altri soldati, vennero addirittura divelte le
rotaie. Di fronte al contegno più o meno spontaneo del Paese, a Crispi non
rimase altra alternativa che dare le dimissioni. "Sacrificare l'uomo per
salvare il regime" fu la scelta che costò la carica a Crispi, ancora prima del
dibattito parlamentare. Abbiamo accennato allo "spettacolo" dopo l'arrivo della
triste notizia del massacro di Adua.<BR>Si gridò "Abbasso Crispi! Via
dall'Africa!" e, purtroppo, anche "Viva Menelik!" l'autore del massacro. Invece
di accogliere la notizia della sconfitta con la calma di un popolo forte, magari
esprimendo propositi di rivincita, che sarebbero stati comprensibili, si arrivò
perfino ad approvare una carneficina, ove si pensi che a fronte di oltre 5.600
caduti si contarono solo 500 feriti.” <BR>(...) i 5.600 caduti, i circa 500
feriti ed i 1.500 prigionieri, numero di perdite di gran lunga superiore a
quello dell'intero periodo risorgimentale. (Giuseppe Governale, Colonnello
Titolare Scuola di Guerra dei Carabinieri, Capo Ufficio Legale del Comando
Operativo di Vertice Interforze, “Rassegna dell’Arma”, n. 2, aprile-giugno 2005.
)]<BR><BR><SPAN style="FONT-WEIGHT: bold"></SPAN></FONT></FONT></DIV>
<DIV><SPAN style="FONT-WEIGHT: bold"><FONT size=2
face="Microsoft Sans Serif"></FONT></SPAN> </DIV>
<DIV><SPAN style="FONT-WEIGHT: bold"><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">La
guerra di Libia: settembre 1911 – ottobre 1912</FONT></SPAN><FONT size=2
face="Microsoft Sans Serif"> - La guerra di Libia segna il decollo imperialista
dell’Italia, imperialismo "straccione", ma pur sempre imperialismo! Fu detto
anche imperialismo "della povera gente", in grado comunque di inviare in Libia
circa 100 mila soldati. <BR><BR>Alla dichiarazione della guerra, il 29 settembre
1911, ci furono grandi manifestazioni di protesta che, in Romagna, ebbero
carattere insurrezionale, con il blocco delle linea ferroviarie. Gli scontri
durarono alcuni giorni e cessarono solo dopo violenti interventi
militari.<BR><BR>In questo clima, il 30 ottobre 1911, il soldato Augusto
Masetti, muratore di San Giovanni in Persiceto (Bologna), nella caserma Cialdini
di Bologna sparò, ferendolo, al colonnello Stoppa, che istigava i giovani in
partenza per la Libia all’odio contro il popolo arabo.(7) <BR><BR>[<SPAN
style="FONT-STYLE: italic; FONT-WEIGHT: bold">Fermate la tradotta che parte per
Tripoli</SPAN> <BR><SPAN style="FONT-STYLE: italic">Quando nel 1911 operai,
socialisti e anarchici bloccarono i treni dei soldati mandati a "conquistare" la
Libia (Maria Rosa Calderoni, “Liberazione”, 26 febbraio
2003.</SPAN>)<BR><BR></FONT><SPAN style="FONT-SIZE: 10pt"><SPAN
style="FONT-SIZE: 10pt"><FONT face="Microsoft Sans Serif">(...) Il moto
spontaneo parte da Forlì il 24 settembre 1911. A un comizio indetto dalla
federazione autonoma forlivese con l'adesione della Camera del lavoro, parla il
segretario Umberto Bianchi (insieme al ventottenne, allora socialrivoluzionario,
Benito Mussolini); il giorno dopo è la volta di un comizio dei repubblicani dove
prende la parola Nenni, interrotto dalla cariche della polizia. E subito dopo le
Camere del lavoro proclamano lo sciopero provinciale. <BR>Il 25 e il 26 sono due
giornale calde. «Durante la notte i dimostranti avevano divelto i binari della
tranvia Forlì-Meldola e nelle prime ore del mattino avevano invaso uno
zuccherificio», allo scopo di consentire agli operai di partecipare allo
sciopero. <BR>Gli scontri sono fortissimi, Giolitti manda in campo polizia ed
esercito. Per protesta contro la repressione, nel pomeriggio è indetto un
comizio a cui partecipano, secondo "Lotta di classe", 12 mila persone (per il
prefetto saranno solo 4mila). <BR>Non solo Forlì e provincia. «A Piombino cinque
operai vengono feriti in uno scontro con i carabinieri; a Milano scoppiano
tafferugli tra studenti favorevoli alla guerra ed operai: con la polizia che sta
a guardare gli operai aggrediti e bastonati; anzi, invece di difenderli, ne
arresta una parte. Il comizio di Firenze venne addirittura proibito dalla
questura per motivi di ordine pubblico» (Paolo Maltese, La terra promessa,
Mondadori, Milano, 1976.) <BR>Le manifestazioni sono massicce soprattutto nelle
Romagne, dove si protraggono per più giorni; ma anche nelle altre regioni non si
è fermi e ovunque incontrano una dura repressione. La protesta popolare è però
destinata a durare ancora per poco. Infatti presto i comizi saranno proibiti
d'autorità. <BR>Lo stesso sciopero generale, indetto il giorno 27 dalla
Confederazione Generale del Lavoro, in molte parti d'Italia si svolge in un
clima pesante. «Soprattutto a Milano, dove la truppa impedisce il proseguimento
della manifestazione e arresta trenta persone, insieme agli stessi
rappresentanti socialisti Paolo Valera, Corridoni e Ciardi, accusati, di avere,
"durante le note manifestazioni antipatriottiche, in un comizio pubblico alla
casa del Popolo, eccitato i presenti alla rivolta e al vilipendio delle
istituzioni"». <BR>Lo sciopero non dappertutto riesce; scarse le adesioni a
Genova, Roma, Napoli e in generale nel Meridione. E' invece imponente a Forlì e
provincia, dove prendono la parola esponenti sindacali e politici. «Proprio in
questo giorno arriva alla stazione della città un treno carico di richiamati dal
distretto di zona; allontanandosi dal comizio, allora, tremila dimostranti,
sotto la guida di Nenni, tentano di impedire la presentazione al distretto di
questi richiamati, collocando sbarramenti sulle rotaie». Solo l'intervento della
truppa e della cavalleria riesce a interrompere la manifestazione. Per i fatti
di Forlì il 14 ottobre Nenni, Mussolini e Aurelio Lolli furono arrestati.
<BR>Sono proteste "eroiche" in una Italia come quella d'allora, un Paese che
«conta 1364 comuni senza acqua potabile, 4877 senza fogne, 1700 in cui non si
mangia pane, 4355 in cui non si mangia carne, 600 senza medici, 366 senza
cimiteri, 154 distretti malarici, 100.000 abitanti colpiti da pellagra e 200.000
trogloditi». <BR>Così commentò il “Corriere della Sera”: «Ieri finalmente il
Partito socialista ha fatto la sua protesta, diciamo così, solenne contro
l'impresa di Tripoli. Molti comizi si sono tenuti e molti paroloni si sono
gettati alle turbe. Tutte le grame argomentazioni, che hanno affaticato da
qualche settimana gli imbarazzati dialettici del partito sono state riversate
alle moltitudini ignoranti che nulla intendono della politica estera del loro
Paese e giurano sulla scienza enfatica dei loro capi». </FONT></SPAN><SPAN
style="FONT-SIZE: 10pt"><FONT
face="Microsoft Sans Serif">]<BR></FONT></SPAN></SPAN><BR><FONT size=2
face="Microsoft Sans Serif">La lotta contro la guerra di Libia fu un’importante
scuola per i giovani socialisti, fermamente allineati sulle posizioni della
Sinistra intransigente del PSI. Essi costituiranno poi il nerbo del Partito
Comunista. Ricordando quel periodo, Bordiga, denunciava la ferocia della
repressione, attuata dopo l’attacco turco a Sciara Sciat del 23 ottobre 1911:
«Preso consiglio ai maggiori fratelli imperialisti, il libero, parlamentare e
“prefascista” regime di Roma levò famose forche in Piazza del Pane a Tripoli,
considerando gli arabi che si opponevano all'occupazione come ribelli
“irregolari” e quindi traditori. La tecnica suggerita era sopraffina:
il combattente musulmano crede che l'anima del morto in battaglia esca dalla
ferita e venga direttamente accolta da Allah, e quindi combatte con fanatismo:
se l'anima è costretta ad uscire per altra via Allah la considera sgradevole e
la rifiuta; di qui l'intelligente procedimento del cappio alla
gola».(8)<BR><BR>Gli anni che vanno dal 1911 al 1914 furono anni di grandi
scioperi e agitazioni proletarie. Il momento culminante fu la <SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Settimana Rossa</SPAN>, che ebbe origine dalla
manifestazione antimilitarista di Ancona, contro le Compagnie di disciplina
dell’esercito. Dal 7 al 14 giugno 1914 le agitazioni popolari si estesero alla
Romagna, alla Toscana e ad altre località.<BR><BR>Quando scoppiò la guerra
mondiale, nell’agosto 1914, la borghesia italiana dovette attendere un anno,
prima di scendere in campo. Questo periodo era necessario per sedare e dividere
un movimento proletario assai combattivo. Le divisioni politiche del movimento
socialista, causata dagli interventisti di Mussolini, e la repressione
poliziesca non evitarono la costante opposizione alla guerra, che andava dalla
renitenza alla leva a manifestazioni di piazza contro il carovita, come a Torino
nell’agosto 1917 fino alla rotta di Caporetto, dell’ottobre 1917, spiegabile
solo con l’abbandono del fronte [da parte] dei soldati italiani, che erano
stanchi degli orrori della guerra.<BR><BR>A guerra finita, il proletariato
italiano non aveva nessuna intenzione di farsi coinvolgere in altre imprese
militari, anzi cercò di far valere i propri diritti, assumendo posizioni
politiche decisamente rivoluzionarie. Grazie a questa maturazione, impedì due
nuove aggressioni: contro la Georgia nel giugno 1919, e contro l’Albania, un
anno dopo. <BR><BR>Nel corso dell’aggressione alla Russia sovietica, nel giugno
1919, l’Inghilterra chiese un intervento italiano in Georgia, in aiuto al
governo menscevico. La situazione interna dell’Italia sconsigliò il primo
ministro Francesco Saverio Nitti di intraprendere una spedizione militare.(9)
<BR><BR><SPAN style="FONT-WEIGHT: bold">Rivolta di Ancona contro la spedizione
in Albania, 26-29 giugno 1920</SPAN> - Nel giugno 1920, Giolitti, capo del
governo, decise di inviare un contingente militare in Albania, per aiutare le
truppe d’occupazione, presenti dal giugno 1917 e che ora si trovavano in grosse
difficoltà. <BR><BR>L'Italia, accusata formalmente dagli alleati di aver violato
il patto di Londra (patto già sconfessato dal Presidente Americano e che nessuno
applicherà mai o avrà intenzione di applicare all'Italia), si ritirava
dall'Anatolia e consegnava ai Greci l'Albania meridionale. La reazione degli
albanesi non si fece attendere. Nel caos che ne seguì (fine 1919, inizio 1920),
le truppe italiane furono lasciate asserragliate a Valona senza ordini e
rinforzi mentre in Italia infuriava lo scontro politico e l'impresa Fiumana. Al
passo Logorà un nucleo di bersaglieri era stato completamente annientato. Il
governo italiano decise allora di inviare a rinforzo della piazza la Brigata
Piacenza, gli arditi e le autoblindo. Nel maggio del 1920 un comitato di
liberazione Albanese inviava un ultimatum alle truppe italiane. Nella difesa di
Valona muore il 6 giugno anche il generale Enrico Gotti, già capitano
al 5° bersaglieri e Colonnello al 4°. La risposta che il neo presidente del
consiglio Giolitti ritenne di dare fu una mobilitazione generale. <BR><BR><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Cronaca dei giorni di giugno</SPAN> <BR>15 giugno 1920
– PSI e Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) diffondono un manifesto
invitando gli operai ad opporsi all'invio di soldati in Albania, chiedendone
anzi l'abbandono. <BR>17 - Giolitti comunica la costituzione del nuovo governo:
Ivanoe Bonomi alla Guerra, Benedetto Croce alla Istruzione, Arturo Labriola al
Lavoro. Scioperi ferroviari in tutta Italia. <BR>23 - Conflitti e tumulti a
Milano in occasione di una manifestazione socialista di solidarietà ai
ferrovieri scioperanti: due morti. <BR>24 - Proclamato lo sciopero generale a
Milano: manifestazioni in tutta la città, un brigadiere dei carabinieri fu
massacrato dalla folla. <BR>26 - Ammutinamento in caserma ad Ancona dell'11°
reggimento bersaglieri in partenza per l'Albania. La rivolta di Ancona del 1920
è meglio nota come "la rivolta dei bersaglieri" in quanto prese avvio dalla
caserma Villarey di Ancona, quando i soldati si ribellarono all'ordine di
imbarcarsi per andare in Albania. La rivolta dei bersaglieri sfociò subito nelle
strade di Ancona e fu prontamente appoggiato da una larga parte del popolo
anconetano che per tre giorni, armi in pugno, combattendo nelle strade, tenne in
scacco le forze di polizia e le guardie regie. Alla fine le forze dell'ordine
ebbero la meglio solo grazie alla superiorità numerica (giunsero rinforzi da
varie città del centro-Italia) e al migliore armamento rispetto ai rivoltosi.
Nei giorni successivi per "solidarietà" ai militari si organizzano altre
manifestazioni in varie città d'Italia. <BR>27 - Giolitti alla Camera afferma di
essere favorevole all'indipendenza dell'Albania e respinge la proposta di
inviare altre truppe. L'occupazione però di Valona e dell'Albania, da parte di
una potenza nemica (o amica) dell'Italia, può costituire un pericolo. Non
bisogna quindi abbandonare l'Albania fin quando non avrà un governo stabile.
<BR>Il 24 luglio un nuovo attacco albanese mette in difficoltà le truppe
italiane. Il 3 agosto fu concordato diplomaticamente il rientro di tutti i
militari dall'Albania, tranne che dall'isolotto di Saseno. <BR><BR><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Altri episodi del giugno 1920</SPAN> - Quando i
bersaglieri dell'XI Reggimento, alloggiati ad Ancona nella caserma Villarey, il
26 giugno 1920 si rifiutarono di imbarcarsi sul piroscafo "Magyar" per
raggiungere il corpo di occupazione italiano in Albania, si ebbero vibranti
manifestazioni di protesta non solo ad Ancona, ma anche a Pesaro, Jesi,
Senigallia, e in Romagna, Forlì e Cesena. </FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif">[All'ammutinamento seguì
un'insurrezione, con episodi di guerriglia urbana, con la partecipazione di
centinaia di persone, cui fece seguito una dura repressione dell'esercito, con
decine di feriti ed oltre venti morti. Si ebbe uno sciopero delle ferrovie,
mentre un treno che trasportava 500 guardie regie venne aggredito. Ad Ancona,
dal mare e dalla "cittadella", furono bombardati i "ribelli", aiutati dai
soldati. Anche a Pesaro si ebbero manifestazioni di solidarietà con i
bersaglieri di Ancona. <BR>Da ciò "i fatti di Pesaro" che ebbero, anch'essi,
grande rilievo sia sulla stampa nazionale che in Parlamento. Accadde che i
dimostranti pesaresi si recarono a manifestare presso la stazione ferroviaria,
ove era in allestimento un treno di armamenti e munizioni, e di fronte alla
vicina Caserma Cialdini per invitare i soldati a solidarizzare con i bersaglieri
di Ancona. Nel pieno svolgimento della manifestazione, mentre il piazzale
antistante la stazione era gremito di gente, dalla Caserma Cialdini partirono
raffiche di mitragliatrice sui manifestanti, provocando un morto (il
montelabbatese Cardinali) e vari feriti. Si disse, poi, che il comando militare
temeva che la manifestazione sfociasse nell'invasione della caserma. Come
reazione immediata vari manifestanti si recarono ad incendiare l'abitazione del
comandante della caserma, colonnello Trapani, situata in via Petrucci (vicino
all'ex cinema Duse) e ad occupare la polveriera. La rivolta di Ancona, e le
manifestazioni di solidarietà di Pesaro e delle altre località marchigiane e
romagnole, contribuirono al disimpegno dell'Italia dall'Albania. Il processo ai
dimostranti di Pesaro si svolse presso il Tribunale di Urbino. L'on. avv.
Giuseppe Filippini, socialista, deputato di Pesaro, fu uno dei più efficaci
difensori degli imputati (così come l'on. Bocconi e l'on. Andreis - l'uno
socialista e l'altro repubblicano - furono tra i difensori degli insorti
anconetani). Inoltre l'on. Filippini, quale deputato socialista pesarese, svolse
alla Camera dei Deputati un ampio intervento per illustrare le vicende pesaresi
e per ribadire la volontà di pace dei manifestanti. Va aggiunto che il tribunale
di Urbino si rivelò piuttosto magnanimo nelle condanne di vari imputati.
<BR><BR></FONT><FONT face="Microsoft Sans Serif"><FONT size=2>(Cfr. Renzo Del
Carria, Proletari senza rivoluzione. Storia delle classi subalterne italiane dal
1860 al 1950, Edizioni Oriente, Milano, 1970, vol. 2, p. 93.)] <BR><BR><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Non tutti i caduti sono martiri</SPAN> - Dopo la
guerra, le truppe italiane furono inviate in diverse aree europee, per
controllare l’applicazione dei deliberati stabiliti con gli accordi di
Versailles. Nel 1920, a Teschen, controllarono il plebiscito che ripartì la
regione fra Cecoslovacchia e Polonia. Ad Allenstein e Marienwerder, un altro
contingente militare controllò il plebiscito che assegnò quelle province alla
Germania. Dal 1918 al 1921, l’esercito italiano fu a Klagenfurt (Austria), per
controllare il plebiscito che assegnò quella regione all’Austria. Nel 1921-1922,
controllò il plebiscito che assegnò la città di Sopron all'Ungheria. Più
impegnativa, e sanguinosa, fu la missione nell’Alta Slesia (1921-1922),
riguardante la ripartizione della regione tra Polonia e Germania. In seguito al
risultato del plebiscito del 22 marzo 1921, favorevole alla Germania, il Corpo
di spedizione italiano, 1350 uomini, fu attaccato dai partigiani polacchi, i
Sokol, che provocarono circa 40 morti e 200 feriti(10). In Patria, il tragico
episodio ebbe scarsa eco. In seguito, la spedizione interalleata fu
discretamente ricordata da una medaglia commemorativa in bronzo, non ufficiale,
coniata a Milano dalla ditta S. Johnson. <BR><BR><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold"></SPAN></FONT></FONT></DIV>
<DIV><FONT face="Microsoft Sans Serif"><FONT size=2><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">L’onda lunga della Rivoluzione d’Ottobre</SPAN> - Nel
“rosso” dopoguerra, le pretese coloniali – o meglio imperialiste - della
borghesia italiana furono congelate da un proletariato che, sull’onda della
rivoluzione d’Ottobre, si candidava alla conquista del potere. La presenza
italiana Oltremare era limitata alle aride coste della <SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Somalia,</SPAN> dell’<SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Eritrea</SPAN> e della <SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Libia</SPAN>. Al censimento del 1° dicembre 1921, gli
italiani residenti in Eritrea erano 3.635 e in Somalia 656; dei 27.495 residenti
in Libia circa un migliaio era presente prima della conquista. Parte di questi
31.768 residenti era occupata nell’amministrazione civile e militare; tutti,
tranne poche eccezioni, conducevano una vita assai modesta, che sicuramente non
attirava i connazionali. Di fronte ai costi di questa meschina situazione
coloniale, alcuni esponenti borghesi, come Francesco Saverio Nitti e Meuccio
Ruini, auspicavano, se non l’abbandono, il disimpegno. <BR><BR>Le prospettive
sul futuro delle colonie erano tali da non destare particolari preoccupazioni
per il giovane Partito Comunista d’Italia, fondato a Livorno nel gennaio 1921, i
cui dirigenti, nel 1911, erano stati in prima fila nelle lotte contro
l’aggressione alla Libia. Al Secondo Congresso dell’Internazionale Comunista,
giugno-luglio 1920, essi avevano fermamente sottoscritto e sostenuto i
cosiddetti “21 punti di Mosca”, ossia le Condizioni per l’ammissione
all’Internazionale comunista. Nella sua azione pratica, il Partito fu
perfettamente coerente con quanto affermava il punto 8, che affermava:
<BR> «Per i partiti dei paesi la cui borghesia possiede delle
colonie ed opprime altre nazioni è necessario tenere un atteggiamento
particolarmente esplicito e chiaro sulla questione delle colonie e dei popoli
oppressi. Ogni partito che voglia aderire all’Internazionale Comunista è tenuto
a smascherare i trucchi e gli inganni dei "propri" imperialisti nelle colonie,
ad appoggiare non solo a parole ma con i fatti ogni movimento di liberazione
nelle colonie, ad esigere che i propri imperialisti vengano espulsi da tali
colonie, ad instillare nei lavoratori del proprio paese un atteggiamento di
autentica fratellanza nei confronti dei lavoratori delle colonie e dei popoli
oppressi, e a fare sistematicamente opera d’agitazione tra le truppe del proprio
paese perché non collaborino all’oppressione dei popoli coloniali». <BR><BR>Per
rilanciare l’espansione coloniale, ci volle il fascismo. <BR><BR><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Ordine interno, aggressioni esterne</SPAN> - Nel 1922,
il fascismo restaurò l’ordine borghese e, grazie alla pax fascista, fu possibile
la riconquista della Libia, dove nel periodo della guerra mondiale, la presenza
italiana si era ridotta ad alcune località della costa. La riconquista richiese
tuttavia un decennio: dal 1922 al 1932. Tre anni di tregua e poi prese piede la
seconda grande aggressione all’Africa: la guerra d’Etiopia, nel 1935. Con la
guerra di Etiopia, il fascismo toccò l’apice del consenso, conquistando le
opposizioni moderate, da Benedetto Croce ad Arturo Labriola(11). Malgrado la
massiccia e capillare mobilitazione per costruire il consenso, ci furono segni
di malcontento, se non di larvata opposizione.(12)<BR><BR>Sul piano militare, la
guerra d’Etiopia richiese un enorme impiego di risorse materiali e umane, le cui
conseguenze si videro nel susseguente massiccio intervento in Spagna, dove si
verificarono le prime crepe, per esempio, nel marzo 1937, con la sconfitta di
Guadalajara, inflitta dalle Brigate internazionali. <BR><BR>In quei frangenti,
la voce dei partiti proletari fu estremamente flebile. All’inizio
dell’aggressione, il <SPAN style="FONT-STYLE: italic">Partito Comunista
Italiano</SPAN> (PCI) prospettava, se non una nuova Adua, un lunga e difficile
campagna militare, con conseguenti ripercussioni interne, che avrebbero aperto
possibilità di intervento politico ai <SPAN
style="FONT-STYLE: italic">comunisti</SPAN> [stalinisti].(13)<BR><BR>Una
valutazione in parte simile, riguardo le difficoltà della guerra, fu avanzata
dalla <SPAN style="FONT-STYLE: italic">Sinistra comunista italiana</SPAN> (il
gruppo di “Bilan”). Essa, però, metteva in luce come l’aggressione all’Etiopia
avvenisse con la complicità di tutte le potenze imperialiste, Inghilterra
compresa. In quanto l’occupazione italiana avrebbe favorito la diffusione del
modo di produzione capitalistico in quell’area, con vantaggio per tutti. L’unico
aiuto al popolo etiopico lo avrebbe potuto dare il proletariato italiano,
abbattendo il fascismo e lottando contro il capitalismo.(14)<BR><BR>Sul piano
politico, ebbe minimo riscontro la propaganda del PCI, svolta da Velio Spano tra
le truppe(15). La mancanza di risposte dal “fronte interno” indusse il PCI
all’espediente di inviare propri militanti a sostegno della guerriglia etiopica.
Iniziativa che, per quanto possa apparire generosa, rivelava non solo la
debolezza della sua presenza e della sua azione in Italia ma, soprattutto,
apriva una prassi politica di rimozione della lotta, che passava dal “fronte
interno” a più lontani lidi. Questa prassi si sarebbe poi imposta, svelando
tutta la propria inconsistenza quando la “critica delle armi” cedette il passo
alla più blanda “critica degli appelli”. <BR><BR>Nella guerra combattuta nel
1936 in Etiopia per resistere all’aggressione dell’imperialismo italiano di
Mussolini si sono battuti nelle file del Negus contro l’esercito fascista anche
38 comunisti italiani, fra i quali il livornese Ilio
Barontini.<BR><BR></FONT></FONT><SPAN style="FONT-SIZE: 10pt"><FONT
face="Microsoft Sans Serif">[“</FONT><SPAN style="FONT-SIZE: 10pt"><FONT
face="Microsoft Sans Serif">Nel 1938 l’Internazionale comunista decise di
aiutare la resistenza in Etiopia. Di Vittorio chiamò Barontini e formarono un
terzetto con lo spezzino Rolla e il triestino Ukmar. Si chiamavano "i tre
apostoli". Barontini era Paulus, Rolla era Petrus e Ukmar Johannes. Avevano il
compito di saldare le forze abissine. Malgrado il pugno di ferro di Graziani,
l’Etiopia non si era sottomessa. Barontini, Rolla e Uckmar ebbero un
lasciapassare del Negus. Organizzarono in Abissinia un forte movimento
partigiano e un governo provvisorio di patrioti, diffondendo in due lingue un
giornale ebdomadario "La Voce degli Abissini". In seguito il Negus dette a
Barontini il titolo di vice-imperatore. Ras Destà, rappresentante etiopico alla
Società delle Nazioni, li accompagnò fino a Khartoum. Graziani aveva messo una
taglia sulla sua testa, ma lui riuscì a sfuggire, a Khartoum fu accolto da
Alexander, dal quale fu poi decorato.” <BR>Cfr. </FONT></SPAN><A
href="http://www.romacivica.net/anpiroma/antifascismo/biografie"><SPAN
style="FONT-SIZE: 10pt"><FONT
face="Microsoft Sans Serif">www.romacivica.net/anpiroma/antifascismo/biografie</FONT></SPAN></A><FONT
face="Microsoft Sans Serif"> ] </FONT></SPAN><BR><BR><FONT size=2
face="Microsoft Sans Serif">Con la proclamazione dell’Impero, 9 maggio l936,
l’opposizione al fascismo toccò il punto più basso. Per superare l’impasse, il
PCI ricorse a un altro espediente deteriore, “L’appello ai fascisti”, chiedendo
la riconciliazione del popolo italiano sulla base del programma fascista del
1919. Questa iniziativa fu abbandonata nel giro di pochi mesi, in seguito al
sostegno italiano alla guerra scatenata da Franco contro il governo del Fronte
Popolare. Da parte sua, la <SPAN style="FONT-STYLE: italic">Sinistra
comunista</SPAN> si domandava: Il proletariato italiano è assente? (“Bilan”, n.
30, aprile-maggio 1936, p 987.) <BR><BR>In generale, sul capitolo “africano” la
storiografia antifascista è molto scarsa e reticente. <BR><BR><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Dopo la sconfitta italiana</SPAN> - Con il trattato di
pace del 1947, l'Italia venne privata di tutti i suoi possedimenti coloniali.
Tuttavia, nel 1950 le Nazioni Unite riconobbero all'Italia l'amministrazione
fiduciaria della Somalia fino al 1960, soluzione condivisa dal PCI. <BR><BR>Nei
difficili anni del dopoguerra, il proletariato italiano aveva altre cose cui
pensare, che alle colonie finalmente perdute. Con un vero e proprio salto
mortale, il PCI pensò invece di rivendicare il “posto al sole” perduto. Palmiro
Togliatti, segretario del PCI, durante le elezioni del 1948 affermò: “Il governo
inglese, se proprio vuol dimostrarsi nostro amico, perché invece di cominciare
da Trieste, non comincia col dichiarare di essere d'accordo che rimangano
all'Italia le sue vecchie colonie?”.(16)<BR><BR>Il proletariato italiano, come
tutto il proletariato mondiale, si trovava allora sottomesso al grande inganno
dei contrapposti schieramenti: da una parte il "mondo socialista" e dall’altra
il "mondo libero". Subordinazione assolutamente ferrea nelle questioni di
politica estera. <BR><BR>Bordiga così commentò la posizione del PCI di
Togliatti: «Gli stalinisti poi, invece di dire che dandoci le colonie farebbero
l'ennesimo rinnegamento di proclamati principii, di altro non si preoccupano che
di stabilire che sono gli inglesi e gli americani a rifiutarcele. I giornalisti
comunisti-italiani non trovano di meglio che illustrare che la Russia si oppone
alla spartizione delle nostre colonie. Già, ma è una spartizione che ne
lascerebbe una fetta anche all'Italia, sia pure una fetta «prefascista», quindi
a suo tempo conquistata come hanno conquistato le nostre città della costa:
colle caramelle. Gromyko è stato più diritto. Anzitutto vuole che tutte le
colonie siano in dieci anni rese indipendenti lasciando dunque l'Italia senza
alcuna colonia. Ma in sostanza dice che in Libia e Cirenaica, prefasciste finché
volete, ci staranno ottime basi militari atlantiche e quindi anche russe. A
questi fini egli sa bene che, avendole un'Italia armata dagli atlantici, la
Russia è fregata. Giustamente si oppone. La demagogia la lascia ai servitorelli.
Allah sia ringraziato». (Amadeo Bordiga, I socialisti e le colonie, «battaglia
comunista», n. 15, 13-20 aprile 1949. )<BR><BR><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">La guerra fredda</SPAN> - Il 2 aprile 1949 l’Italia
aderì alla NATO, l’Alleanza Atlantica sotto l’egida USA. Nell’aprile 1949, su
spinta dei partiti comunisti filo sovietici, venne fondato il movimento dei
<SPAN style="FONT-STYLE: italic">Partigiani della pace</SPAN>. Uno degli
obiettivi fu la lotta contro la Comunità europea di difesa (CED), progetto
militare anti sovietico che, dopo un esordio incerto, nell’agosto 1954, fu
affossato dalla Francia, che doveva leccarsi le ferite della sconfitta di Dien
Bien Phu. <BR><BR>Nei primi mesi del 1950, di fronte all’adesione al Patto
Atlantico del mondo occidentale, uno degli aspetti in cui si concretizza la
lotta per la pace in Europa fu la protesta contro lo sbarco delle armi
americane, destinate ai paesi della NATO. In vari porti di Europa, da Genova ad
Amsterdam, da Rotterdam ad Anversa ed Amburgo, i portuali boicottarono lo sbarco
delle armi. In Italia, il governo rispose con misure repressive, tra cui il
divieto di manifestazione e di tener comizi. <BR><BR>Finalmente, nel 1955,
l’Italia entrò nell’ONU, superando il veto sovietico. <BR><BR><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Le guerre di liberazione nazionale</SPAN> - Fu
l’Algeria, a metà degli anni Cinquanta, con la battaglia di Algeri
(gennaio-settembre1957), a imporre l’attualità delle lotte di liberazione
nazionale. Anche in precedenza, c’erano state importanti lotte contro la
dominazione coloniale, ma l’atteggiamento di Mosca e dei partiti satelliti era
stato quanto mai tiepido, se non gelido.<BR><BR>Il 13 ottobre 1946, fu
costituita la Quarta Repubblica Francese. I partiti socialista e comunista, al
governo, concordano nel voler conservare la struttura coloniale della Francia.
<BR><BR>Nel corso del 1947, per reprimere l’insurrezione in Madagascar, le
truppe francesi massacrano 150.000 malgasci. Il Partito Comunista Francese (PCF)
è al governo. Sempre nel 1947, il PCF vota i crediti di guerra per l’intervento
in Indocina, quella di Ho-Chi min. <BR><BR>Nell’autunno 1958, con le ferite
della battaglia di Algeri ancora aperte, il Partito Comunista Francese invitava
gli algerini a non ricorrere a metodi di lotta violenti, altrimenti ne avrebbero
pagato le conseguenze.(17)<BR><BR>Dai grandi crimini d’oltralpe, passiamo alle
meschinità nostrane.<BR><BR>Nel gennaio del 1947, i comunisti e i socialisti
“bianchi” (italiani) della Somalia dichiararono all’assemblea dell’ONU: «Ci
dovrebbe essere una differenza di salario tra lavoratori bianchi e lavoratori
negri». In quello stesso anno, in Eritrea, i lavoratori “bianchi” percepivano
salari 20 volte superiori a quelli degli indigeni.(18)<BR><BR>Fino ai primi anni
Sessanta, Mosca fu assai cauta e ambigua nel sostegno alle lotte di liberazione
nazionale. L’interesse si manifestò quando entrarono direttamente in causa
questioni connesse alla sua politica internazionale: la crisi di Cuba, ottobre
1962, e la successiva escalation americana in Vietnam. Questi avvenimenti
dettero fiato ai grandi movimenti antimperialisti a sostegno delle lotte di
liberazione nazionale. Nell’Europa occidentale, questi movimenti assunsero
presto una connotazione squisitamente anti USA, dal momento che l’ingerenza
degli Stati Uniti, dopo un ventennio, cominciava a pesare sui risorgenti
imperialismi europei. In altri termini, i partiti social-comunisti usavano il
tardivo sostegno alle lotte di liberazione nazionale come pretesto per
rivendicare il “posto al sole” degli imperialisti europei.<BR><BR>Negli anni
Sessanta e Settanta, i social-comunisti e le appendici sorte dai movimenti del
Sessantotto, fecero grande sfoggio delle loro iniziative contro l’imperialismo
(USA, beninteso), facendo scordare il loro criminale silenzio per tutti gli anni
Cinquanta, quando, le poche voci che si levarono a sostegno delle lotte di
liberazione nazionale in Africa e in Asia furono quelle delle formazioni della
<SPAN style="FONT-STYLE: italic">sinistra comunista</SPAN>. In Italia, un
fondamentale contributo fu sviluppato dal <SPAN
style="FONT-STYLE: italic">Partito Comunista Internazionalista</SPAN> (“il
programma comunista”), che seguì con grande attenzione quanto stava avvenendo
nelle aree coloniali, formulando lucide analisi sulla successiva evoluzione.(19)
<BR><BR><SPAN style="FONT-WEIGHT: bold">Dall’imperialismo "straccione"
all’imperialismo "umanitario"</SPAN> - La presenza militare italiana sulla scena
mondiale, dovette attendere l’inizio degli anni Ottanta. C’erano stati tuttavia
due piccoli ma significativi precedenti. <BR><BR>Nei primi anni Cinquanta,
l’Itala partecipò alla guerra di Corea sotto i simboli della Croce Rossa,
realizzando un ospedale da campo con 100 letti, poi 200, gestito però da
militari. <BR><BR>Si apre il capitolo dell’imperialismo "umanitario".
<BR><BR>Non più la Croce Rossa, ma l’aviazione militare intervenne nell’ex Congo
belga. L’11/12 novembre 1961, a Kindu, persero la vita 13 aviatori italiani
della 46a Aerobrigata, che facevano parte di un contingente dell’ONU, inviato
per ristabilire l’ordine. Quale ordine? Dal momento che gli aviatori italiani
furono condannati a morte da esponenti del governo legittimo, di Antoine
Gizenga, in base all’accusa di fornire armi ai movimenti secessionisti nel
Katanga, foraggiati dall’Union Minière belga. <BR><BR>Nel 1982 l’Italia è in
Libano. Negli anni Novanta, gli interventi italiani, sotto diverse sigle (ONU,
NATO o altro) si infittiscono: Albania, Somalia, Iraq, Bosnia Erzegovina,
Kosovo...<BR><BR>In questo periodo, entrano in crisi i movimenti
antimperialisti, che avevano contraddistinto la scena politica italiana per
oltre un ventennio, dalla prima metà degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta.
Entrano in crisi proprio quando l’intervento militare italiano inizia a
propagarsi, assumendo un ruolo relativamente autonomo nell’ambito delle
relazioni imperialiste. I movimenti antimperialisti mostrano la propria coda di
paglia, che cercano di nascondere trasformandosi in movimenti pacifisti. I
movimenti pacifisti balzano alla ribalta con la prima aggressione all’Iraq
(1991). Il loro andamento è ondivago, in quanto è strettamente connesso
all’ambiguità degli interventi militari italiani che, rispettando la vecchia
tradizione dei “giri di valzer”, oscillano tra filo atlantismo ed
europeismo.<BR><BR>Ultimo in ordine di tempo, l’intervento in Libano, offre
un’eloquente dimostrazione, mostrando l’unità di intenti delle diverse
componenti politiche della borghesia italiana, da Fini a Bertinotti.
<BR><BR>L’attuale scenario è politicamente grigio, tuttavia anche una piccola
lotta economica rappresenta un fattore di “crisi”, in quanto scalfisce una
struttura capitalistica che è sempre più fragile e che, per difendersi, deve
ricorrere a un apparato repressivo militar-politico ormai elefantesco.
</FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><BR><BR><SPAN style="FONT-SIZE: 10pt"><FONT
face="Microsoft Sans Serif"><FONT color=#ff0000><SPAN
style="FONT-STYLE: italic; FONT-SIZE: 10pt; FONT-WEIGHT: bold">Evviva la
«zagaglia barbara</SPAN>»</FONT></FONT></SPAN></DIV>
<DIV><SPAN style="FONT-SIZE: 10pt"><FONT face="Microsoft Sans Serif"><FONT
color=#ff0000><FONT color=#000000 size=2
face="Times New Roman"></FONT> </DIV>
<DIV><BR></FONT></FONT><SPAN style="FONT-SIZE: 10pt"><FONT
face="Microsoft Sans Serif">Come previsto, malgrado il cordone sanitario tirato
dal governo portoghese, l'Angola mostra di non potersi difendere dall'
«infezione» della rivolta negra che, se anche non esistessero sul luogo ragioni
sufficienti per alimentarla, filtrerebbe in ogni caso attraverso le frontiere
del Congo. Mentre nel 1959 si tacque delle violente sommosse nella Guinea
portoghese, e nel 1960 di quelle nella stessa Angola, ora la stampa europea
passa all'offensiva denunziando gli «eccidi» perpetrati da negri delle colonie
portoghesi a danno dei coloni bianchi. È probabile che, passata almeno per il
momento la grande paura congolese, si batterà con ardore il tam-tam sulle
«atrocità» delle popolazioni di colore anche nel felice possedimento di Lisbona,
e si griderà allo scandalo. <BR>Non è atroce, per la stampa benpensante, lo
sfruttamento a cui notoriamente sono sottoposti i negri nella colonia africana
del sud-ovest: è atroce che negri vi si ribellino! <BR><BR>Uno scrittore
americano tutt'altro che rivoluzionario e nemmeno radicale come Stewart G.
Easton può scrivere nel suo Twilight of European Colonialism (1960): «Sembra
evidente che la tradizione del traffico degli schiavi abbia finito per
determinare certe attitudini portoghesi verso gli indigeni in Africa, che
persistono malgrado i cambiamenti avvenuti nel modo di comportarsi del resto del
mondo»;
per esempio, se un negro non accetta «volontariamente» di lavorare
presso un colono bianco delle grandi piantagioni per almeno un semestre all'anno
(quanto al «volontariamente», basti ricordare che, se un negro non lavora a
salario fuori del suo piccolo lotto di terra, non potrà mai pagare le imposte
sulla capanna e sul focolare domestico), l'amministrazione coloniale può
costringerlo di autorità a farlo: che i contratti «volontari» per sei mesi
implicano tutta una serie di clausole disciplinari, elencate nel passaporto
interno che ogni uomo «di colore» deve avere con sé, la cui violazione autorizza
il padrone a chiedere alla polizia di «punire» il colpevole con misure che vanno
dalla pena corporale (consistente, scrive l'Easton), nel «battere sulla mano con
uno strumento noto come la palmatoria, una specie di ping-pong perforato che
produce dolorose vesciche» al lavoro correzionale e alla deportazione nelle
piantagioni di cacao di Sao Tomé o di Principe; che, non essendo sufficienti le
imposte a «educare l'africano ad assolvere i suoi obblighi verso la società», il
governo può - a parte il lavoro obbligatorio semestrale su una tenuta bianca
-«costringerlo a lavorare per la costruzione di strade ed altri compiti
socialmente utili e, in genere.... per l'esecuzione di progetti di cui egli
beneficerà, sebbene non gli sia permesso di dire la sua parola circa la
possibilità che questo lavoro benefici veramente lui o soltanto le imprese
private europee che si servono delle facilitazioni così fornite loro», tanto
che, «notoriamente, nell'Angola come nel Mozambico, qualunque impresa abbia
bisogno di una forza-lavoro di una certa entità può ottenerla in qualunque
momento attraverso gli agenti di reclutamento governativi». <BR>Un esempio
(citiamo sempre l'Easton, riservandoci di fornire dati più completi e meno
blandi in seguito): «Nel Mozambico settentrionale... si è sviluppato un sistema
che può solo definirsi servitù. In quest'area l'indigeno è costretto a coltivare
cotone con perdite rovinose per lui, giacché gli si fornisce il seme e lo si
obbliga a coltivare il cotone su un pezzo di terra che prima dava di che vivere
a lui e alla sua famiglia. Infatti, di regola, non gli si concede un pezzo
supplementare di terra e, in ogni caso, egli e la sua famiglia non sono in grado
di coltivare il cotone richiesto e riservarsi poi il tempo sufficiente per i
prodotti necessari al proprio sostentamento... I concessionari che forniscono il
seme non erogano salari; tutto quello che possono perdere è il seme, che vale
poco, e, senza correre nessun rischio, possono rivendere il cotone (da loro
acquistato a prezzo vile presso i coltivatori indigeni) a manifatturieri tessili
portoghesi». <BR>Non basta: oltre ad essere obbligati ad assumere impiego come
manovali in aziende private per sei mesi e pubbliche o protette dalle autorità
pubbliche in qualunque periodo, i negri delle colonie portoghesi possono essere
«forniti» alle vicine miniere del Sud-Africa in contingenti fissi e, «se non si
offrono volontariamente per un lavoro a contratto, come è loro obbligo
cristiano, è manifestamente doveroso per le autorità portoghesi provvedere a che
lo facciano». Quest'ultima forma di lavoro «comandato» è particolarmente
vantaggioso (spiega l'Easton) per la potenza coloniale: infatti, il contratto
col Sud-Africa prevede che i negri dell'Angola o del Mozambico vengano forniti
come «manodopera docile e laboriosa» in cambio dell'impegno della potenza estera
di esportare una quota fissa delle loro merci attraverso il porto di Lorenzo
Marques o (se si tratta di inviarli nelle miniere della Rhodesia) attraverso
quello di Beira; inoltre, per ogni lavoratore reclutato il governo sudafricano o
rhodesiano paga alla colonia portoghese una certa somma di ingaggio, e infine,
per agevolare lo «scambio» di carne umana, è disposto a costruire o finanziare
tronchi stradali e ferroviari di cui il Portogallo potrà servirsi sia per i suoi
traffici mercantili, sia per i suoi compiti di «paterna» tutela poliziesca della
plebaglia negra che il buon Dio gli ha affidato perché la educhi, civilizzi e
cristianizzi. Inutile dire che, anche qui, gli africani devono accettare
qualunque salario gli si offra, e lo accettano «volontariamente» perché è sempre
un salario superiore a quello che otterrebbero nell'Angola o nel Mozambico.
<BR><BR>Tutto questo (e diamo solo alcuni fra i mille particolari ignobili della
ignobile, ma cristianissima, attività colonizzatrice portoghese) non è atroce;
oh, dio guardi! Ma è atroce che, un bel giorno, i negri si rivoltino e ci scappi
il solito cadavere bianco. Allora si grida all'orrore, alla selvaggia brutalità
indigena, alla civiltà occidentale minacciata, alla verginità di candide
fanciulle violata, ai sacrifici dei coloni distrutti, alla «zagaglia barbara» e
via discorrendo. È vero che ogni tanto un vescovo (come quello di Beira) è
costretto a prendere la parola per dichiarare che sistemi come quelli in uso
nelle felici colonie del Portogallo «solo difficilmente possono giustificarsi
alla luce della sociologia cristiana», che il sistema del lavoro forzato interno
ed estero distrugge quei vincoli familiari ai quali i portoghesi pretendono di
«educare» o «rieducare» gli indigeni: ma sono parole fatte apposta per attenuare
le punte estreme del contrasto, parole da «riformatori illuminati» ansiosi di
mutare la forma per mantenere la sostanza. E la realtà rimane, questa sì,
atroce. <BR>Ma è una realtà «di colore»: tutto sommato... giustificabile. E guai
a ribellarvisi! <BR>Comunque, anche se i negri «portoghesi» non si muovessero di
propria iniziativa, è inevitabile che sentano la pressione dei ribelli sul
confine del Congo, e ci auguriamo che la stessa «esportazione della rivolta»,
dilagando in Rhodesia e nell'Africa del Sud, butti infine all'aria il
sanguinario regno degli aguzzini dell'apartheid, e d'altri non diversi insetti.
Sarà la migliore accoglienza al reduce Verwoerd.</FONT></SPAN></SPAN><FONT
size=2 face="Microsoft Sans Serif"> <BR>[«il programma comunista», a X, n. 6, 24
marzo 1961.]<BR><BR>(1) (Amadeo Bordiga), I socialisti e le colonie, «battaglia
comunista», n. 15, 13-20 aprile 1949. <BR>(2) Cfr, 3. La repubblica democratica
di Somalia (1960-1969) - Sovvenzioni e banane: gli scandali, in:
www3.autistici.org/orizzontillimitati//somalia/3; vedi anche il simpatico
articolo di Maurizio Maggiani, Appunti dal Paese del banana, “Il Secolo XIX”, 21
novembre 2004. <BR>(3) Cfr. Angelo Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale.
Dall’Unità alla Marcia su Roma, Mondadori, 1992. Le reazioni in Italia, pp.
245-251. <BR>(4) Intervento di Andrea Costa. Camera dei Deputati, 3 febbraio
1887, ora in “Comunismo”, n. 58, luglio 1005, p. 55. <BR>(5) Cfr. Angelo Del
Boca, Cit., Utopie e incertezze dei socialisti, pp. 457. <BR>(6) Antimilitarismo
e movimento operaio in Italia, “Il Partito Comunista” n. 298, maggio-giugno
2003. Cfr. Angelo Del Boca, cit., Le Reazioni in Italia e la caduta di Crispi,
p. 701; L’odissea dei prigionieri, p. 719. <BR>(7) Laura De Marco, Il soldato
che disse no alla guerra. Storia dell'anarchico Augusto Masetti (1888 - 1966),
Edizioni Spartaco, 2003. <BR>(8) (Amadeo Bordiga), I socialisti e le colonie,
cit. <BR>(9) Louis Fischer, I sovieti nella politica mondiale 1917-1929,
Vallecchi Editore, Firenze, 1957, vol. 1, p. 244. <BR>(10) Ernst Von Salomon, I
proscritti, a cura di Marco Revelli, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2001, p.
483. <BR>(11) Cfr. Angelo Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale. La
conquista dell’Impero, Mondadori, 1992, Il consenso popolare, p. 334. <BR>(12)
Cfr. Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano, Einaudi, Torino,
1967, vol. III, p. 45. <BR>(13) Cfr. Rapporto di Grieco al Comitato centrale del
PCd’I di ottobre novembre 1935, ora in: Giuliano Procacci, Le Internazionali e
l’aggressione fascista all’Etiopia, Annali 1977, Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli, Milano, 1977, p. 139. Antonio Pesenti, L’avventura d’Etiopia, in
AA. VV., Fascismo e antifascismo. Lezioni e testimonianze, Feltrinelli, Milano,
1962, p. 374. <BR>(14) Articoli di “Bilan”: Gatto Mammone, L’impérialisme
italien à la conquete de l’Abyssinie, n. 20, giugno-luglio 1935, p. 662.
(Editoriale), L’Italie en Abissynie, n. 22, agosto-settembre 1935, p. 727. Gatto
Mammone, Le déroulement de l’aventure africaine, n. 24, ottobre-novembre 1935,
p. 804. [Editoriale], Un mois après l’application des sanctions, n. 25,
novembre-dicembre 1935, p. 821. La victoire de l’impérialisme Italien
ouvre-t-elle un nouveau course de la révolution mondiale?, n. 31, maggio-giugno
1936, p. 1021. Gatto Mammone, Après la conquête de l’Ethiopie, n. 46, dicembre
1937–gennaio 1938, p. 1472. <BR>(15) Cfr. Angelo Del Boca, Gli Italiani in
Africa Orientale. La conquista dell’Impero. cit., p. 358. <BR>(16) Palmiro
Togliatti, “L'Unità”, 26 marzo 1948, ora in: Angelo Del Boca, Gli Italiani in
Africa Orientale. Nostalgia delle colonie, Mondadori, 1992, pag. 36-37. <BR>(17)
Thorez ha gettato la maschera, “il programma comunista”, a. VII, n. 19, 22
ottobre – 3 novembre 1958. <BR>(18) Hosea Jaffe, Africa. Movimenti e lotte di
liberazione, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1978, pp. 263 e 265. <BR>(19)
Cfr, in particolare: (Amadeo Bordiga), Le lotte di classi e di Stati nel mondo
dei popoli non bianchi storico campo vitale per la critica rivoluzionaria
marxista, “il programma comunista”, a. VII, n. 3, 11-25 febbraio 1958. Il testo
è stato poi ripubblicato più volte. Fin dai primi numeri, del 1952, “il
programma comunista” offre una ricca documentazione, su quanto avveniva in molti
paesi africani, che si stavano liberando dal gioco coloniale inglese e francese.
</FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2 face="Microsoft Sans Serif"></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Microsoft Sans Serif"><FONT size=2
face="Times New Roman"></FONT> </DIV>
<DIV><BR><BR></FONT><FONT face="Microsoft Sans Serif"><FONT size=2><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">Bibliografia<BR></SPAN><BR></FONT></FONT><FONT
face="Microsoft Sans Serif"><FONT size=2>- Vladimir Ili’c Lenin, Sul movimento
operaio italiano, Introduzione di Paolo Spriano, Editori Riuniti, Roma, 1970.
<BR>- Amadeo Bordiga. Scritti 1911-1926. Dalla guerra di Libia al Congresso
socialista di Ancona 1911-1914, a cura di Luigi Gerosa, Graphos, Genova, 1996.
<BR>- Giovanni Gozzini, Alle origini del comunismo italiano. Storia della
Federazione giovanile socialista (1907-1921), Dedalo Libri, Bari, 1979. <BR>-
Renzo Del Carria, Proletari senza rivoluzione. Storia delle classi subalterne
italiane dal 1860 al 1950, Edizioni Oriente, Milano, 1970, Due volumi. <BR>-
Angelo Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale. Dall’Unità alla Marcia su
Roma, Mondadori, 1992. <BR>- Angelo Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale.
La conquista dell’Impero, Mondadori, 1992. <BR>- Angelo Del Boca, Gli Italiani
in Africa Orientale. Nostalgia delle colonie, Mondadori, 1992. <BR>- Angelo Del
Boca, Gli Italiani in Libia. Tripoli bel suol d’amore 1860-1922, Mondadori,
1993.<BR><BR>(d.e.)<BR></FONT></DIV></FONT></BODY></HTML>