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<DIV><FONT size=1 face="Times New Roman">Sent: Friday, October 29, 2010 9:56
PM</FONT></DIV>
<DIV><FONT size=1 face="Times New Roman">Subject: [Geopolitica] Mike
Davis</FONT></DIV>
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<P><FONT size=3 face="Times New Roman">Cr*,<BR><BR>Obama abbandonato dalla base
e da Wall street<BR><BR>di Marco d'Eramo<BR><BR>su il manifesto del
29/10/2010<BR><BR>Mentre i Tea Party annientano i moderati<BR><BR>INVIATO A SAN
DIEGO (CALIFORNIA)<BR>«Vieni per una cena sul presto (early dinner)», mi aveva
mandato un e-mail Mike Davis quando gli avevo scritto che sarei passato
volentieri a salutarlo nel mio tragitto dall'Arizona a Los Angeles. Alle 5 meno
un quarto mi presento alla sua casa unifamiliare, con Suv parcheggiato davanti,
e un'architettura modernista che contrasta con l'uniformità delle villette
suburbane. Viene a salutarci la moglie Alexandra di origine messicana, pittrice,
insegna in un community college (i colleges pubblici per i quartieri sfavoriti).
I loro due figli (hanno appena cominciato ad andare alle elementari), giocano
nella stanza accanto, l'una al computer, l'altra con il Lego. Credevo che Lego
fosse un gioco del passato: «Ma no, i parchi a tema della Lego vanno più forte
dei Disneyland. Si vendono kit del Taj Mahal da costruire con il Lego. Ci sono
kit da 10.000 dollari. È un puzzle tridimensionale». Chiedo notizie a Mike del
libro che stava scrivendo sull'ambiente. «Non scrivo più, ho smesso. Mi occupo
dei bambini, poi ho quattro ore di pendolarismo per insegnare all'università. Il
titolo del corso è scrittura creativa ma in pratica gli insegno a mettere in
fila soggetto verbo, predicati e complementi, a usare preposizioni e
congiunzioni, concordare i tempi. Quello che davvero mi appassiona adesso è la
geologia. Prendo e vado a guardare le rocce».<BR><BR>Mentre parla, Mike finisce
di cucinare: pollo al forno in un brodo di fichi e limoni, coleshaw (insalata di
cavolo con crema bianca), purèe. Lo scaffale accanto al tavolo da pranzo
strabocca di libri sulla struttura geologica degli Stati uniti, ma anche della
luna. Ero venuto qui con l'intenzione di organizzare un'intervista, ma non è
aria. Così abbiamo la classica conversazione attorno al cibo, senza pretese di
organicità, di cui prendo gli appunti appena tornato in albergo, ma di cui
perciò non posso garantire la fedeltà testuale al 100%.<BR><BR>Alexandra dice
che la gente di Barack Obama e quella di (sua moglie) Michelle non smettono di
telefonare: «Se hai contribuito una volta, ti perseguitano. Ma io questa volta
non glieli do più i soldi. Con quello che ha fatto Obama. Soprattutto agli
insegnanti che lavorano intorno a me».<BR>Anche in questa casa della California
meridionale, a un tiro di schioppo dal confine col Messico la sinistra è delusa
dal presidente. Tanto che mi viene spontaneo sbottare: ma insomma che cosa
avrebbe dovuto fare Obama?<BR><BR>«Ha fatto tutto benissimo - risponde Mike - si
è circondato degli esperti migliori e più brillanti (the brighter and the best è
un'espressione divenuta proverbiale per designare il gruppo di consiglieri della
Casa bianca di J. F. Kennedy e Lyndon Johnson, che infognò gli Usa nella guerra
del Vietnam); ha seguito a puntino i saggissimi consigli di queste menti acute,
ha salvato Wall street e si è completamente alienato la base che lo aveva
eletto».<BR><BR>Ma poco prima Mike aveva detto che sono i senatori democratici
ad aver reso impossibile qualunque riforma, perché si sono rifiutati di prendere
di petto il filibustering (l'ostruzionismo parlamentare per cui, se la
maggioranza non è di 60 a 40, la legge viene bloccata e mai più approvata: va
sottolineato che quando era presidente George Bush e i repubblicani avevano la
maggioranza al senato, i democratici non usarono mai il filibustering per
ostacolare i tagli alle tasse dei ricchi, né per bloccare la guerra in Iraq).
Obietto: con un senato come questo, che altro avrebbe potuto fare
Obama?<BR><BR>«Poni male il problema, perché se non c'è una dinamica sociale,
non c'è soluzione politica. Anche Franklin Delano Roosevelt si trovò nella
stessa situazione. Aveva tutti i capitalisti pazzi contro, proprio come adesso
Obama, e nei primi tempi della sua presidenza la disoccupazione continuò ad
aumentare. Ma a quell'epoca il movimento dei lavoratori era fortissimo, la
spinta che esercitava era enorme. Quello che mi fa piangere adesso è la
divisione, la debolezza dei lavoratori, i sindacati spaccati in lotte interne
sono stati confinati in pochissimi settori. Mi fa incazzare quando qualcuno mi
dice "Obama ci ha tradito". E io gli chiedo: e voi cosa avete fatto per non
farvi tradire, per costringerlo a mantenere le promesse elettorali, come avete
premuto?»<BR><BR>Ma la domanda che vado facendo in giro da due anni e a cui
nessuno sa rispondere è questa: Obama è stato eletto perché l'America si è
spostata a sinistra, oppure c'è voluta la crisi bancaria scoppiata proprio al
momento giusto? (la banca Lehman Brothers fallì un mese e mezzo prima del voto
del 2008).<BR><BR>«No, l'America non si era spostata a sinistra, ma si era
creata una straordinaria mobilitazione. Sono andati a votare segmenti di società
che prima si erano sempre astenuti, come i latinos, i neri, i giovani. Le donne
hanno votato in massa per i democratici. Ma certo che Obama ci ha messo del suo
per smobilitare la sua base: per esempio gli insegnanti avevano votato in blocco
per lui, ma adesso ogni cosa che dice è di critica agli insegnanti, sembra di
sentire parlare un repubblicano. Il ministro dell'Istruzione, Ame Duncan, ha
riproposto a livello nazionale quello che aveva fatto a Chicago, prendendo di
petto proprio gli insegnanti». Duncan era stato il gestore di Renaissance 2010,
il programma voluto dal sindaco di Chicago Richard M. Daley per migliorare la
qualità dell'istruzione nella città: ma i risultati erano stati deludenti e i
test nelle scuole sottoposte al programma non erano stati molto diversi da
quelli delle altre. Non solo Obama ci ha messo del suo, ma anche i repubblicani:
i Tea Party hanno premuto eccome.<BR><BR>«A volte mi sembra di assistere a una
vicenda da fantascienza, mitica, come se fosse la jihad che cerca di riportare
l'orologio al medioevo. Di trovarmi in mezzo a una jihad americana, cristiana,
finanziata dal solito branco di miliardari pazzi e periferici, come i fratelli
Koch: sono sempre gli stessi che prima erano per la Birch society, poi
finanziavano la moral majority dei telepredicatori che portò Ronald Reagan al
potere, poi i christian conservatives di Bush e ora i Tea Party. Solo che ora
hanno raggiunto il loro scopo. Che non è quello di cancellare dalla faccia della
terra i Kennedy, i liberals, ma quello di annientare i repubblicani alla Nelson
Rockfeller. Adesso ci sono riusciti, hanno completamente annientato i
repubblicani moderati. Guarda quello che sta facendo la Chambers of
Commerce».<BR><BR>La Chamber of Commerce ha già speso quest'anno più di 81
milioni di dollari per finanziare candidati repubblicani, oltre ai 60 che aveva
speso l'anno scorso. E oltre ai finanziamenti elettorali ha speso più di 100
milioni di dollari per combattere la legge sulle energie pulite: l'anno scorso a
ottobre il fondatore e amministratore delegato di Apple, Steve Job, disse che
abbandonava la Camera di Commercio perché riteneva che lo stato debba prendere
l'iniziativa per affrontare il problema ambientale. Molti altri imprenditori
tecnologici, tra cui John Chamers della Cisco, fecero lo stesso.<BR><BR>«È
appena uscito un interessante articolo su Businessweek che criticava la Chamber
of Commerce e si chiedeva se quest'istituzione parlasse davvero a nome delle
grandi imprese. Ma la critica da parte di questo settimanale non stupisce
affatto, perché intanto Businessweek non si chiama più così, ora è Bloomberg
Businessweek, perché Michel Bloomberg l'ha comprato e Bloomberg è uno dei
repubblicani alla Rockfeller (ormai Bloomberg è di fatto un indipendente, ndr),
ha appoggiato Obama nel 2008, rispetto ai Koch e ai Giuliani è tutta un'altra
stoffa...»<BR>Ricordo a Mike che alla fine degli anni '60 Rockfeller era il
bersaglio preferito della sinistra antimperialista, per le sue connessioni con
la Cia in America latina.<BR><BR>«Sì, ma è come Harold Mc Millan in Inghilterra.
Mc Millan era un conservatore che sosteneva lo stato sociale, aveva posizioni
che confrontate con quelle del Labour Party erano molto più a sinistra. Prendi
Richard Nixon: aveva proposto persino d'instaurare un reddito minimo
garantito!». Ricordo a Mike che Ted Kennedy, ancora poco prima di morire, ha
rimpianto di non aver appoggiato a suo tempo la riforma sanitaria proposta da
Nixon che era molto più a sinistra di quella votata da Obama.<BR><BR>Ma a parte
Bloomberg, chi sarebbero oggi in America questi capitalisti
lungimiranti?<BR>«Obama è stato eletto da una coalizione che comprendeva
l'industria a tecnologia avanzata, Silicon Valley, la comunicazione (Hollywood,
una parte dei media), la finanza. La finanza si vede come sta ricompensando
Obama, che pure è il presidente più amico che abbia avuto. E io mi ero
sbagliato: pensavo che i tecnologici, le dot-com, le industrie ambientali
sarebbero stati molto più solidi nell'appoggiare sia la legislazione ambientale,
sia Obama, e nel contrastare i capitalisti inquinatori e fissati sul profitto a
corto termine. Invece Silicon Valley è abbastanza discreta. Hollywood si è
nascosta sotto il tappeto. Credevo che i tecnologici premessero molto di più per
mantenere almeno questo settore della produzione negli Usa. Era uscito un bel
saggio di uno di questi guru che diceva che è un'illusione pensare che
un'economia possa basarsi solo sulla scienza e sulla tecnologia, sulle idee e
sui brevetti, facendo a meno della manifattura: perché poi alla fine, dopo la
manifattura se ne vanno anche la scienza e la tecnologia. Ma queste voci sono
minoritarie».<BR><BR>Stai dicendo che l'unica speranza della sinistra sono i
capitalisti illuminati? «No, sto dicendo che il capitalismo americano ha
rinunciato persino alla razionalità capitalista. Si discute di ripresa. Ma qui
non sarebbe possibile rilanciare una produzione manifatturiera: i nostri
lavoratori non hanno più le specializzazioni, non sappiamo più costruire i
macchinari giusti. Guarda il capitalismo tedesco, guarda le loro banche come
proteggono con le unghie e con i denti le capacità produttive, l'esistenza di
una massiccia manodopera qualificata. La logica del capitalismo ha bisogno di
sindacati forti, di un forte movimento operaio che costringa a investimenti in
tecnologie labor-saving (che risparmiano lavoro). Un capitalismo sano ha bisogno
della pressione dei lavoratori per progredire. In occasione del cinquantenario
della New Left Review c'è stata una discussione interna. Per il numero del
cinquantenario della rivista, Perry Anderson ha scritto che quello che la
rivoluzione sovietica ha rappresentato per il '900, sarà ricordato per la
rivoluzione cinese all'inizio del XXI secolo. Anche dando alla leadership cinese
quel che le compete, anche supponendo che sia la più saggia dell'era moderna,
quella che è stata in grado di controllare l'immane migrazione interna, io però
non credo che sia un modello sostenibile a lungo termine. Non credo che saranno
capaci di convertire una struttura centrata tutta sull'esportazione in un
mercato interno di consumatori di massa. Se dovessi scommettere su una potenza,
scommetterei ancora sull'Europa, sulle sue capacità, la cultura, il capitale
umano, la storia, le infrastrutture, soprattutto un rapporto con il lavoro e con
i lavoratori che è diversissimo dal resto del mondo».<BR><BR>Mentre mi accomiato
per riprendere l'autostrada mi fa un esempio di questo rapporto: le vacanze. Mi
ricorda che suo padre, che era una sindacalista, aveva due settimane di vacanze
in tutto l'anno, e che ormai in America le vacanze familiari quasi non esistono
più. Alexandra rincara: quando lavorava con gli insegnanti, avevano in tutto una
settimana di vacanza l'anno. Qui è o la vita o il lavoro,
dicono..<BR><BR>singolarità qualunque<BR></FONT><A
href="http://materialiresistenti.blog.dada.net/"><FONT size=3
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