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<H2><SPAN class="goog_qs-tidbit goog_qs-tidbit-0"><FONT color=#ff0000>Chi sono
(e cosa vogliono?) i lavoratori della conoscenza. Un’intervista a Sergio
Bologna</FONT></SPAN></H2>
<H2><SPAN class="goog_qs-tidbit goog_qs-tidbit-0"></SPAN> </H2>
<H2><SPAN class="goog_qs-tidbit goog_qs-tidbit-0"></SPAN> </H2></DIV>
<P><A
href="http://www.molecoleonline.it/2010/10/29/ecco-chi-sono-i-lavoratori-della-conoscenza-sono-un-intervista-a-sergio-bologna/int_bologna91/"
rel="attachment wp-att-2115"><IMG class="alignleft size-full wp-image-2115"
title="Sergio Bologna" alt=""
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<P> </P>
<P> </P>
<P><SPAN class="goog_qs-tidbit goog_qs-tidbit-0">Sergio Bologna, storico del
movimento operaio e</SPAN> teorico dell’operaismo italiano, è curatore di libri
come “Il lavoro autonomo di seconda generazione” (Feltrinelli 1997, insieme a
Andrea Fumagalli) ed è autore di “Ceti medi senza futuro?” (DeriveApprodi 2007).
Ha creato riviste che hanno fatto un’epoca (Primo Maggio, raccolta riedita da
DeriveApprodi nel 2010) e da 25 anni lavora come consulente nel campo della
logistica (l’ultimo libro è “Le multinazionali del mare”, Egea 2010). “Abbiamo
difeso il lavoro altrui, noi che operai non eravamo – ha scritto recentemente –
Oggi dobbiamo difendere il lavoro cognitivo, il nostro lavoro, il lavoro
intellettuale, più disprezzato e umiliato di quello manuale”. Con questa
convinzione, Bologna segue da tempo le attività di Acta, l’associazione
dei consulenti del terziario avanzato (www.actainrete.it), collaborando alla
stesura del “manifesto del lavoro autonomo”
(www.actainrete.it/2010/10/questo-e-il-nostro-manifesto). “Come molte altre
associazioni in Inghilterra o negli Stati Uniti – spiega – Acta, per la quale
curo i rapporti internazionali, denuncia le forti disparità di carattere
previdenziale, fiscale, informativo e culturale del lavoro della conoscenza
indipendente rispetto al lavoro dipendente e chiede nuove forme di welfare”.</P>
<P><STRONG>Chi sono oggi i lavoratori della conoscenza?</STRONG></P>
<P>C’è un po’ di confusione su questa espressione. Sono ormai molte le categorie
ad usarla. I lavoratori della scuola e dell’università, ad esempio, gli
avvocati, gli architetti, gli ingegneri, i notai, i pubblicitari, i traduttori.
Lavoratore della conoscenza è la traduzione italiana di <EM>knowledge
worker</EM> che è stata probabilmente coniata dal padre della teoria del
<EM>management </EM>Peter Drucker negli anni Cinquanta. Oggi chi usa
l’espressione “lavoratori della conoscenza” prova a definire in maniera più
concreta la realtà in cui si trova.</P>
<P><STRONG>Per quale ragione attribuisci a questi lavoratori un ruolo di primo
piano nella nostra società?</STRONG></P>
<P>Sono le cifre a dirlo. Mi riferisco ad una ricerca sui lavoratori della
conoscenza presentata qualche tempo fa all’Assolombarda. Confrontato con il dato
europeo e statunitense l’incidenza di quello che può essere chiamato “lavoro di
conoscenza” raggiunge in Italia la pur ragguardevole percentuale del 41,49 per
cento sulla forza lavoro occupata nel 2005, a fronte del 48,19 per cento in
Germania e del 52,17 per cento in Gran Bretagna. Pur non condividendo del tutto
i criteri di classificazione usati, il rapporto indica le caratteristiche che
questi lavoratori offrono sul mercato: idee, beni immateriali, capacità
relazionale, competenze.</P>
<P><STRONG>L’istruzione ha un ruolo fondamentale per i lavoratori della
conoscenza. Perché da vent’anni si continua a tartassarla con riforme che
peraltro non sembrano funzionare?</STRONG></P>
<P>Perché è stato deciso che la scuola e l’università non devono più dare una
formazione completa ai giovani. Sbaglia chi pensa che bisogna dare più
formazione ad un capitale umano non qualificato. E’ vero l’opposto: siamo in
presenza di una generazione iperpreparata, mentre è il mercato ad essere
dequalificato e non ha nulla da offrirle. Le riforme dell’università badano solo
ai costi della formazione e su questi hanno modellato gli ordinamenti degli
studi. Il processo di Bologna che le ha diffuse in tutta Europa è l’applicazione
meccanica del modello americano. C’è una differenza, però. In Italia sono pochi
i privati disposti a finanziare la ricerca. Da chi vai a chiedere soldi? Da
Benetton? Della Valle? A quelli interessa sponsorizzare opere d’arte per
valorizzare il proprio marchio. Quello che in Italia non si capisce è che negli
Stati Uniti il 40 per cento del personale universitario è composto da <EM>fund
raiser</EM>. Il problema di questo miserabile capitalismo italiano è che non
abbiamo mecenati interessati alla ricerca e allo sviluppo. La ricerca dei
privati si è tradotta nella caccia ai fondi pubblici superstiti e ai
finanziamenti europei.</P>
<P><STRONG>Dall’università, dai servizi, dalla scuola, dalle professioni
giungono richieste di diritti essenziali e di sostegno al reddito. Una
coincidenza?</STRONG></P>
<P>Questo fenomeno si spiega con il fatto che il valore di mercato delle
competenze dei lavoratori della conoscenza sta crollando. Il valore del loro
lavoro si è svalutato molto di più di quello manuale. Prendete le tariffe orarie
dell’uno e dell’altro e lo vedrete. In Italia chi ha una competenza dà fastidio.
Quello che si cerca è una flessibilità esasperata che impone pagamenti
inverosimili. Se finora questa situazione è stata sopportata senza eccessive
proteste è perché la situazione di mercato era tollerabile. E’ facile prevedere
che la crisi attuale, provocata da quella che Galbraith ha chiamato “economia
della truffa”, porterà a situazioni di esasperazione e di totale sfiducia nelle
istituzioni. La stessa svalutazione è presente nel lavoro dipendente. <FONT
size=2><SPAN style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman', serif"><SPAN
style="FONT-SIZE: small">Dal 1992 in Italia </SPAN></SPAN><SPAN
style="COLOR: #000000"><SPAN style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman', serif"><SPAN
style="FONT-SIZE: small">c’è stata una stagnazione dei salari reali e in alcuni
casi anche di quelli nominali.</SPAN></SPAN></SPAN></FONT></P>
<P><STRONG>Che rapporto ha il precariato con questa situazione?</STRONG></P>
<P>La sua improvvisa visibilità è dovuta al fatto che la Confindustria, i
partiti e il governo si sono resi conto che i contributi di milioni di precari
sono fondamentali per finanziare la cassa integrazione da cui dipende la
stabilità sociale in Italia. Senza questo ammortizzatore sociale arriveremmo al
12 per cento di disoccupati. Il modo in cui è amministrato il Fondo della
Gestione Separata INPS alla quale si devono iscrivere i co.co.pro e i lavoratori
autonomi è uno scandalo, che noi come ACTA continuiamo a denunciare e che
i sindacati continuano a coprire. E’ questo che fa incazzare la gente. Questo
accade perché abbiamo una rappresentanza politica, sindacale, associativa che
non è interessata alle questioni vitali delle persone. Penso però che la
democrazia corra un pericolo ancora più grave.</P>
<P><STRONG></STRONG></P>
<P><STRONG>Quale?</STRONG></P>
<P>Il disinteresse per il bene comune, la privatizzazione selvaggia che i
milanesi conoscono bene, la mancanza di regolamentazione del mercato. Il
pericolo non lo vedo tanto in un’organizzazione istituzionale, quanto
nell’abitudine a dare una delega a chi fa politica di professione, come ha fatto
fino ad oggi la sinistra, oppure a darla ad uno solo, come fa la destra. Bisogna
convincere la gente ad uscire dalla passività e a difendere i propri diritti
senza delegarli a terzi.</P>
<P><STRONG>In tempi di antiberlusconismo credi che questo sia
possibile?</STRONG></P>
<P>Penso che l’antiberlusconismo sia di una sterilità mortale perché aumenta la
passività, non la risolve. Il giustizialismo è un’aggravante. I magistrati più
intelligenti lo sanno: pensare di rovesciare Berlusconi con la loro supplenza è
la prova che la democrazia è in crisi. A chi pensa di affidare alla
magistratura, o a Gianfranco Fini, la soluzione dei nostri problemi, rispondo:
dov’era Fini durante le giornate del G8 di Genova? E che cosa ha deciso la
magistratura su quei fatti? L’antiberlusconismo è l’ultima dimostrazione
dell’incapacità della borghesia italiana di sviluppare un pensiero radicale e
democratico della trasformazione. Il primo a dirlo è stato Gramsci. In questo
paese nel dopoguerra lo ha fatto il proletariato. Una capacità che è andata
persa dopo che la sinistra ha sciolto le sue strutture.</P>
<P><STRONG>E’ possibile ricominciare? E da dove?</STRONG></P>
<P>La forza motrice della resistenza sono le donne che oltre a lavorare, hanno
un ruolo riproduttivo e di cura nella società. Per questo sentono di più il peso
della crisi e reagiscono meglio. Non hanno una mentalità individualista, sanno
che per ottenere qualcosa bisogna associarsi. Le donne sono una garanzia per la
democrazia di questo paese.</P>
<P><STRONG>Da alcuni anni parli di “coalizione”. Che cosa intendi
precisamente?</STRONG></P>
<P>Per coalizione non intendo un’organizzazione ma lo sviluppo di un
atteggiamento soggettivo tra le persone affinché si associno con altri e
rivendichino i propri diritti. La democrazia, come ha scritto Karl Polány, non è
un sistema di governo, ma una forma ideale di vita. In Italia ci sarebbe spazio
per creare una coalizione tra i vari tronconi del lavoro autonomo e precario per
conquistare insieme certi diritti universali. I professionisti indipendenti
possono dire ai giovani cos’è il mercato oggi, mentre i precari possono
insegnare ai lavoratori autonomi a non chiudersi in un rivendicazionismo
corporativo.</P>
<P><STRONG>E il rapporto con i sindacati?</STRONG></P>
<P>Con i sindacati bisogna dialogare, gli si deve però chiedere di abbandonare
l’idea di aumentare gli oneri contributivi del lavoro autonomo e precario.
Queste categorie sociali subiscono già una forte discriminazione sul piano delle
prestazioni dello stato sociale. Dire che con l’aumento dei contributi si limita
il ricorso ai contratti “atipici” è una bugia, la storia di questi anni lo
dimostra.</P>
<P> </P>
<P> </P>
<P><BR class=spacer_></P>
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<DIV class=tags><A title="Articoli scritti da: Roberto Ciccarelli"
href="http://www.molecoleonline.it/author/roberto-ciccarelli/"><FONT
size=1>Roberto Ciccarelli</FONT></A><FONT size=1>, </FONT><A
href="http://www.molecoleonline.it/2010/10/30/"><FONT size=1>29 ottobre 2010
</FONT></A><FONT
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