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<H2 class=uiHeaderTitle><FONT color=#ff0000>MARCHIONNE DOPO CRISTO</FONT></H2>
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<DIV class="mbs uiHeaderSubTitle lfloat fsm fwn fcg"><STRONG>pubblicato da
</STRONG><A href="http://www.facebook.com/profile.php?id=1085524363"><FONT
color=#3b5998><STRONG>Franco Berardi</STRONG></FONT></A><STRONG> il giorno
lunedì 18 ottobre 2010 su facebook</STRONG></DIV></DIV>
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<P><STRONG></STRONG>All’inizio dell’autunno 2010 Sergio Marchionne ha dichiarato
che lui vive nell’epoca dopo Cristo, e non può stare ad ascoltare le
considerazioni che provengono da gente che vive nell’epoca prima di Cristo. La
blasfema metafora di Marchionne vuol dire che da quando esiste la
globalizzazione non si possono rivendicare quei diritti e quelle garanzie
sociali che vigevano prima della globalizzazione.</P>
<P>Se dobbiamo competere con economie emergenti nelle quali il costo del lavoro
è inferiore al costo del lavoro degli operai europei, dobbiamo abbassare i
salari europei. Se dobbiamo competere con economie nelle quali l’orario di
lavoro è illimitato e le condizioni di lavoro sono selvagge – scarse garanzie di
sicurezza sul lavoro, turnazioni massacranti, precarietà del rapporto di lavoro
– anche in Europa bisogna abolire i limiti all’orario settimanale, rendere
obbligatorio lo straordinario, rinunciare alla sicurezza del posto di lavoro e
così via.</P>
<P>In termini brutali così potremmo tradurre il pensiero di Sergio Marchionne
(che del resto esprime il pensiero ufficiale dell’Unione europea dopo la svolta
seguita alla crisi greca di primavera): l’evoluzione del capitalismo richiede
l’abrogazione di fatto dei principi che discendono dalle tradizioni Socialista,
Illuminista e Umanista, e naturalmente dei principi che definiscono la
democrazia, ammesso che questa parola significhi qualcosa. Vorrei aggiungere
un’ultima considerazione, giocando un po’ con la metafora cristologica del
signor Marchionne. Nell’epoca dopo Cristo di cui parla lui anche il principio
cristiano dell’amore per il prossimo va cancellato, ridotto al più a predica
domenicale.</P>
<P>E’ questa l’Europa che vogliamo? A questa immagine di sé ha deciso di
piegarsi l’Europa? Ed il pensiero marchionnico coincide con la politica
dell’UE?</P>
<P>Naturalmente più che di principi qui si tratta di rapporti di forza. Negli
ultimi anni la classe finanziaria, dominante nel governo economico del mondo, ha
usato le potenze tecniche globalizzanti per aumentare enormemente la quota di
ricchezza che in forma di profitto e di rendita finanziaria va nelle tasche di
una minoranza. La classe operaia, e il lavoro cognitivo multiforme non hanno
potuto resistere all’attacco seguito alla globalizzazione.</P>
<P>Questa distribuzione della ricchezza confligge però con la stessa possibilità
di uno sviluppo ulteriore del capitalismo perché la riduzione del salario
globale provoca una generale riduzione della domanda. Si sta verificando un
effetto di impoverimento che rende la società sempre più fragile e aggressiva,
ma anche un effetto deflattivo che rende impossibile lo stesso rilancio della
crescita.</P>
<P>Come se ne esce?</P>
<P>Il signor Marchionne e i suoi sodali, che vivono nell’epoca dopo Cristo,
fanno questo ragionamento: se la deregulation ha prodotto il collasso sistemico
col quale sta facendo i conti l’economia globale, allora occorre maggiore
deregulation. Se la detassazione degli alti redditi ha portato al restringimento
della domanda, allora ci vuole un’ulteriore detassazione degli alti redditi, se
l’iper-sfruttamento ha portato a una sovraproduzione di automobili invendute ed
inutili, allora occorre intensificare la produzione di auto. Sono forse pazzi,
costoro? Penso di no, penso che siano incapaci di pensare in termini di
futuro, che siano nel panico, terrorizzati dalla loro stessa impotenza. Hanno
paura. Tutto quello che sanno fare è aumentarsi lo stipendio (vero, Marchionne?)
e i dividendi per i loro commensali.</P>
<P>La borghesia moderna era una classe fortemente territorializzata, legata a un
patrimonio materiale che non poteva prescindere dal rapporto con il luogo, con
la comunità. Il ceto finanziario che domina la scena del nostro tempo non
ha alcun rapporto di affezione col territorio né con la produzione materiale,
perché il suo potere e la sua ricchezza si fondano sull’astrazione perfetta
della finanza moltiplicata per il digitale. L’iper-astrazione
digital-finanziaria sta liquidando il corpo vivente del pianeta, e il corpo
sociale.</P>
<P> </P>
<P>Ma può durare? Dopo la crisi greca si è costituito un direttorio Merkel
Sarkozy Trichet che ha stabilito, senza alcuna consultazione dell’opinione
pubblica, di concentrare dal 2011 il potere di decisione sull’economia dei
diversi paesi esautorando di fatto ogni istanza parlamentare. Potrà davvero
questo direttorio commissariare la democrazia nell’Unione, sostituirla con un
comitato d’affari che fa capo ai direttori delle grandi banche? Potrà imporre un
sistema di automatismi per i quali, se vuoi far parte dell’Unione devi ridurre i
salari dei dipendenti pubblici, licenziare un terzo degli insegnanti e così
via?</P>
<P>Il 16 ottobre a Roma e a Parigi si sono tenute due immense due manifestazioni
che mi fanno pensare che la dittatura finanziaria non riuscirà a
stabilizzarsi.</P>
<P>Può darsi che Sarkozy riesca a far passare la legge che prolunga il tempo di
vita lavoro fino a 65 anni, e in Italia le politiche di taglieggiamento del
salario operaio e dei diritti operai non finiranno certo con la prossima caduta
del governo Berlusconi.</P>
<P>Questo lo so.</P>
<P>Ma nei paesi latini (cattolici) del mondo europeo la dittatura europea non si
stabilizzerà, perché nei prossimi mesi e nei prossimi anni assisteremo a un
diffondersi, contraddittorio, talvolta violento, ma persistente di
insubordinazione sociale che sempre più individuerà il vero nemico – non nei
governi nazionali, ma nell’Unione stessa, nel suo direttorio granitico e nelle
sue tecniche di <EM>governance</EM> apparentemente neutrali. E allora a quel
punto occorrerà abbattere l’Europa presente, perché l’Europa possibile emerga
finalmente.</P>
<P>Allora dovremo chiederci: ma è proprio vero che dobbiamo competere secondo la
regola economica? Se proprio di competizione dobbiamo parlare (e la parola è
sbagliata) perché non pensare alla competizione tra stili di vita, modalità
dello spirito pubblico, livelli di felicità e di godimento per l’organismo
sensibile collettivo? Non sono forse questi criteri che nel lungo periodo
dell’evoluzione umana possono avere una forza attrattiva superiore al prodotto
nazionale lordo, alla quantità di petrolio bruciato, e al numero di centrali
nucleari?</P>
<P>Quello che vogliono gli esseri umani (fin quando non sono preda di
un’ossessione psicotica che si chiama avarizia) è vivere in modo piacevole,
tranquillo, possibilmente a lungo, consumando ciò che è necessario per
mantenersi in forma e per fare all’amore.</P>
<P>Tutti quei valori politici o morali che hanno reso possibile il perseguimento
di uno stile di vita di questo genere li abbiamo chiamati un po’ pomposamente
“civiltà”.</P>
<P>Ora vengono i Marchionne a raccontarci che se vogliamo continuare a giocare
il gioco che si gioca nelle borse e nelle banche, dobbiamo rinunciare a vivere
in modo piacevole, tranquillo, eccetera. Ovvero dobbiamo rinunciare alla
civiltà. Ma perché dovremmo accettare questo scambio? L’Europa è ricca non
perché l’euro è solido sui mercati internazionali o perché i manager fanno
quadrare i conti del loro profitto. L’Europa è ricca perché ci sono milioni di
intellettuali di scienziati e di tecnici, di poeti e di medici, e milioni di
operai che hanno affinato per secoli il loro sapere. L’Europa è ricca perché
nella sua storia ha saputo valorizzare la competenza e non solo la
competitività, ha saputo accogliere e integrare culture diverse. E’ ricca
anche, bisogna pur dirlo, perché per quattro secoli ha sfruttato ferocemente le
risorse fisiche e umane degli altri continenti.</P>
<P>Dobbiamo rinunciare a qualcosa, ma a cosa precisamente?</P>
<P>Certamente dovremmo rinunciare all’iper-consumo imposto dalle grandi
corporation, ma non credo che dovremmo rinunciare alla tradizione umanistica, a
quella illuminista e a quella socialista, cioè alla libertà, al diritto e al
benessere. Non perché siamo affezionati a dei principi del passato, ma perché
questi rendono possibile una vita decente, mentre i criteri che propongono in
Marchionni garantiscono per la maggioranza una vita infernale.</P>
<P>La prospettiva che si apre non è quella di una rivoluzione, concetto che non
corrisponde più a niente perché implica un’esagerata considerazione della
volontà politica sulla complessità della società presente. Quella che si apre è
la prospettiva di una transizione paradigmatica.</P>
<P>Un nuovo paradigma, che non sia più centrato intorno alla crescita del
prodotto, intorno al profitto e all’accumulazione, ma fondato sul pieno
dispiegamento della potenza dell’intelligenza collettiva.</P>
<P>Non credo che l’Europa abbia qualcosa da insegnare alle altre civiltà del
pianeta. Può dare un contributo originale, come nel bene o nel male ha fatto nel
passato in più occasioni.</P>
<P>Abbiamo imposto il modello capitalistico, e ora cerchiamo la via per venirne
fuori. Non per venire fuori dal capitalismo, che come ogni altro modello
economico (lo schiavismo, il feudalesimo) è incancellabile – ma per venire fuori
dalla sua dominanza incontrastabile. Autonomia della società dal dominio del
capitale, dispiegamento delle potenze che il capitale ha realizzato nella sua
convivenza conflittuale con il lavoro.</P>
<P>Questo è il contributo originale che l’Unione europea, quella possibile,
quella del dopo-dopo-Cristo che Marchionne non riesce neppure a immaginare,
potrebbe consegnare alla storia del mondo.</P>
<P> </P>
<P> </P>
<P> </P>
<P> </P></DIV></DIV></DIV></BODY></HTML>