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<DIV class="mbs uiHeaderSubTitle lfloat fsm fwn fcg">domenica 19 settembre 2010
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<P><EM>Alessandro Sarti</EM></P>
<P><EM>Franco Berardi</EM></P>
<P><EM></EM> </P>
<P><EM></EM> </P>
<P>E se questo fosse, finalmente, l’anno della ricerca? L’anno della ricerca di
una via d’uscita dal paradigma economicista che sta devastando il pianeta - ma
anche, più semplicemente, l’anno in cui i lavoratori della ricerca si ribellano,
e organizzano autonomamente il loro sapere. Le due cose probabilmente non
sono così diverse. Chi se non i ricercatori può cercare una via che ci conduca
fuori dall’inferno?</P>
<P>Riuniti a Roma in assemblea il 17 settembre 2010 i ricercatori italiani hanno
deciso il blocco delle attività didattiche. Nelle prossime settimane si deve
puntare al blocco generalizzato della scuola e dell’università coinvolgendo gli
studenti e il corpo docente. Facciamo per un anno dell’università e della scuola
intera un laboratorio di immaginazione del possibile. La società europea ne ha
bisogno.</P>
<P>L’anno accademico 2010-2011 va trasformato in un anno di riflessione sulla
catastrofe presente e sulle vie d’uscita dalle politiche deflazioniste ed
oscurantiste. Un movimento capace di coinvolgere tutte le componenti del
mondo universitario sarebbe un’occasione per restituire vitalità alla società
italiana ma anche un elemento strategico di ricomposizione dell’intelligenza
sociale contro le politiche neoliberiste.</P>
<P> </P>
<P>Poco tempo dopo il collasso finanziario della primavera 2000, dopo la crisi
delle dotcom e il crollo di giganti tecno-finanziari come Enron e World.com,
Christian Marazzi scrisse un articolo sul pericolo della rottamazione del
<EM>general intellect</EM>. Attenzione, diceva Marazzi, il nuovo gruppo
dirigente americano bushista rappresenta il ritorno della <EM>old economy</EM>
petrolifera e guerriera al comando del sistema globale. Le cose sono andate
proprio così. L’alleanza tra lavoro cognitivo e capitale finanziario, che negli
anni ‘90 aveva realizzato la rivoluzione della rete, era rotta. Cominciava
l’attacco contro il lavoro cognitivo: impoverimento, precarizzazione,
devastazione psichica e sociale. La Carta di Bologna del 1999 sanciva la
sottomissione del sapere al profitto, ne faceva principio ispiratore di una
nuova organizzazione del sistema universitario.</P>
<P>Quella tendenza oggi appare in pieno dispiegamento: riduzione del
finanziamento della ricerca, manipolazione e militarizzazione della ricerca
finanziata dallo stato ma sempre più sfruttata dalle imprese private, e
parallelo impoverimento e precarizzazione del lavoro cognitivo.</P>
<P>Obiettivo prioritario della classe dirigente europea è la stratificazione e
l’asservimento del lavoro cognitivo attraverso l’uso del precariato. In tutta
Europa la riproduzione dell’apparato universitario si fonda su una massa enorme
di lavoro precario sottopagato o non pagato affatto. Adesso è il momento di
fermare questa macchina, è il momento di fare dell’università quello che essa è
costitutivamente: un luogo di conoscenza impregiudicata, un luogo di
condivisione pubblica dei saperi.</P>
<P> </P>
<P>Nei vari paesi europei l’attacco contro il ciclo della ricerca e del lavoro
cognitivo segue linee differenti ma convergenti. In Italia si verifica un
puro e semplice disinvestimento, un taglio drastico delle risorse per la scuola
pubblica e per la ricerca. In altri paesi, ad esempio in Francia il
finanziamento alla ricerca viene invece discriminato, per favorire quei progetti
di ricerca che si traducono in profitto economico, mentre vengono disincentivati
i settori della ricerca che non dipendono in maniera diretta dagli interessi
della crescita. Una situazione esemplare è quella che si è sviluppata negli
ultimi mesi all'<EM>Ecole Polytechnique</EM> di Parigi. L’anno scorso Sarkozy
ufficializzò lo stanziamento di tredici miliardi di euro per la ricerca (mentre
la Gelmini in Italia riduce di otto miliardi il finanziamento per il comparto
scuola). I tredici miliardi sono destinati a una generale trasformazione del
sistema della ricerca francese. Prima aveva pensato di eliminare il CNRS, che
per decenni ha garantito il carattere pubblico della ricerca e la possibilità di
accesso ai finanziamenti senza discriminazioni di contenuto. Poi ha invece
preferito elargire il finanziamento alla condizione che le disponibilità
finanziarie venissero subordinate a un criterio di tipo economico. Solo se la
ricerca è utile alla crescita economica può attingere ai fondi del
Ministero.</P>
<P>L’idea che “il futuro è la ricerca industriale” non è meno pericolosa di
quella puramente e semplicemente devastatrice del governo Berlusconi. Il governo
italiano distrugge il sistema della ricerca, e le conseguenze si vedranno ben
presto: barbarie e crollo della produzione di saperi.</P>
<P>Il governo francese invece introduce un principio di discriminazione fra i
ricercatori sulla base della loro disponibilità a subordinare la loro attività a
un obiettivo extra-scientifico, quello del profitto economico. Si instaura così
un processo ricorsivo: con delle strategie di governance della ricerca i
finanziamenti vengono erogati a quei soggetti che praticano la ricerca
della governance.</P>
<P>L’effetto sarà meno deflagrante e rapido di quello italiano, ma nella
sostanza l’attacco sarkozysta è più violento e profondo, perché cancella in
linea di principio la libertà della ricerca e introduce un criterio di
valutazione extra-scientifico (quello della redditività immediata).</P>
<P> </P>
<P>Non si tratta di sottigliezze, ma di una questione centrale: la ricerca non
può essere sottoposta a nessun criterio discriminante, meno che mai quello della
redditività, perché la sua funzione è proprio quella di esplorare vie non
esplorate e di rendere possibili alternative concettuali scientifiche e
tecnologiche.</P>
<P>La ricerca ha il compito di aprire porte a soluzioni paradigmatiche che
permettano di uscire dai vicoli ciechi. I vicoli ciechi si stanno moltiplicando
nel pianeta dopo trent’anni di devastazione neoliberista. Solo la ricerca può
forse trovare soluzioni tecniche e concettuali che sono inimmaginabili entro il
quadro presente. Si pensi alla crisi ambientale provocata dall’ossessione
economicista del petrolio e dell’automobile. Il riscaldamento globale, la
degradazione degli ecosistemi, il collasso delle metropoli – tutti questi
problemi non hanno soluzione entro il campo delle possibilità esistenti e
visibili.</P>
<P>La ricerca può trovare soluzioni che entro questo quadro non sono
immaginabili, a patto di non dipendere strettamente dagli interessi economici
dominanti, e quindi dai paradigmi che essi incarnano.</P>
<P>Si apre qui una questione che ha carattere epistemologico ancor prima che
politico. L’autonomia della ricerca non è un principio meramente politico,
giuridico, formale. E’ la condizione della sua produttività conoscitiva.</P>
<P>Il pensiero dominante, vuole ridurre la ricerca a elemento di governance
della complessità. L’ideologia della governance si fonda sulla naturalizzazione
del criterio economico. L’economia pretende di farsi linguaggio universale,
mentre essa non è che un sapere fra gli altri. Il ruolo normativo che
l’economia ha assunto negli ultimi decenni è del tutto abusivo sul piano
epistemico, oltre che devastante sul piano sociale. La ricerca deve esplorare
concatenazioni conoscitive tecniche e sociali del tutto irriducibili al
principio economico, altrimenti non è più ricerca, ma soltanto gestione
tecnica.</P>
<P>La crisi che investe l’Europa prepara un grande sconquasso. Le destre
alimentano tendenze populiste, razziste, aggressive. Un movimento della ricerca
potrebbe aprire una prospettiva nuova, spostare l’attenzione dalle ossessioni
ripetitive verso la scoperta del possibile.</P>
<P>Per questo abbiamo bisogno di tempo e di spazio. Il tempo sia l’anno
accademico che sta cominciando. Lo spazio siano le università europee,
trasformate in laboratorio di una ricerca senza dogmi.</P>
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