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<P><STRONG></STRONG></P>
<H1 class=in_movimento><FONT color=#ff0000>Uniti contro la crisi</FONT></H1>
<H2><FONT color=#ff0000>dal 29 settembre a Bruxelles al 16 ottobre a Roma
campagna di mobilitazione</FONT></H2>
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<DIV class=date>19 / 9 / 2010</DIV>
<DIV class=date><STRONG>Di seguito l'appello, firmato da 25 tra attivisti di
movimento, del mondo associativo e della Fiom, che lancia una maniera altra di
intendere le prossime manifestazioni, da Bruxelles a Roma, che hanno come tema
centrale l'opposizione alle politiche governative e, nel caso italiano,
confindustriali, che vengono imposte con la scusa della crisi. Come Global
Project, ci mettiamo a disposizione per alimentare il percorso proposto dai
firmatari, perchè ci sembra l'unico possibile per tentare di "rovesciare" la
situazione e farla diventare un'occasione per un grande rilancio in questo paese
e in Europa, di movimenti che rendano visibile e praticabile il "dualismo" di
un'alternativa possibile, che si contrapponga allo stato di cose
presenti.</STRONG></DIV>
<DIV class=text>
<P> La crisi che il mondo sta attraversando è “strutturale”, riguarda cioè
l’intero sistema capitalistico ed è il prodotto di tante “crisi”: da quella dei
dispositivi economici che hanno nella finanza il loro epicentro, alla
precarizzazione di massa e alla redistribuzione della ricchezza dal lavoro alla
rendita e al profitto, quella ecologica, che pone sempre più drammaticamente il
problema degli effetti sulla nostra vita della devastazione ambientale
irreversibile, alla crisi alimentare per tanta parte del pianeta, fino alla
crisi energetica e di accesso ai beni comuni come l’acqua. </P>
<P>La crisi attraversa stravolge tutte le sfere innanzitutto quella della
democrazia e della libertà, conseguenza più diretta è una ridefinizione continua
dei valori e l’etica che stanno alla base di ogni ipotesi di società in cui
prevalgono individualismo ed egoismo. Ma che cosa significa “crisi”? Per noi, se
le condizioni che ci hanno portato a questa situazione continuassero ad essere
riprodotte, come è sotto gli occhi di tutti, risulta evidente che essa segnala
l’impossibilità di pensare ad un mondo più giusto, possibile e vivibile per
tutti. Infatti la crisi si muove, acuisce e aumenta i suoi effetti, non è un
fenomeno statico, quindi la crisi è sempre il momento delle decisioni.</P>
<P>Per gli apologeti del mercato e del capitalismo, si presenta la possibilità
di cancellare qualsiasi tipo di ostacolo sociale all’arricchimento di pochi a
scapito della miseria di molti. Come dimostrano le crisi finanziarie, è grazie
ad esse, e alle politiche messe in atto dai governi per affrontarle, che il
sistema che garantisce enormi quantità di potere e di denaro a banchieri e
speculatori, non solo non viene messo in discussione nei suoi elementi
fondamentali, ma viceversa aumenta rendita finanziaria, profitti e divario
sociale. E’ parte di questo processo globale che tutto riconduce ad una
dimensione di merce la progressiva instabilità dell’approvigionamento da
petrolio e carbone che può diventare il preteso per un generalizzato ritorno al
nucleare e alle guerre come ridefinizione degli assetti internazionali. La
natura stessa del capitale e del lavoro, che nel loro rapporto conflittuale
definiscono la realtà che viviamo, è stata modificata nel tempo dalle crisi e
dai tentativi di uscirne: da un sistema impostato sul profitto si è passati ad
un nuovo intreccio tra rendita e profitto. Dal tentativo di ridurre il lavoro da
specifica attività umana alla condizione di merce tra le merci, alla vita intera
messa al lavoro. La crisi dunque, assume significati ed utilizzi diversi a
seconda di chi la affronta e di come si affronta. Quando si dice che “Marchionne
fa la lotta di classe”, si afferma esattamente questo: la crisi diventa per la
direzione della Fiat l’opportunità di rafforzare il proprio potere, annullando
l’altra composta da chi è costretto a lavorare dentro una fabbrica per vivere
con un salario che è 400 volte inferiore a chi dirige. Gli effetti della crisi,
quelli che sentiamo sulla pelle da Pomigliano a Melfi, dalle basi petrolifere
nel Golfo del Messico alle scuole e alle università senza finanziamenti, dallo
smantellamento del welfare alla privatizzazione dell’acqua, sono in realtà il
prodotto preciso dell’utilizzo che di essa viene fatto da una parte, quella di
chi è ai vertici, delle aziende, dei governi, delle istituzioni europee, delle
banche su base locale e globale. La precarietà a cui siamo tutti sottoposti, noi
e il pianeta, è il prezzo da pagare alla loro idea di società. In questo quadro
è urgente trovare il nostro modo di “utilizzare” la crisi, di immaginare delle
vie d’uscita che per essere efficaci, devono non solo permetterci di resistere
ma anche di immaginare un’altra società, un altro modello di sviluppo e di
consumo, un altro modo di vivere incentrato su valori e diritti capaci di essere
rinnovati invece che cancellati. Pochi mesi ci separano dai dieci anni da Genova
2001. Lo “spirito di Genova”, quello che ci ha fatto stare insieme allora, tanti
e diversi, per “un altro mondo possibile”, ritorna oggi ad essere
indispensabile. Se ci affidassimo solo ai “conflitti” che la crisi
oggettivamente provoca, potremmo avere brutte sorprese, anche tragiche: non è
detto che essi non diventino guerre fra poveri, razzismo, xenofobia,
individualismo. Se non ci ponessimo il problema di “ricomporre” le tante
resistenze che nascono dai processi ristrutturativi in atto nella scuola,
nell’università e per l’intero ciclo della formazione, nel lavoro di fabbrica e
nelle nuove forme del lavoro autonomo, interinale, a chiamata, consegneremmo
all’oblio o peggio alla sconfitta ognuna di queste. Allo stesso modo se non
comprendiamo che la lotta contro la privatizzazione dell’acqua e per i beni
comuni ci parla direttamente di un’idea di società, ivi compresa la produzione,
non si riuscirà mai a cogliere la profondità di ciò che è in atto, e che
appunto non è “scomponibile” in settori. Come a Genova, dobbiamo essere in
grado, e questa è la sfida, di creare un piano comune finalizzato alla piena e
buona occupazione, alla validazione democratica delle piattaforme dei contratti
per tutte le lavoratrici e i lavoratori, a un reddito di cittadinanza e
formativo, l’ecologia non diventi una teoria astratta ma serva a progettare un
nuovo modo di produrre e vivere, che il lavoro non venga inteso come un generico
“valore” ma si riempia di concretezza, affrontando di volta in volta le sue
condizioni e i suoi esiti sulla vita di chi lo compie e dell’ambiente sociale e
naturale che lo circonda. Così come i diritti delle donne, degli uomini e dei
bambini migranti non possono essere relegati a “questione umanitaria”, poiché la
loro cancellazione modifica il concetto stesso di democrazia in cui viviamo.
Ricomporre non significa, dunque, fare la sommatoria. Vuol dire invece produrre
nuovi paradigmi attorno ai quali creare un immaginario che descriva la nostra
idea di società, contrapposta a quella delle classi dominanti. Solo la forza di
questo processo di movimento e in movimento, può rende forti e possibili tutte
le battaglie che abbiamo di fronte. </P>
<P><STRONG>Su questi presupposti noi ci sentiamo, al di là di ogni singola
appartenenza, di lanciare un appello a tutti perché le prossime importanti
mobilitazioni, da quella a Bruxelles il 29 settembre fino alla manifestazione
nazionale a Roma indetta dalla Fiom il 16 ottobre, possano essere già una prima,
fondamentale, occasione. Proponiamo di lanciare una campagna di mobilitazione
che parta dalla presenza a Bruxelles e arrivi fino alla partecipazione
collettiva alla manifestazione del 16 ottobre a Roma, considerando
quest’ultima come uno spazio in cui diverse forme di aggregazione e lotta
e anche singoli individui, dagli studenti ai migranti, dai ricercatori agli
ambientalisti, da chi lotta per il diritto alla casa e contro le speculazioni
fondiarie a chi si batte contro la crisi climatica, a coloro che vivono lo
sfruttamento delle vecchie e nuove forme del lavoro, ai comitati a difesa dei
beni comuni fino alle realtà che si mobilitano a difesa dei diritti umani e
contro la guerra, possano trovare forza e visibilità uniti. Uniti contro la
crisi, essendo la crisi che viviamo frutto delle scelte di chi comanda e anche
allo stesso tempo la condizione comune da cui tutti partiamo per costruire
qualcosa di diverso, migliore. Inoltre crediamo importante darci un nuovo
appuntamento, dopo la manifestazione di Roma, per condividere il cammino
futuro. </STRONG> </P>
<P><EM>Beppe Allegri, Andrea Alzetta, Francesco Brancaccio, Luca Casarini,
Daniele Codeluppi, Paolo Cognini, Giorgio Cremaschi, Giuseppe De Marzo,
Gianmarco de Pieri, Alex Foti, Claudio Franchi, Don Andrea Gallo, Max Gallob,
Maurizio Gubiotti, Giulio Marcon, Vilma Mazza, Antonio Musella, Fabrizio Nizzi,
Francesco Raparelli, Claudio Riccio, Gianni Rinaldini, Tito Russo, Massimo
Serafini, Luca Tornatore, Guido Viale</EM></P>
<P><EM></EM> </P>
<P><EM></EM> </P>
<P><STRONG>18 Settembre 2010</STRONG></P></DIV></DIV></BODY></HTML>